FABRIZIO CARTA
Quando sono stato chiamato a partecipare alla riunione preparatoria dell’evento organizzato dai Padri domenicani, mi è stato fornito il testo dell’intervento del frate Montesinos. L’ho letto molto velocemente e se non fosse stato datato anno 1511, avrei potuto pensare che si trattasse di un intervento di questi giorni. Un intervento coraggiosissimo e attualissimo. Che forza questi domenicani ed i loro antenati !!!
Ammassare oro o ricchezze è anche oggi all’ordine del giorno, visto che il suo prezzo è aumentato fortemente e costituisce un bene rifugio verso il quale molti indirizzano i loro risparmi, credendo di salvarsi, senza pensare che poi l’aumento dell’oro, ha scritto qualcuno i giorni scorsi, alla fine favorisce i ladri !!!
Ma al di là della battuta.
Il tema che mi è stata assegnato è molto complesso e lo tratterò dal punto vista di un sindacalista impegnato da anni in un’attività che è fatta di lotte e manifestazioni, ma anche di contrattazione e di mediazione.
Questa comunicazione è frutto dunque delle esperienze derivanti dal mio lavoro e sarà costellata da riferimenti alla nostra realtà.
SFRUTTAMENTO RISORSE UMANE E NATURALI.
Si tratta di due argomenti strettamente correlati nell’attualità, ma anche nella storia. Oggi però i progressi tecnologici consentono un’evoluzione molto forte ed anche positiva delle condizioni di vita degli uomini, esponenziale negli ultimi decenni, che però, se non ben indirizzata, può causare danni irreversibili all’umanità e all’ambiente. Pensiamo per un attimo all’effetto serra o all’aumento delle temperature del pianeta, dovuti in buona misura all’inquinamento, che causano cataclismi sempre più frequenti con danni enormi o, nei prossimi secoli, all’innalzamento dei mari. Pensiamo anche agli effetti della scoperta dell’atomo, che usato male dagli americani durante la II guerra mondiale, ha devastato il Giappone, portando morti e distruzioni per decenni, ma che può dare benefici all’umanità, se usato correttamente.
Non sono uno scienziato e lascio queste questioni a chi ne sa più di me, sempre però tenendole in conto.
SITUAZIONE INTERNAZIONALE
Vorrei partire da alcune considerazioni sulla situazione internazionale. Non per un vezzo, ma per la necessità che abbiamo di considerare, sempre, la nostra condizione umana e lavorativa, in un contesto più generale. Tanto più in un’epoca nella quale va avanti la globalizzazione del lavoro e dei mercati che potrebbe essere un’opportunità, ma spesso diventa un metodo per esportare lo sfruttamento ed importare problemi.
Siamo condizionati dal nostro vivere quotidiano che è importantissimo, dal punto di vista soggettivo, e per il quale è giusto che continuiamo a dedicare la massima attenzione, ma non dobbiamo e non possiamo mai dimenticare l’enorme sproporzione di reddito pro capite che esiste
tra il mondo occidentale e molti Paesi dell’Asia, dell’Africa e del Sud e Centro America, ma anche dell’Europa. Il 18% della popolazione mondiale consuma l’80% del reddito. Il che significa che il restante 82% ne consuma il 20%. In quel 18% ci siamo anche noi. Questo significa che vi sono miliardi di bambini, donne, uomini che vivono con un dollaro al giorno ! Nazioni nelle quali la mortalità infantile è altissima, si muore di fame, l’istruzione è a livelli bassissimi. Anche il nostro povero non è povero, come chi vive in Paesi sottosviluppati.
I danni prodotti dalle calamità naturali sono inversamente proporzionali al reddito delle popolazioni colpite. Per capirci, la terribile alluvione di questi giorni in Liguria ha provocato 10 morti (per colpa della mano dell’uomo e dello sfruttamento sbagliato del territorio), le alluvioni nel terzo mondo ne causano centinaia. Lo stesso capita per i terremoti o è capitato per lo tsunami del 2004.
Questi squilibri alla fine si ritorceranno contro noi stessi.
