Documento e Monumento.
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Appendice seconda
Pubblichiamo questo documento, con il permesso e ringraziando l'Accademia Nazionale di Scienze, Lettere e Arti — Modena. n.d.r.

Documento e Monumento: la prossimità del Calvario nei testi e nei rilievi archeologici

Sessant'anni fa, il 10 Marzo 1938, moriva nel convento di Saint Maximin il P. Marie-Joseph Lagrange, fondatore dell'École biblique di Gerusalemme. A lui dobbiamo, in gran parte, l'intuizione che il documento scritto e il reperto archeologico debbano commentarsi a vicenda anche nell'ambito degli studi biblici.

Il caso che ci accingiamo a prendere in esame può ben illustrare questa interazione.1

Solo il vangelo di Giovanni afferma che il luogo della sepoltura di Gesù si trovava in prossimità del Calvario: "Nel luogo in cui fu crocifisso c'era un orto e nell'orto un sepolcro nuovo, in cui non era ancora stato posto nessuno" (Gv 19,41); l'attuale Basilica crociata del Santo Sepolcro copre l'area in cui la tradizione cristiana ha identificato i due punti. Con quale fondamento?

Per tanti motivi si tratta di una indagine al contempo affascinante e difficile.

Il luogo che ora racchiude il Sepolcro di Cristo e la roccia del Calvario ha subito, in due millenni, tali e tante trasformazioni da rendere complessa la lettura dei resti risalenti al primo secolo. Inoltre, la funzione religiosa del sito ed il fatto che la proprietà sia divisa fra differenti confessioni religiose hanno reso possibili solo scavi occasionali e sondaggi parziali,2 eseguiti in tempi differenti e con diverso grado di competenza.

Quanto alle antiche testimonianze scritte circa la morte, la sepoltura e la risurrezione di Gesù di Nazareth, la storia redazionale è a tal punto complessa da richiedere una lettura critica delle fonti, prima di giungere ai dati storicamente accertati o almeno qad una teoria che li raccolga in maniera coerente3.

 

1. I documenti.

Propongo, come punto di partenza, una domanda solo apparentemente oziosa: perché le più antiche formulazioni della fede pasquale insistono sulla effettiva sepoltura del Cristo? Non bastava affermarne la morte? Il Credo Niceno-costantinopolitano recita: "Crucifixus etiam pro nobis sub Pontio Pilato; passus et sepultus est, et resurrexit tertia die secundum Scripturas", ma non dobbiamo attendere l'epoca dei grandi Concili per trovare questa formulazione apparentemente ridondante. Essa appare già negli anni cinquanta della nostra era, nella Prima Lettera ai Corinzi dell'apostolo Paolo:

15,3 Vi ho dunque trasmesso, anzitutto, quello che ho ricevuto, che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, 4 e che fu sepolto, e fu risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture.

Paolo invoca, innanzitutto, l'argomento della paràdosis, la tradizione in nome della quale egli trasmette quanto ha ricevuto.4 Risaliamo così a ben prima della composizione di 1 Cor, ai tempi in cui l'apostolo stesso conobbe il messaggio cristiano. Questo è confermato dalla formulazione arcaica dell'assunto: "e fu risuscitato", piuttosto che "risuscitò", intendendo col passivo5 una azione diretta di Dio Padre.5 Anche il polisindeto e l'andamento ritmico della frase, oltre al fatto che altre formule analoghe siano disseminate nel Nuovo Testamento,6 fanno pensare ad un piccolo Credo, creato per una facile memorizzazione dei dati fondamentali della fede.
Non è l'unico caso in cui si dà risalto alla sepoltura, l'autore degli Atti degli Apostoli pone sulla bocca di Paolo una formula simile:

13,28 E pur non avendo trovato nessun motivo di condanna a morte, chiesero a Pilato che fosse ucciso. 29 Quando ebbero compiuto tutto ciò che era stato scritto intorno a lui, lo deposero dal patibolo e lo misero in un sepolcro. 30 Ma Dio l'ha risuscitato dai morti.7

L'interesse di questo testo sta nella particella de avversativa che sembra opporre le azioni compiute dagli abitanti di Gerusalemme e dai loro capi (v. 27) al gesto divino di risuscitare Gesù dai morti. L'azione di deporne il corpo dal patibolo e di metterlo in un sepolcro è qui annoverata fra le angherie ch'egli ebbe a subire e cui Dio si oppone facendo giustizia e risuscitandolo.

Paolo sta parlando ai Giudei della sinagoga di Antiochia di Pisidia, forse non teneri nei confronti del "centro" gerosolimitano. Certamente, 1Cor e Atti rispecchiano meglio i costumi del tempo: non era infatti prevista una sepoltura onorevole per i condannati alla croce. Abitualmente se ne lasciavano i corpi sul patibolo, talvolta erano lasciati insepolti.8 Nel caso dei Giudei, per rispetto alla loro legge, si ammetteva una qualche forma di sepoltura.