La discussione che spesso si fa sulle quote di immigrazione, mi sembra a volte pelosa. Noi occidentali non vogliamo più fare certe mansioni ed allora favoriamo l’immigrazione, sfruttando, a nostra volta manodopera, a basso costo. Si pensi dello sbilancio, pari ad 1,2 miliardi di euro, annunciato dal dossier Caritas, tra entrate e spese pubbliche riferite agli immigrati E’ importante accogliere gli immigrati (sarebbe grave se non lo facessimo noi che siamo stati un popolo di emigrati), ma tutto ciò va accompagnato dalla promozione di politiche di sviluppo internazionale, nelle quali l’Italia, invece, investe pochissimo, in rapporto al proprio prodotto interno lordo.
l mondo occidentale, peraltro anch’esso attraversato da forti disuguaglianze e ingiustizie sociali, consuma tantissimo, sfrutta le risorse naturali, a scapito del resto dell’umanità. Di questo mondo occidentale, fa parte anche l’Italia e la Sardegna, pur essendo tra le ultime regioni nell’Unione Europea. Nel resto del Mondo vi è una marea di persone che soffrono di malattia, fame e sottosviluppo.
Si possono fare due osservazioni:
- Con la tecnologia attuale, se tutta l’umanità, compreso quell’82% di esclusi, consumasse come i cittadini degli Stati Uniti o dell’Europa più ricca, la terra sarebbe destinata a distruggersi da sola.
- Per converso, sarebbe impensabile, anzi imperdonabile, dal punto di vista etico e cristiano, lasciare inalterate le cose come sono oggi, mantenendo una gran parte delle popolazioni, nelle condizioni di vita appena descritte.
REDISTRIBUIRE LA RICCHEZZA
È fondamentale, quindi, che ci si ponga l’obiettivo primario di ridistribuire le ricchezze mondiali, favorendo investimenti in tutto il mondo, sradicando la schiavitù, nella quale soggiacciono spesso anche i bambini, attraverso la promozione della cooperazione internazionale e la realizzazione di progetti di sviluppo nei paesi meno fortunati, ma, soprattutto, fornendo gli strumenti culturali e tecnologici per l’auto sviluppo.
Riequilibrare il tenore di vita e ridistribuire la ricchezza, significa pianificare un mondo nel quale si diffonde il benessere, si favorisce la pace e la democrazia e nel quale si evitano processi migratori di portata biblica, a volte drammatici per i migranti, in primo luogo (si pensi alla politica assurda dei respingimenti in mare che determina tante vittime e ci qualifica come una nazione poco civile.)
Dice una massima: A colui che ha bisogno, non dare un pesce, ma insegnagli a pescare: e questo è molto più difficile che dare mera assistenza!!!
Monsignor Bettazzi, famoso arcivescovo di Ivrea, quando partecipò ad una marcia della pace svoltasi qualche anno fa a Siddi (un piccolissimo paese della Sardegna) disse che ciò bisogna farlo non solo per un pur lodevole e necessario sentimento di carità umana e cristiana, ma anche proprio e soprattutto nel nostro stesso interesse. Perché tale situazione non può che causare guerre, fame nel mondo, povertà, sfruttamento del ricco sul povero.
FINISCE IL MITO DELLO SVILUPPO SENZA LIMITI ?
Negli ultimi decenni e fino al 2008, fino alla cosiddetta crisi dei mutui sub prime, il mondo occidentale ed anche noi italiani pensavamo di vivere in un mondo che potesse crescere in maniera infinita. Si è affermato il mito dello sviluppo sconfinato, della produzione e del consumo senza limiti. Poco si pensava alla difesa dell’ambiente, alla tutela delle risorse naturali,
Ma, se guardiamo alla realtà, il mito della crescita infinita appare in caduta libera.
L’aumento del prodotto interno lordo, cioè della ricchezza prodotta, nelle nazioni europee, negli ultimi anni si è arrestato. Dagli anni 2000 fino al 2008, in Italia e in Sardegna, gli aumenti sono stati di poco superiori allo zero, Nel 2008 e 2009 ( e parlo della provincia di Cagliari, la più ricca “tra virgolette” della Sardegna o, meglio, la meno povera) ha visto un tasso di crescita negativo (meno 8 punti percentuali). La crisi prima negata, poi sottovalutata, poi finita, in realtà non ha soluzione di continuità. Nel 2010 e 2011 si parla di un aumento di poco, dello 0,5%. Si recupererebbe solo il 25% di quanto perso !!
È giusto parlare di sviluppo, di crescita anche perché sarebbe un toccasana per risolvere il problema del debito pubblico in Italia (oggi al 120% del P.I.L. circa 1900 miliardi di euro),
NON BASTA LA CRESCITA
Ma ciò è realisticamente possibile ? E’ estremamente improbabile un nuovo boom economico tale da rispondere alle esigenze di lavoro, almeno inteso nel modo tradizionale: i tassi di crescita della Cina o di altre nazioni emergenti che però partono dal nulla e nei quali si assiste a fenomeni di schiavismo e di sfruttamento dei minori, sono impensabili per noi.
Per far aumentare di un punto il tasso di occupazione, l’economia deve crescere di tre punti. Mi domando, quindi, se solo attraverso la crescita, mai potremo arrivare a qualche risultato concreto e rispondere ad una crisi profonda.
Vi è un impoverimento generale: l’Istat ci dice che il tasso di povertà relativo, in Sardegna, sarebbe al 18,5%. Una famiglia di due persone è povera, se guadagna meno di 992 euro mensili. Il tasso di povertà è diminuito anche per effetto di politiche tampone, messe in campo dalla regione Sardegna che però risolvono solo transitoriamente, i problemi. In pratica, proprio a causa del modello consumistico, coloro che vivono male e che sono pronti a cadere nella povertà sono molti di più, stimabili in un 30%, per effetto dell’indebitamento eccessivo, superiore allo stesso reddito mensile percepito.
Nel contempo, da alcuni consumi di beni di lusso che non diminuiscono mai e non vanno mai in crisi, si può dedurre che, mentre tanti soffrono sempre di più, ve ne sono molti che si arricchiscono.
Un impoverimento che a volte non è solo materiale ma anche morale: Il premio nobel per la pace Yunus Muhamad dice che il principio dell’emulazione rende il povero del mondo occidentale molto più infelice di quello del terzo mondo. Perché qui vi è la frustrazione, dovuta al divario tra il ricco ed il povero ampliatosi a dismisura, mentre in altre regioni del mondo vi è ancora la speranza di potere crescere tutti insieme. Il consumismo che dilaga non rende certamente più felici.
Occorre, secondo me, modificare quel modello di società che oggi, purtroppo va per la maggiore.
COME USCIRE DALLA CRISI
Crisi vorrebbe dire, etimologicamente, un momento che separa una maniera di essere o una serie di fenomeni da un’altra differente. Bisogna uscire dalla crisi, senza ripetere gli errori del passato, riscoprendo la sobrietà (lo leggevo nel commento al vangelo di qualche settimana fa), la misura, mettendo al bando gli eccessi e gli sprechi, partendo dal rispetto dell’ambiente, riscoprendo la solidarietà internazionale ed interna, puntando sulle tecnologie pulite, la valorizzazione della natura.
Ci sarebbe da ripensare la nostra società, proprio cogliendo l’opportunità della grande crisi finanziaria ed economica.
Una società che deve abbandonare diversi miti:
- l’urbanizzazione selvaggia, con la concentrazione della popolazione nelle città, nelle quali la qualità della vita è scarsa e dove il carovita si fa sentire di più;
- il consumismo che vuole la città sempre aperta, notte e giorno, natale e capodanno con i supermercati aperti, magari a danno dei lavoratori che ci operano;
- il consumo del territorio che distrugge l’ambiente e prepara il terreno alle catastrofi naturali, ma indotte dalla mano dell’uomo, come le cicliche alluvioni avvenute anche nei nostri territori.
Affermare questi concetti, non significa essere contro la modernità ( a volte malintesa), tornare all’età della pietra, ad un mondo pseudo felice (forse mai esistito), ma puntare su uno sviluppo sostenibile. Un parola forse di moda ma che vuol dire semplicemente non mangiarsi tutto il futuro.
Per realizzare tutto ciò, vi deve essere un grande impegno culturale da parte dello Stato, del sistema pubblico e privato, del mondo delle associazioni, della Chiesa.