Nei due testi che abbiamo citato, comunque, questa sembra avvenire per iniziativa dell'autorità gerosolimitana.

Fra i racconti evangelici della sepoltura, quello di Giovanni presenta la maggior complessità tanto quanto alla narrazione, che nella trasmissione manoscritta:

19,31 I Giudei, siccome era giorno di Preparazione, perché i corpi non rimanessero sulla croce di sabato - quel giorno di sabato era infatti solenne - chiesero a Pilato che spezzassero loro le gambe e venissero tolti.

[32-37: il colpo di lancia].

19,38 Dopo questo, Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma segreto per paura dei Giudei, chiese a Pilato di togliere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Venne[ro] dunque e tolse[ro] il suo corpo. 39 Venne anche Nicodemo, il quale già prima era andato da lui di notte, portando una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre. 40 Presero dunque il corpo di Gesù e lo avvolsero con bende assieme agli aromi, secondo l'usanza di seppellire dei Giudei. 41 Nel luogo in cui fu crocifisso c'era un orto e nell'orto un sepolcro nuovo, in cui non era ancora stato posto nessuno. 42 Là, a causa della Preparazione dei Giudei, dato che il sepolcro era vicino, deposero Gesù.

Il celebre racconto del colpo di lancia che trafigge il costato di Gesù, è inserito da Giovanni (l'unico che ne parli) fra una richiesta che ha per protagonisti i Giudei e le comparizioni successive di Giuseppe d'Arimatea e di Nicodemo.

Si noterà che la narrazione procede con fatica per la presenza di ripetizioni: a) tanto i Giudei che Giuseppe chiedono (erotao) a Pilato di togliere (airo) il corpo; b) vi sono due menzioni della Parasceve (Preparazione, vv. 31.42); c) i successivi venne, vennero appesantiscono il racconto.
La trasmissione testuale offre due varianti di un certo peso.
La prima interessa il v. 41a. Qualche manoscritto (Ds N e alcuni minuscoli) riporta, del sepolcro, l'aggettivo kenon invece che kainon, vuoto e non nuovo. Il cambiamento può essere semplicemente dovuto all'itacismo,9 ma pure ad una memoria. Dalla Mishna(trattato Sanhedrin, o dei tribunali), posteriore nel tempo, ma radicata nella tradizione giuridica giudaica, apprendiamo:

6,5 Non si seppellisce il condannato nella tomba dei suoi padri; ma due cimiteri sono stati approntati per il tribunale: uno per gli uccisi e per gli strangolati, l'altro per i lapidati e i bruciati. 6 Quando le carni saranno consumate, se ne raccoglieranno le ossa e le si seppelliranno nel loro luogo: i parenti vengono e salutano giudici e testimoni per significare che non serbano loro rancore.10

Il motivo di questo costume è duplice. Da un lato, come in altre civiltà, si vuole continuare l'orrore della condanna con l'assenza di speciali onori funebri, dall'altro si pretende allontanare la maledizione che contamina le carni del peccatore ucciso. Solo le sue ossa saranno pure e potranno essere sepolte con quelle dei familiari.11

In tal senso, mentre il sepolcro nuovo pare essere un segno di onore, un sepolcro vuoto, nell'ipotesi di sepolcri multipli, in cui loculi e lettucci si affacciavano su un solo ambiente, riafferma la condizione del condannato e l'orrore che il corpo ne produceva.

La seconda variante è molto più difficile da spiegare.

Alcuni codici (Sinaiticus, W e la Vetus Latina) leggono al plurale la finale del v. 38: "vennero dunque e tolsero il suo corpo". Per la celebre norma lectio difficilior potior è più facile pensare che il copista abbia voluto correggere al singolare poiché fino al quel momento vi è un solo personaggio, Giuseppe d'Arimatea. Ma, soprattutto in Giovanni, queste apparenti illogicità nascondono spesso la fusione di più tradizioni. È il caso di Gv 20,2, in cui alle tre donne che vanno al sepolcro e lo trovano vuoto, il quarto vangelo sostituisce la sola Maria Maddalena, ma poi lascia al plurale la frase detta a Pietro: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro, e non sappiamo dove l'hanno posto". Se tale è il caso anche di Gv 19,38, possiamo ipotizzare una crescita del testo in tre tappe.12

a) Giovanni conosce un racconto simile a quello di 1Cor e Atti, che potremmo ricostruire così:13

I Giudei, siccome era giorno di Preparazione, perché i corpi non rimanessero sulla croce di sabato chiesero a Pilato che spezzassero loro le gambe e venissero tolti.
Vennero dunque e tolsero il suo corpo.
e lo avvolsero con bende
[e] deposero Gesù [in un sepolcro vuoto].

b) Su questo canovaccio, Giovanni inserisce il personaggio di Giuseppe d'Arimatea, che conosce dalla tradizione dei Sinottici, ma — in questa primo passaggio — lascia il plurale che sarà conservato da qualche manoscritto.

c) Proprio quel plurale obbliga, in una terza riedizione, a far entrare in scena Nicodemo. Che questa sia una apposizione tardiva lo dimostra la contraddizione coi Sinottici sul fatto dell'unzione; non solo, per Giovanni, essa venne compiuta, ma assume proporzioni incredibili: le circa 100 libbre di unguento e aloe, corrispondono infatti a 32,6 Kg.