Per esempio, bisognerebbe ragionare su alcune scelte che facciamo oggi, in un mondo globalizzato.
Il lavoratore a volte assume le sembianze di un semplice consumatore. Punta a guadagnare di più e a spendere di meno. Sceglie i prodotti che costano di meno, per tutelare il potere d’acquisto, senza considerare da dove viene il prodotto, cosa c’è dietro, magari una storia di sfruttamento di altri lavoratori. Un esempio che facciamo spesso è quello dei voli low cost. Cito una frase di un sindacalista mio amico (Luigi Lama) che dice “Come singolo consumatore si può cercare di pagare sempre meno e allo stesso tempo, come lavoratore voler guadagnare sempre più. Una dissociazione che l’integrazione dell’economia globale ripercuote molto rapidamente su chi la compie. Come è stato detto con una metafora, non si può andare avanti per lungo tempo volendo essere dipendenti Alitalia e clienti Ryanair. “
Si deve passare dalle parole ai fatti, Si deve dare l’esempio.
Il Papa Benedetto XVI, in occasione della sua visita pastorale a Cagliari, ha ammonito la classe politica, (pronta a fare passerella a spese dello Stato, - questo l’ho detto io !!), a rinnovarsi e, soprattutto, ad occuparsi dei problemi dei più deboli: poveri, anziani, famiglie con minori, persone non autosufficienti..
ECONOMIA SOCIALE
Indirettamente, il Papa ha indicato come ricetta possibile la via dell’economia sociale, come ha suggerito Mario Draghi già Governatore della Banca d’Italia, oggi messo a capo della Banca Europea.
Sarà difficile avere sviluppo, senza investimenti oculati nel sociale. Dare risorse alle famiglie diventa un obiettivo prioritario, a condizione che vi sia un processo di regolarizzazione e di emersione dei lavoratori impegnati nella cura degli anziani e, in questo senso, aumentare la percentuale di occupazione tra le donne, diventa indispensabile. E’ stato calcolato che ogni 100 posti di lavoro dati alle donne, vi è un effetto moltiplicatore di notevole livello (115).
La stessa Banca d’Italia, afferma che 100 euro dati alle famiglie determinano una crescita dell’economia pari al 60%, se si danno gli stessi 100 euro alle rendite finanziarie la crescita è del 6%, se si danno alle rendite immobiliari del 1,6%. Questa potrebbe essere una soluzione ai problemi che abbiamo davanti.
Con tutte le difficoltà, dovute al grande debito pubblico accumulato. Secondo i parametri europei il nostro debito pubblico deve scendere al 60% in vent’anni e quindi ogni anno sarebbe necessario fare una manovra di 45 miliardi. Quindi ci vorrà un grande impegno da parte delle forze sociali e delle Istituzioni, perché il rientro dal debito non avvenga a scapito delle classi meno abbienti, ma trovando le risorse negli strati più ricchi della popolazione.
RISORSE UMANE = LAVORATORI
Permane quindi uno sfruttamento delle risorse umane, quindi dei lavoratori, sia a livello internazionale, con i lavoratori del 3° mondo, sfruttati e maltrattati in patria, ma altrettanto quando riescono a sbarcare nelle coste dell’Europa, dove trovano disagi quasi uguali e poche opportunità.
C’è anche uno sfruttamento del lavoratore occidentale, forse non così macroscopico, come in passato, ma con risvolti psicologici pesanti.
La situazione di grave crisi occupazionale, l’incertezza per il lavoro, i licenziamenti collettivi, in assenza di un sistema di ammortizzatori sociali universale ed efficiente, come ne esistono in altre nazioni, rendono la vita difficile anche per il lavoratore italiano, per i giovani in particolare.
C’è sfruttamento sul lavoro, specie attraverso l’applicazione fraudolenta di contratti atipici, ma c’è un’altra forma di spreco delle intelligenze, quando si lasciano tanti giovani e tante persone nel limbo della disoccupazione. Uno spreco sociale che non ci possiamo permettere e dobbiamo ribaltare.
Qualcuno afferma che si possono dare risposte ai giovani, solo riducendo i diritti dei lavoratori anziani o magari l’importo delle loro pensioni.