Per le autorità giudaiche era una necessità di legge il seppellimento del condannato. Se il suo corpo martoriato fosse stato ancora esposto al calare delle tenebre, la maledizione si sarebbe trasmessa al suolo. Leggiamo nel Libro del Deuteronomio, a proposito di un condannato il cui corpo già morto sia stato esposto per ammonimento:

21,23 il suo cadavere non passi la notte sull'albero; lo devi seppellire in quello stesso giorno, perché un appeso è una maledizione di Dio e tu non devi contaminare il suolo che il Signore tuo Dio ti dona in eredità.

Il comandamento è rivolto al popolo, ma è ovvio pensare (e la Mishna lo conferma) che fossero i capi a metterlo in esecuzione. Che questo uso fosse in vigore ancora nel primo secolo è testimoniato da Flavio Giuseppe, nel suo Bellum Judaicum, a proposito di due sommi sacerdoti uccisi dagli zeloti e dagli Idumei:

IV,317Giunsero a tal punto di empietà, da gettarli via insepolti, mentre i giudei si danno tanta cura di seppellire i morti, che finanche i condannati alla crocifissione vengono deposti e sepolti prima del calar del sole.

All'idea della maledizione trasmessa dal cadavere fa riferimento Paolo, nella lettera ai Galati:

3,13 Cristo ci ha riscattati liberandoci dalla maledizione della legge, divenuto per noi maledizione, poiché sta scritto: Maledetto chiunque è appeso ad un legno.14

La figura Giuseppe d'Arimatea, prima di approdare a Giovanni, subisce un processo di enfatizzazione che può essere seguito confrontando gli altri vangeli.
Il racconto di Matteo è il più scarno. Giuseppe è un uomo ricco, discepolo di Gesù, il sepolcro gli appartiene:

27,57 Quando fu sera, venne un uomo ricco di Arimatea, di nome Giuseppe, il quale era anch'egli discepolo di Gesù; 58 egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Pilato ordinò che gli fosse consegnato. 59 Giuseppe quindi, preso il corpo, l'avvolse in una sindone pulita 60 e lo depose nel proprio sepolcro, che da poco aveva scavato nella roccia. Rotolò una grossa pietra all'entrata del sepolcro e se ne andò. 61 C'erano là Maria Maddalena e l'altra Maria, sedute di fronte al sepolcro.

Marco aggiunge che si trattava di un membro del consiglio, ma non dice che fosse ricco. Neppure il sepolcro, per lui, apparteneva a Giuseppe, né afferma che fosse nuovo:

15,42 Fattasi ormai sera, poiché era la Parasceve, vale a dire il giorno prima del sabato, 43 Giuseppe d'Arimatea, distinto membro del consiglio, il quale aspettava anch'egli il regno di Dio, venne, si fece coraggio, entrò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. 44 Pilato si meravigliò che fosse già morto. Perciò, chiamato il centurione, gli domandò se fosse morto da tempo. 45 Informato dal centurione, concesse il cadavere a Giuseppe, 46 il quale, comprato un panno di lino, fece deporre Gesù, lo avvolse col panno di lino e lo pose in un sepolcro che era stato tagliato nella roccia. Quindi sulla porta del sepolcro fece rotolare una pietra, 47 mentre Maria Maddalena e Maria di Giuseppe stavano ad osservare dove veniva deposto.

Il racconto lucano ha in comune con Giovanni l'affermazione che, nel sepolcro, "non era stato posto ancora nessuno". Anche Luca non dice che Giuseppe possedeva quella tomba, ma si preoccupa di mostrare che non si era associato alla decisione degli altri, pur essendo membro del sinedrio:

23,50 C'era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, uomo giusto e buono, 51 che non si era associato alla loro deliberazione e alla loro azione. Era nativo di Arimatea, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio. 52 Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. 53 Lo depose dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo mise in un sepolcro, scavato nella roccia, dove non era stato posto ancora nessuno. 54 Era la vigilia di Pasqua, e già cominciava a sorgere il sabato. 55 Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea, seguirono Giuseppe e videro il sepolcro e come vi era stato deposto il corpo di Gesù. 56 Poi se ne tornarono a casa per preparare aromi e unguenti. Il giorno di sabato osservarono il riposo, come prescrive la legge.

Come abbiamo visto, solo Matteo parla di Giuseppe come di un uomo ricco, e solo lui aggiunge che il sepolcro gli apparteneva. Ma si tratta, malgrado le apparenze, di una lettura teologica del personaggio. Il testo di 1 Cor 15,3-4, come del resto quello di Atti 13,28-30, pongono ogni azione subita da Gesù sotto l'impero della Scrittura: "che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, e che fu sepolto, e fu risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture". Anche se, circa la sepoltura, non si ripete il ritornello "secondo le Scritture", possiamo ipotizzare che si sia andati alla ricerca di una profezia nell'Antico Testamento che preannunciasse la forma di seppellimento. I Canti del Servo di YHWH, nel libro di Isaia, erano un luogo privilegiato per descrivere le sofferenze del Messia. Nel quarto (Is 52,13 — 53,12), il versetto 53,9 afferma:

53,9 Gli diedero sepoltura con gli empi e il suo sepolcro è con il ricco, benché non abbia commesso violenza e non vi fosse inganno nella sua bocca.

Molti correggono ‘ashîr, ricco, con ‘ose ra‘, malfattore, per rendere più coerente il parallelismo. Ma la tradizione matteana leggeva "ricco". Si noti che la seconda parte del versetto potrebbe essere riecheggiata in Atti 13,28: "E pur non avendo trovato nessun motivo di condanna a morte …". In questa prospettiva, se eccetuiamo la frase "era anch'egli discepolo di Gesù", che in Matteo sembra un ampliamento tardivo del concetto meno forte espresso dagli altri: "aspettava anch'egli il regno di Dio", quanto il primo vangelo afferma non depone a favore della sepoltura vista come il gesto amorevole dell'amico.

I rimanenti tratti che compongono il ritratto positivo di Giuseppe, potrebbero avere una differente origine. Il problema della sepoltura viene affrontato altrove, nei vangeli, laddove si parla della donna che unge i piedi di Gesù. Il motivo del gesto è differentemente espresso da Gesù nei quattro vangeli.

Marco
14,8 Ciò che poteva fare, ella l'ha fatto ungendo il mio corpo in anticipo per la sepoltura.

Matteo
26,12 Se costei ha versato sul mio corpo questo unguento, l'ha fatto in vista della mia sepoltura.

Luca
7,47 Perciò ti dico: i suoi molti peccati le sono perdonati, perché ha molto amato. Colui invece al quale si perdona poco, ama poco.

Giovanni
12,7 Disse allora Gesù: "Lasciala, ché lo doveva conservare per il giorno della mia sepoltura".

Luca colloca l'avvenimento all'inizio del ministero di Gesù, in Galilea, e la protagonista è una peccatrice che così facendo ottiene il perdono dei suoi peccati. Il motivo del gesto è per lui l'amore. Gli altri evangelisti raccontano la scena fra gli avvenimenti immediatamente precedenti la passione e la connettono con la sepoltura. In Giovanni, la frase è strana, ma è motivata dal fatto che, per lui, Nicodemo procederà all'unzione. Se il racconto di Luca pare logico, la rilettura che ne fanno gli altri sembra essere dovuta ad una preoccupazione della comunità primitiva. Forse, la stessa cui risponde l'enfatizzazione del personaggio Giuseppe d'Arimatea.15 Si cerca, cioè, di affermare che la sepoltura di Gesù non fu quella riservata ai condannati, ma che, in qualche modo, gli amici e i discepoli se ne occuparono. Se invece si vuol far fede a 1 Cor e Atti, bisogna in qualche modo ridimensionare la figura di Giuseppe, anche se non si può escluderne completamente la storicità.

Fra i motivi che spinsero a ritrarre la sepoltura come gesto di pietà e non freddo adempimento burocratico, si invoca, di solito, la repulsione dei primi cristiani di fronte ai fatti: "Dans des milieux judéo-chrétiens, trés tôt, on a jugé peu digne du Christ d'avoir été enseveli par ses propres ennemis, de façon anonyme".16

Ma un'altra ipotesi può essere avanzata. Nel riferire la reazione dei discepoli al veder Gesù camminare sulle acque, Marco e Matteo dicono che lo credettero un fantasma:

Marco
6,49 ma quelli, avendolo scorto camminare sul mare, credettero che fosse un fantasmae si misero a gridare.

Matteo
14, 26 I discepoli, vedendolo camminare sul mare, furono presi da spavento, pensando che si trattasse di un fantasma, e per paura si misero a gridare.