Tutto ciò è fuorviante, perché diritti di sicurezza sul lavoro sono pochi per tutti e le pensioni, per la massima parte, sono di importo ridottissimo.
Bisogna invece favorire l’incontro tra le generazioni e la coesione sociale, perché la società cresca nel suo insieme.
DI SEGUITO ALCUNI DATI SULL’OCCUPAZIONE DELLA PROVINCIA DI CAGLIARI
La crisi colpisce forte anche la provincia cagliaritana, spesso considerata privilegiata per la sua posizione nella classifica nazionale del reddito pro capite.
Aumenta il tasso di disoccupazione, diminuiscono il tasso di attività e quello di occupazione. Il tasso di inattività giovanile arriva ad oltre il 70% nella fascia d’età 15/24 anni e ad oltre il 31% in quella 24/35 anni: quanto si dovrebbe fare per dare risposte al mondo giovanile per un lavoro di qualità !!
In ognuno di questi parametri, la provincia di Cagliari registra un peggioramento sostanziale, sia in termini assoluti che percentuali ma, addirittura – sembra paradossale, ma così dicono i dati ISTAT – per diversi aspetti, la situazione è peggiore non solo della media italiana (e ciò non stupisce), ma anche della media regionale sarda.
Tra il 2009 ed il 2010 le forze lavoro, cioè la somma di coloro che lavorano e che cercano lavoro, sono diminuite di ben 15000 unità. Il tasso di attività, per la fascia di età 15/64 anni, scende dunque al 58,7% perdendo 1,3% rispetto al 2009 e rimanendo più basso del dato regionale (59,5%).
Se si disaggrega il dato del tasso di attività femminile, si nota che la caduta è minore rispetto a quello degli uomini, ma ciò non deve stupire di fronte ad una provincia nella quale l’occupazione è addensata in larga misura nei servizi e dove vi è stato un incremento, per esempio, del lavoro di cura e di quello domestico nel quale, tradizionalmente, sono impegnate più donne. In ogni caso vi è sempre un abisso, anche per il lavoro femminile, rispetto ai dati nazionali.
Insomma, diminuiscono gli occupati ed aumentano gli scoraggiati, coloro che non cercano lavoro, mentre, per converso, aumentano i percettori di ammortizzatori sociali in deroga, chiaro sintomo di una crisi che colpisce non solo il settore industriale, ma anche il tessuto connettivo della provincia di Cagliari, fatto in maggioranza di micro imprese sotto i 10 dipendenti. Nel 2010, secondo i dati forniti da Italia Lavoro, i percettori di Cassa integrazione in deroga sono stati circa 3000; lavoratori che vivono spesso con redditi al di sotto della soglia di povertà.
Una crisi strisciante, silenziosa, che mette in difficoltà lavoratori invisibili di settori come il terziario, la cooperazione, i call center. Si consideri, in proposito, che molte casse integrazioni in deroga – magari alla 2^/3^ proroga, spesso nascondono una crisi senza ritorno.
Ma mentre, negli anni passati, i più colpiti apparivano, purtroppo, i lavoratori precari, nel 2010 la crisi incide anche sul lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Infine, aumenta anche il tasso di disoccupazione (rapporto tra coloro che cercano lavoro e non lo trovano e le forze lavoro) salito al 12,4% (aumento di 1,4%) e diminuisce il tasso di occupazione di due punti percentuali.
Una platea di circa 20000 persone hanno chiesto l’indennità di disoccupazione o perché hanno perso il posto di lavoro o sono impegnati in lavori saltuari a tempo determinato o interinale, come dimostrato dai dati incrociati delle ricerche dell’INPS e della Provincia,
Inoltre i collaboratori iscritti al fondo lavoratori para subordinati sono circa 40000 nella provincia di Cagliari.
L’occupazione nel terziario e nei servizi rappresenta oltre l’80% dell’occupazione, mentre l’industria rimane a poco più del 15%.
Va sottolineata la debolezza del tessuto produttivo locale, per quanto riguarda l’industria se si considera che l’occupazione in questo settore, secondo i citati dati istat, supera di poco il 15% del totale e che il 50% è rappresentato dall’edilizia. E’ appena il caso di notare che nelle aree forti del Paese, la percentuale dell’occupazione nell’industria raggiunge percentuali molto più elevate sul totale.