È opinione di molti studiosi che il racconto sia una trasposizione durante la vita pubblica in Galilea di un fatto originariamente collocato fra i racconti post-pasquali: "There are eight significant formal similarities between the sea-walking narrative and postresurrection-appareance narratives".17
In Luca, che però impiega il termine pneuma invece che phantasma,18 leggiamo una di queste apparizioni post-pasquali:

Luca
24,37 Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma.38 Ma egli disse loro: "Perché siete turbati? E perché sorgono dubbi nei vostri cuori? 39 Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi ed osservate: un fantasma non ha carne ed ossa come vedete che io ho".

L'idea che un ucciso, se non sepolto convenientemente, potesse tornare era diffusa. Plinio il Giovane, nelle sue Lettere (VII,27) racconta di un fantasma incatenato apparso ad Atene. Il filosofo Atenodoro lo segue in cortile e qui lo spettro indica il punto in cui giacciono le sue ossa. Una sepoltura conveniente pone termine alle apparizioni. In Oriente, idee del genere sono testimoniate dal tempo dell'Epopea di Gilgamesh: "Colui il cui cadavere giace nella steppa, l'hai visto? Sì, l'ho visto. Cosa fa? Il suo spirito è senza riposo sulla terra" (tavoletta XII, col. VI, 292).19

In ambiente etnico-cristiano, forse, qualche dubbio sulla realtà della risurrezione poteva sorgere a partire da queste credenze. L'insistenza circa una forma di sepoltura più onorevole poteva servire ad attenuare tali dubbi.

 

2. Il monumento

Lo spazio che i pellegrini visitano oggi nel quartiere nord-ovest della città era situato, nel primo secolo, all'esterno della muraglia, poco a nord della torre asmonea che proteggeva una delle porte settentrionali.20 A partire dall'ottavo secolo a.C., il pendio sud della collina nord-occidentale di Gerusalemme era stato utilizzato come cava a cielo aperto di pietra da costruzione (meleke e mizzi hilu). Da nord a sud doveva misurare circa 200 m., e 150 da est a ovest. L'opera di scavo aveva prodotto, negli anni, sia delle grotte-cisterna, sia un pilastro di roccia, oggi alto sulla cava circostante 12,75 m. a est, 8,97 m. verso nord, 5 m. sul lato ovest. La base, anche prima della riduzione operata dagli architetti di Costantino per farne il sostegno di un'alta croce nell'angolo sud-est del quadriportico che connetteva la rotonda del Sepolcro alle absidi del Martyrion, non doveva superare di molto i 5 m. per 5.

Dopo la distruzione radicale operata su ordine del Califfo Hakim nel 1009, ben poco si vede della tomba di Gesù. Possiamo supporre che, in origine, facesse parte di un sistema di tombe scavate sulla parete occidentale della cava, già allora parzialmente abbandonata. Gli architetti di Costantino la isolarono, scalpellando anche il pavimento attorno, così da fare della cella mortuaria una struttura sopraelevata, mentre all'epoca di Gesù è pensabile che, piuttosto, vi si dovesse scendere dal livello della cava. Dalle testimonianze di epoca bizantina ed alto-medioevale,21 sappiamo che si trattava di una cella con un arcosolio a nord, alta quanto una persona, larga abbastanza da far passare un uomo e lunga a sufficienza per contenere tre o quattro visitatori.

Altre tombe sono ancora oggi visibili nella zona. La più celebre è quella detta "Sepolcro di Giuseppe d'Arimatea", nella cappella dei siro-giacobiti a ovest dell'edicola del Santo Sepolcro. Quanto resta, dopo che la roccia è stata tagliata da Costantino per costruire una rotonda attorno al sepolcro di Gesù, è la parte terminale di un sistema di loculi scavati perpendicolarmente alla parete (kokhim).

Quando, a partire dal 41 d.C., la città iniziò ad espandersi verso nord, queste tombe furono verosimilmente dismesse, a causa del divieto di seppellire entro le mura urbane.

La zona fu radicalmente ristrutturata dopo il 135 d.C., con la trasformazione della città nella adrianea Aelia Capitolina. Un vasto foro fu costruito a sud della cava, nella zona oggi chiamata Muristan. Una enigmatica frase di Girolamo ha spesso fatto pensare che due templi si affacciassero da nord sul foro. Scrive, infatti, nel 395 a Paolino da Nola (Epistola 58):

58,3 Erano venerati dai gentili un simulacro di Giove nel luogo della risurrezione ed una statua marmorea di Venere nella rupe della croce.22

Le monete di epoca adrianea mostrano un Capitolium, ed una statua di Venere col piede destro poggiante su un rialzo. Che il Capitolium, da cui la città adrianea traeva il nome, si trovasse sul luogo dell'attuale rotonda del Santo Sepolcro è oggetto di discussione,23 mentre le testimonianze di epoca bizantina sono concordi nell'affermare che nella zona si venerasse Afrodite.24 Il ritrovamento di un piccolo altare per libagioni ad est del Calvario conferma la presenza di un culto e nulla esclude che l' "uncertain object"25 su cui la statua di Venere posa il piede sia la cima di uno sperone roccioso. Girolamo non parla di templi, ma di statue, anche se non possiamo escludere un'area sacra che ricoprisse il sepolcro e lasciasse in parte emergere la roccia del Calvario.26

I resti di epoca adrianea sono troppo scarsi perché si possa con certezza determinare quali strutture poggiassero sulla piattaforma. Il reperto più interessante è una camera sotterranea immediatamente a nord della tomba, alta 60 cm, lunga 9,30 m. e larga 3 m., in cui sfocia un condotto e che P. Corbo27 identifica con una delle favissae del tempio di Giove. Le diverse ricostruzioni del presunto tempio la collocano sia all'esterno che all'interno del bordo ovest della struttura sovrastante. In qualche modo, però, ne marca il limite.

Che ivi si trovasse o no il Capitolium, il culto a Venere è certo e la testimonianza di Eusebio, che parla al plurale di "idoli morti per l'immondo demone Afrodite" e di altari,28 potrebbe far pensare ad un simulacrum Jovis molto secondario, di cui arriva notizia a Girolamo.

 

3. Documenti e monumento

Questa struttura fu completamente smantellata dagli architetti di Costantino, per isolare due punti-chiave: un sepolcro scavato nella roccia ed il pilastro oggi detto Calvario.

Per cercare di ricostruire gli avvenimenti relativi alla morte e sepoltura di Gesù e dare spessore storico alle testimonianze evangeliche, questo itinerario sotto la Basilica era indispensabile.

La tomba si è rivelata essere parte di un complesso sepolcrale adiacente ad una cava. La roccia del Calvario, invece, si presenta connessa con un culto a Venere. La propaganda bizantina accusa Adriano d'aver volontariamente paganizzato i luoghi santi della memoria cristiana, qui come altrove. In particolare, il Calvario: "in crucis rupe statua ex marbore Veneris", scrive Girolamo. Eppure, i vangeli non parlano di una rupe, ma di un "luogo":

Marco
15,22 Lo condussero, così, al luogo detto Gòlgota, che significa luogo del Cranio.

Matteo
27,33 Giunti al luogo chiamato Golgota, che vuol dire luogo del cranio,

Luca
23,33 Quando giunsero sul posto, detto luogo del Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra.

Giovanni
19,17 Egli, portando la croce da sé, uscì verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota,

Ai tempi di Girolamo circolava la leggenda — poi affermatasi - che il toponimo "Cranio" provenisse dal fatto che sotto la roccia era stato sepolto Adamo. Ma egli stesso rifiuta questa pia diceria parlando di "luoghi" (In Mattheum 27,33):

"E vennero al luogo detto Golgota, che significa luogo del Cranio". Mi è capitato di sentire qualcuno affermare che il luogo è detto Calvario perché là sarebbe stato sepolto Adamo e, pertanto, ivi è posto il capo del primo uomo (…). All'esterno della città, infatti, fuori della porta, vi sono luoghi in cui s'usa recidere la testa dei condannati e questi presero nome di Calvari, cioè dei decollati.

Anche Cirillo di Gerusalemme ed Egeria sembrano usare i termini Golgota o Calvario per definire l'intera zona dell'antica cava e non specialmente la roccia attualmente venerata, da cui proviene tutta una iconografia del "monte" Calvario.29 Il pilastro roccioso non pare aver avuto mai, neppure prima dello squadramento costantiniano, le dimensioni necessarie a farne un luogo di supplizi. La cava, invece, poteva prestarsi bene (per l'essere sterile, presso una porta, all'esterno della città) tanto alle esecuzioni, quanto alla sepoltura dei condannati. Un luogo segnato dalla maledizione, cui il sinistro toponimo sembra alludere.

Risulta così confermata la notizia data da Giovanni circa la vicinanza del Calvario al Sepolcro, ed — in parte — l'identificazione costantiniana dei luoghi. Per ottenere tale conferma abbiamo, tuttavia, dovuto rileggere con occhio critico le storie su Giuseppe d'Arimatea e ricollocare la sepoltura nel contesto di quegli oltraggi che avrebbero potuto giustificare il ritorno di un fantasma. Ora dobbiamo, timidamente, avanzare l'ipotesi che, al contrario di quanto afferma Girolamo, non sia stato Adriano a paganizzare la roccia del Calvario, ma che Costantino, o la tradizione bizantina, abbiano finito con l'appropriarsi di quella piattaforma rialzata e già consacrata al culto, prossima alla cava in cui la memoria cristiana collocava l'uccisione di Gesù.30 L'entusiasmo di quanti assistettero alla costruzione dell'edificio di Costantino ben testimonia della volontà non di fondare, ma di far riemergere dalle macerie della città pagana la Ciuitas Christiana che l'avrebbe sostituita.31

 

note

1Son qui raccolti gli appunti che hanno fatto da base al'incontro avvenuto il 17 Aprile presso l'Accademia di Scienze Lettere e Arti di Modena, che ringrazio per l'accoglienza.