IL MERCATO DEL LAVORO IN PROVINCIA
Sono 118.450 iscritti al dicembre del 2010 gli iscritti ai centri servizi lavoro della provincia cagliaritana con un trend in continua ascesa: dai 108643 iscritti del maggio 2009 si è passati ai 118450 del dicembre 2010.
- La percentuale di disoccupazione tra le donne è elevata: sono infatti 61877 le donne iscritte ai CSL e rappresentano oltre il 52% del totale.
- I disoccupati sono però soprattutto uomini con la terza media e ciò dimostra come la crisi stia colpendo le fasce meno scolarizzate della forza lavoro.
- E’ alta l’anzianità di disoccupazione degli iscritti: l’80,9% degli iscritti ai Centri Servizi Lavoro ha un’anzianità di iscrizione superiore ai 2 anni, anche se è probabile un dato reale inferiore, a causa del mancato aggiornamento della situazione lavorativa degli iscritti di vecchia data. Pochi gli iscritti stranieri: 2329 extracomunitari (la comunità più numerosa è il Senegal) e 770 comunitari.
Sul totale delle assunzioni rilevate dai Centri Servizi Lavoro (nel 2010 sono state 74583) solo 17520 (pari al 23% circa) è stato a tempo indeterminato mentre il resto va diviso tra assunzioni a tempo determinato ( 38228), contratti di apprendistato, di inserimento, collaborazioni, di somministrazione, altre forme atipiche, tirocini.
Ciò dimostra come la condizione lavorativa, in termini di sicurezza e, indirettamente, di godimento dei diritti contrattuali, sia sempre meno pregnante.
Per quanto riguarda il saldo avviamenti / cessazioni il dato pende a favore delle cessazioni (-5140), in linea con la drammatica situazione socio economica.
Saldi negativi presentano le costruzioni (-2092), l’industria (-880), i servizi alle imprese (-3031), mentre un forte incremento positivo si registra nei servizi alle famiglie (+2214) per i motivi anzidetti.
IL SETTORE INDUSTRIALE È FORTEMENTE PRESENTE NELLE SEGUENTI ZONE:
Sull’area di Sarroch insiste la raffineria della SARAS, una delle più grandi di Europa che dà un lavoro fisso a circa 2000 lavoratori, tra diretti e indotto (per lo più si tratta di metalmeccanici, chimici, edili, servizi industriali, mense, pulizie). Durante le fermate periodiche, l’occupazione sale ancora.
È un’azienda insediata in una delle aree più belle della Sardegna, dal punto di vista ambientale, a circa 15 chilometri da Cagliari con la quale è collegata con una strada costiera (la S.S. 195) molto stretta e sulla quale si addensa un traffico pesante, turistico e da pendolarismo piuttosto notevole con gli effetti negativi su congestione stradale, inquinamento, rischio sicurezza stradale.
Collegate con la SARAS ci sono anche aziende di ricerca quali la SARTEC con 150 dipendenti e AKELA, anch’essa con alcune centinaia di dipendenti che svolge attività nell’ambito della telefonia.
Oggi, a seguito della diminuzione degli utili derivanti dalla raffinazione, sussistono problemi specie nell’area appalti nella quale si paventano forti riduzioni di investimenti, con forti razionalizzazioni con possibili conseguenze sulla tenuta dell’occupazione.
L’area di Machiareddu dove opera la SYNDIAL del gruppo ENI e diverse aziende chimiche e metalmeccaniche (tra le quali va ricordata la BEKAERT multinazionale belga (prima BRIDEGSTONE giapponese) che fabbrica cordicelle d’acciaio per i pneumatici.
L’area di Elmas, con un tessuto di piccole aziende locali oggi quasi tutte in crisi.
Vi è dunque un’industria petrolifera e chimica con la presenza di due colossi quali ENI e SARAS. Il settore metalmeccanico, ad eccezione di qualche azienda manifatturiera (anch’essa dipendente da multinazionali) è concentrato sugli appalti ed è dunque influenzato dalla scelte strategiche delle capogruppo.
Il resto è dato da un tessuto produttivo di piccole medie aziende, molte delle quali in crisi.
L’edilizia rappresenta una componente fortissima a Cagliari e nel suo hinterland è bloccata: ci sono alcune strade che devono essere completate (195, 125, 554) ma l’iter è lungo e non vi sono benefici confortanti per l’occupazione, mentre gli investimenti pubblici per alcune iniziative come la costruzione del museo “Betile” ed il campus universitario sono state paralizzate da beghe e contrapposizioni politiche.
PROSPETTIVE DI SVILUPPO
L’industria petrolifera dunque, costituisce uno degli elementi portanti dell’economia della provincia. Ricordo che qualche anno fa, ci fu una grande polemica contro la SARAS perché, a causa del suo fatturato, si disse, la Sardegna era uscita dal novero delle regioni a obiettivo uno perché aveva superato il 75% del reddito medio europeo. La Sardegna perdeva, in parte, alcuni benefici dalla Comunità europea. Qualcuno propose di chiuderla. Non so quanto realistica sia questa proposta, ma bisogna cominciare a costruire le alternative di sviluppo e di occupazione.
Vivere solo di agricoltura (poca, tenendo conto che importiamo in Sardegna l’80% di quello che consumiamo), o di turismo potrebbe essere sufficiente ? o si deve puntare su un’industria diversa, meno inquinante e di qualità maggiore ?
Ci deve essere un mix di tutto ciò.
Si potrebbe puntare molto di più sul porto industriale perché, nonostante i fortissimi investimenti f atti, non c’è un adeguato ritorno in termini di occupazione e redditività; ora ha solo 600 addetti nel porto ma si tratta di un’occupazione “volatile”, perché soggetta alle scelte dei grandi operatori di transhipment e che soffre la concorrenza degli altri porti del Mediterraneo.
Uno dei valori aggiunti può essere il fatto che non esiste una criminalità organizzata, che può incidere negativamente sull’operatività del Porto stesso.
Di tutto quello che viene scaricato a Cagliari se ne lavora solo il 3%, e quindi occorre sviluppare la logistica e gli insediamenti produttivi a bocca di porto industriale. E’ necessario agire con una legislazione di sostegno reale, intervenendo sull’abolizione o sulla consistente riduzione delle tasse di ancoraggio in modo da essere competitivi rispetto agli altri porti del Mediterraneo (si pensi a Malta o ad altri porti del mediterraneo in Africa e in Europa.). Uno degli assi strategici di sviluppo è dunque quello della portualià.
Altro elemento da sviluppare è il trasporto merci. Il 55% delle merci che arrivano ad Olbia scende in camion fino a Cagliari, quindi occorrerebbe far arrivare le navi fino a Cagliari, con le agevolazioni dell’ECOBONUS e delle autostrade del mare, anche per rivitalizzare il porto storico, oggi praticamente fermo.
Altro settore di possibile sviluppo per il Porto e non solo per quello cagliaritano è la costruzione di un bacino di carenaggio, sfruttando l’insularità, perché noi dal traffico delle navi non abbiamo alcun guadagno.
Sull’edilizia sarebbe importante, anziché puntare su aumenti di cubature e nuove costruzioni, identificare la ristrutturazione dei centri storici come priorità. A Cagliari si costruiscono palazzi che restano disabitati e non si può continuare a costruire vicino al mare.
Sulle servitù militari, si può osservare che esse, in larga misura, sono figlie della stagione della guerra fredda e che, sicuramente, sono destinate allo smantellamento con il tempo, anche in virtù dei tagli che lo Stato dovrà per forza apportare al suo apparato. Magari non tanto per scelta, quanto per necessità. Un mondo con più pace favorirà questo trend.
Il poligono del salto di Quirra è frutto di quella politica. Oggi va costruita un’alternativa seria di occupazione e di sviluppo in modo coordinato che consenta, nella zona, un rilancio dell’agricoltura e del turismo e della valorizzazione dell’ambiente. Mentre l’occupazione può essere garantita dal mantenimento di quelle intraprese che si dimostrino non inquinanti e, soprattutto, dalla bonifica. Non si potrà por mano a nessun rilancio del territorio, se non si faranno prima le bonifiche necessarie.