2 Bibliografia recente circa l'archeologia nel Santo Sepolcro: Bahat D., "Does the Holy Sepulchre Church Mark the Burial of Jesus", Biblical Archeology Review, 12(1986), pp. 26-95; Broshi M., "Recent Excavation in the Church of the Holy Sepulchre Compound", Ariel 45-46(1977), pp.

28-32; Corbo V.C., "Scavo della Cappella dell'Invenzione della Santa Croce e nuovi reperti archeologici nella Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme", Liber Annuus 15(1965), pp. 318-366; Id., La Basilica del S. Sepolcro, Gerusalemme (3 voll.) 1981-1982; Id., "Il Santo Sepolcro a Gerusalemme: Nova et Vetera", Liber Annuus 38(1988), pp. 409-416; Coüasnon C., The Church of the Holy Sepulchre in Jerusalem (The Schweich Lecture, 1972), London 1974; Freeman-Grenville G.S.P., "The Basilica of the Holy Sepulchre, Jerusalem: History and Future", Journal of the Royal Asiatic Society 2(1987), pp.187-207; Gibson S.- Taylor J.E., Beneath the Church of the Holy Sepulchre, Jerusalem. The Archeology and Early History of Traditional Golgotha, London 1994; Katsimbinis C., "The Uncovering of the Eastern Side of the Hill of Calvary and its Base: New Layout of the Area of the Canons's Refectory by the Greek Ortodox Patriarchate", Liber Annuus 27(1977), pp. 197-208; Lux U., "Vorläufiger Bericht über die Ausgrabung unter der Erlöserkirche im Muristan in der Altstadt von Jerusalem in den Jahren 1970 und 1971", Zeitschrift des Deutschen Palästina-Vereins 88(1972), pp. 185-201; Petrozzi M.T., Dal Calvario al Santo Sepolcro, Gerusalemme 1972; de Sandoli S., Il Calvario e il Santo Sepolcro. Cenni Storici, Gerusalemme 1974; Taylor J.E., Christians and the Holy Places, Oxford 1993; Testa E., "Il Golgota: Porta della Quiete", in Studia Hierosolymitana in onore di P. B. Bagatti, I. Studi archeologici, Gerusalemme 1976; Wilkinson J., "The Tomb of Christ: An Outline of its Structural History", Levant 4(1972), pp. 83-97.

3 È impossibile, in questa sede, render conto dell'enorme bibliografia riguardante l'analisi storico-letteraria dei racconti della passione e della sepoltura di Gesù. Mi limito, pertanto, a due opere fondamentali: Benoit P., Passione e resurrezione del Signore. Il mistero pasquale nei quattro evangeli, Torino 1967 (trad., Passion et resurrection du Seigneur, Paris 1966); Brown R.E., The Death of the Messiah. From Gethsemane to the Grave, New York 1994. Quest'ultima opera propone, alle pp. 1201-1204 (§ 45, parte 1) una bibliografia scelta sul tema della sepoltura del Cristo.

4 Sul valore che Paolo attribuisce alla paràdosis si leggerà con frutto: Eriksson A., Tradition as Rhetorical Proof. Pauline Agumentation in 1 Corinthians (Coniectanea Biblica. New Testament Series 29), Stockholm 1998.

5 Nel gergo dell'esegesi biblica, tale uso del passivo senza complemento d'agente, è chiamato "passivo divino". Si ritiene che sia originato dalla volontà di nominare il meno possibile la persona di Dio.

6 Cf. Barbaglio G., La Prima Lettera ai Corinzi, Bologna 1995, pp. 806-808.

7 D* aggiunge un kai: "lo misero [anche] in un sepolcro".

8 DJ 48.24 trasmette l'ottimistica opinione di Ulpiano e Giulio Paolo, secondo i quali il corpo del condannato non deve essere rifiutato ai parenti (Ulpiano) o a chi ne faccia richiesta (Giulio Paolo). Ulpiano attribuisce quest'uso ad Augusto (Vita Sua, 10), eccettuando il delitto di maiestas. Svetonio (Augusto 13.1-2) riporta il caso di quanti lottarono per Bruto. Per l'epoca di Tiberio, Tacito (Annali 6.29) sembra affermare che la privazione della sepoltura si estendeva a tutti i condannati. Così, per i crocefissi, Petronio (Satyricon 111-112) ed Orazio (Epistole 1.16.48). Possiamo supporre che nelle province il comportamento fosse più severo, soprattutto in caso di tensioni politiche, quando prevaleva la discrezionalità extra ordinem. Cfr. Brown R.E., cit., pp. 1207-1209.

9 Così, ma con un punto interrogativo, il Novum Testamentum Græce, della Deutsche Bibelgesellschaft (Nestle-Aland), Stuttgart 271993, ad locum.

10 La Tosefta Sanhedrin 9.8 commenta (per qualcuno, in polemica anticristiana): "Se anche il criminale fosse re dei re, non può essere sepolto nella tomba dei suoi padri, ma solo in quella preparata dal tribunale".

11 Giuseppe Flavio (Antiquitates V.1.14) riporta il caso di Achar che ricevette "la sepoltura senza onore che si riserva ai condannati" (vedi anche IV.8.24).

12 È comunemente ammesso che il quarto vangelo sia passato attraverso diverse redazioni successive e che, se per convenzione si continua a parlare dell'autore chiamandolo Giovanni, sarebbe più corretto parlare di comunità o scuola giovannea.

13 Cfr. Boismard M.-É. - Lamouille A., Synopse des quatre Évangiles, vol. II, Paris 1980, pp.435-437.

14 L‘idea che un cadavere fosse un agente di diffusione del maleficio, rende meno violenta la metonimia impiegata da Paolo.

15 Il fenomeno si amplifica nell'apocrifo Vangelo di Pietro (2,5; 5,15).

16 Boismard M.-Émile — Lamouille A., cit., vol. II, p.437.

17 Cf. Madden P.J., Jesus' Walking on the Sea. An investigation of the Origin of the Narrative Account, Berlin — New York 1997, p. 138.

18 Solo il codice D armonizza.

19 Cfr. Tournay R. J. — Shaffer A., L'Épopée de Gilgamesh, Paris 1994, p. 268.

20 Non però la porta detta "dei giardini" (Gennath, dall'aramaico ganna'; eb. gan, giardino. Cfr. Flavio Giuseppe, Bellum Judaicum V.4.2), che era più a ovest, presso la torre di Ippico. Ad essa si fa spesso riferimento per appoggiare l'assunto di Giovanni 19,41 "c'era un giardino e nel giardino una tomba".

21 Cfr. Adonman, De Locis Sanctis 2,1,9-12; Fozio, Questione 107 ad Anfilochio, 1,3-5).

22 Traduzione letterale della frase, che in latino suona: "in loco resurrectionis simulacrum Iovis, in crucis rupe statua ex marbore Veneris, a gentibus colebatur".

23 La collocazione alternativa è la spianata del distrutto tempio giudaico, presso il lastricato adrianeo poi identificato col litostrato di Giovanni.

24 Cfr. Eusebio, Vita Constantini 3,26; Socrate Historia Ecclesiastica 1,17; Sozomene Historia Ecclesiastica 2,1; Ruffino Historia Ecclesiastica 9,6. Ambrogio afferma che Gesù fu ucciso in un venerarium (In Psalmos 48).

25 Cfr Kadman L., The Coins of Aelia Capitolina, Jerusalem 1956, p. 36.

26 Eusebio afferma che la "sacra grotta" era stata riempita di terra di riporto e tutta l'area sopraelevata e pavimentata in pietra.

27 Corbo V., La Basilica del santo Sepolcro, cit., pp.66-67.

28 Vita Constantini 3,36.

29 Citazioni in Gibson S. — Taylor J.E., cit., pp. 59.80.

30 Molto radicale, su questa linea è Taylor J.E., Christians and the Holy Places. The myth of Jewish-Christian origins, Oxford 1993, pp. 113-142. Lo studio esclude in buona parte un ruolo alla memoria giudeo-cristiana cui la scuola francescana (Bagatti-Testa) attribuisce la trasmissione fedele dei ricordi circa i luoghi santi. Nel nostro caso, Costantino avrebbe spostato a nord il luogo del Golgota, per farlo coincidere col tempio di Adriano. Le ovvie obiezioni a questa tesi massimalista si possono così riassumere: a) bisogna pur considerare lo sforzo enorme che dovette costituire la costruzione della Basilica in un luogo già occupato da strutture e da rocce, fra l'altro, prossimo al foro adrianeo più a sud: lo spazio ideale per un vasto edificio b) non è necessario ricorrere alle memorie specifiche dei cristiani se non per la tomba: un luogo fisso per le esecuzioni si imprime nella memoria comune. c) la struttura costantiniana aveva forma irregolare proprio per conservare dei luoghi venerati e, nello stesso tempo, allineare il complesso col Cardo adrianeo.

31 La conversazione del 17 Aprile u.s. si chiudeva con qualche considerazione sulla Crocefissione del Mantegna (un tempo a S. Zeno di Verona, oggi al Louvre). È non poco sorprendente notare come particolari quali una cava, fori fissi e numerosi in cui si possono fissare più croci e, finalmente, una grotterella contenente fra altre ossa un cranio spezzato, ben descriva il luogo per come siamo andati ricostruendolo.