Naturalmente non si può tralasciare di intervenire nel settore dei beni culturali (in questo può avere un ruolo importante anche la Chiesa), nella musica (il Teatro Lirico può essere un volano intelligente di sviluppo anche economico, se messo in relazione con il sistema turistico), nelle stesse dismissioni delle servitù militari, da rendere ai cittadini.
Ho enunciato, in modo incompleto, scelte concrete che possono dare lavoro e occupazione, rispettando l’ambiente.
SICUREZZA SUL LAVORO
Spesso si sente dire che i morti sul lavoro sono in diminuzione. Se anche fosse, ci sono circa mille morti all’anno, una trentina in Sardegna, una dozzina circa in provincia di Cagliari.
Accanto ai morti, vi sono anche migliaia di infortuni sul lavoro, senza considerare quelli mai denunciati, che spesso cambiano la vita dei lavoratori.
Finché ci sarà anche un solo morto sul lavoro, dobbiamo sentirci tutti colpevoli, io per primo. OGNI MORTO SUL LAVORO SEGNA UNA SCONFITTA ANCHE PER NOI.
Solo che, a volte, di morti sul lavoro, se ne parla solo quando accadono nelle grandi aziende, meno quando avviene nelle piccole. C’è meno ribalta e molti si dimenticano di ricordare, anche la stampa. Eppure si muore soprattutto nelle aziende sotto i 15 dipendenti, dove i diritti sono minori, dove il sindacato non esiste ed il ruolo del rappresentante della sicurezza spesso è inconsistente.
Ricordate i morti alla SARAS ? Un’azienda che fa utili altissimi, che, teoricamente, ne investe anche molti sulla sicurezza, ma dove le condizioni del lavoro sono pericolosissime. Le maestranze, gli operai sono esposti. Un piccolissimo errore, una disattenzione possono essere fatali e lo sono stati: 5 morti in pochi anni. Un’enormità !! Ci sono naturalmente responsabilità precise: la mancata formazione da parte delle aziende, la politica degli appalti al massimo ribasso, la fretta imposta ai lavoratori.
Siamo di fronte ad un doppio sfruttamento. In primis delle risorse naturali. A rischio la salute dei lavoratori, ma anche dei cittadini. L’insorgenza di malattie in questi ambienti come i poligoni, le fabbriche più inquinanti è forte. Ma siamo, se non vogliamo fare solo le anime candide e la mia anima di sindacalista non lo è, di fronte ad un dilemma terribile.
Da un lato, il lavoro che non c’è e costringe giovani e meno giovani all’inerzia, alla disoccupazione, all’inattività con le conseguenze terribili che conosciamo, all’assenza di prospettive, all’impossibilità di costruirsi una famiglia. Dall’altro, quando il lavoro c’è, si è costretti ad accettare qualsiasi tipo di lavoro e correre il rischio di morire per il lavoro, nel pieno degli anni 2000. Bisogna battersi per il lavoro e per un lavoro di qualità, anche se non sarà una cosa facile.
Penso che abbia impressionato tanto tutti noi quanto accaduto a Barletta, dove sono morte 5 lavoratrici in nero. Intanto perché erano donne e, normalmente, si dice che sul lavoro muoiono solo gli uomini. Poi perché la morte è arrivata in modo quasi paradigmatico, scolastico a causa di tutto ciò che una società civile dovrebbe evitare:
- Il lavoro nero, senza copertura previdenziale e senza contratto di lavoro.
- L’illegalità dovuta allo scarso funzionamento dei controlli da parte della pubblica amministrazione e dalla collusione di una parte di essa con imprenditori disonesti.
- La smania di costruire e di sprecare il territorio.
- Il mancato rispetto delle norme sulla sicurezza.
Un cocktail tremendo che ci fa risuonare alla mente le parole del frate domenicano che assumono un’attualità quasi straziante.
Perché li uccidete ? per ammassare ogni giorno un po’ di oro in più ?
Un insegnamento tanto bello, quanto difficile da mettere in pratica.
GRAZIE PER L’ATTENZIONE
Fabrizio Carta
Segretario Cisl - Cagliari
Cagliari 3 NOVEMBRE 2011