12 aprile 2012
Oggi a distanza di giorni riprendo a scrivere il mio diario. Questi ultimi giorni sono stati particolarmente densi di avvenimenti e per poter parlare di tutto quanto è successo bisognerebbe scrivere un libro. Le nostre andate nei villaggi presentano sempre delle novità sia per le persone che per la prima volta visitano le aldee, sia per gli abitanti delle stesse che vanno e vengono a seconda delle situazioni più o meno positive o negative. La violenza nei villaggi è all’ordine del giorno ed è forse per questo motivo che spesso evitiamo di affrontare questo discorso. È notizia di due giorni fa che a San Luis un catechista è stato trascinato in un tranello ed è stato sgozzato senza troppi convenevoli. P. Giorgio è dovuto andare a celebrare la Messa di suffragio ma al suo rientro non ha saputo fornire particolari relativi ad un delitto così efferato.
In Guatemala nei primi nove mesi del 2011 sono state ammazzate 2496persone, l’anno più violento degli ultimi dieci. Neppure il nuovo Governo sembra riuscire a cambiare niente. Il nuovo Presidente del Guatemala è Otto Pérez Molina, 51 anni, generale in pensione, che ha vinto sul guatemalteco Manuel Baldizón e che fino al 2016 tenterà di governare un paese in ginocchio per delinquenza e crisi sociale. La sua elezione non ha sorpreso nessuno e il moto per tutta la sua campagna elettorale è stato : “mano dura cabeza y corazon”- Polso fermo, testa e cuore.
Qui la violenza fa parte del vivere comune. Nei due quotidiani locali - la “Prensa Libre” e il “Nuestro Diario” - l’80% delle notizie riportano fatti delittuosi. Pochissimi giorni fa si è dato gran risalto al fatto che durante quest’ultima settimana santa (del 2012) sono stati compiuti “solo” 85 omicidi rispetto ai 97 dello stesso periodo dello scorso anno… Una notizia sbandierata con grande enfasi, sicuramente “una gran bella ed importante notizia” per il popolo guatemalteco, ma per il nostro modo di valorizzare la vita ritengo che 85 omicidi in una settimana siano decisamente tanti. Tutta l’America centrale è impregnata di episodi di violenza gratuita nei confronti di uomini, bambini e in particolare nei confronti delle donne, sottoposte giornalmente a violenze sessuali e familiari.
Un altro gravissimo problema che si manifesta tutti i giorni è quello relativo alla terra. Anche oggi abbiamo appreso dai giornali che gli abitanti dell’aldea di Los Olivos, dove peraltro siamo stati con p. Ottavio il giorno di Pasqua e che si trova al confine con il Belize, incontrano grossi problemi di permanenza in quanto circa un centinaio di famiglie vivono adiacenti alla zona di rispetto tra i due paesi, Guatemala e Belize, che è larga 2 km. Gli abitanti di questo villaggio sono prevalentemente di etnia queqchí, e pochissimi conoscono lo spagnolo tanto che ogni volta che P. Ottavio celebra la Messa ha necessità dell’interprete. Più volte questo argomento è stato al centro dei miei scritti, oggi in particolare desidero parlare più diffusamente di alcuni episodi che sono direttamente legati a questi fatti con risvolti sociali ed economici. Gli abitanti di Los Olivos sono molto poveri, dormono per terra, non hanno energia elettrica e le loro capanne, come al solito coperte di foglie di palma e fatte con assi di legno, sono un magro riparo contro intemperie, animali di ogni genere e i vari agenti atmosferici. I bambini vivono al limite della denutrizione, quasi tutti gli abitanti presentano gravi carenze alimentari. Eppure quando li vedi corrono, giocano e sembrano felici. Gli uomini, quelli che attendono alla sopravvivenza della famiglia, sono in perenne conflitto con i soldati del Belize che, a detta loro, sono costretti all’uso delle armi a causa dei continui sconfinamenti degli invasori/campesinos. Spesso non si capisce quale sia la vera verità, se cioè siano i campesinos a non rispettare la fascia di rispetto o se invece siano gli stessi militari belizeñi che spesso sconfinano a “caccia” di persone da colpire. Più e più volte gli abitanti del villaggio hanno fatto le loro rimostranze al Governo centrale affinché intervenga a dirimere queste controversie e fare così chiarezza su quelli che siano i diritti dei campesinos ed confini legali e reali dell’una parte e dall’altra nazione. Il Governo guatemalteco finora non ha risolto, o meglio, non ha voluto risolvere questi problemi neanche quando a sconfinare sono gli stessi militari belizeñi.
Circa una ventina di giorni fa un campesino de Los Olivos è stato ucciso perché pare
si sia addentrato nella foresta per raccogliere delle foglie di “xate” (sciate) - una pianta che trova grande commercializzazione negli Stati Uniti perché le sue foglie vengono usate a fini ornamentali. Questa pianta è stata coltivata anche in un’altra aldea, a Centro Maya, tentando di creare una Cooperativa per coltivarla in maniera estensiva con l’obiettivo di realizzare riscontri economici per tutti gli abitanti. Purtroppo anche questo progetto, come altri, non è andato a buon fine forse perché è venuta mancare la giusta programmazione, la giusta informazione e il corretto controllo in ogni fase del progetto. Pertanto in questa aldea adesso si trovano grandi coltivazioni di “xate” che nessuno pensa di raccogliere per poi rivenderle. Viene da chiedersi come mai nessuno raccolga queste piante visto che c’è una buona commercializzazione verso gli Stati Uniti. L’assurda risposta è che nessuno si azzarda a raccogliere nulla onde evitare che i componenti dell’originaria iniziativa possano risentirsi e creare problemi alla comunità (continuo a sostenere che l’ignoranza e l’invidia sono la causa principale della maggior parte del problemi nel mondo). Così le piante “xate” crescono e si moltiplicano senza che nessuno possa trarne nessun beneficio economico. Anche questo è Guatemala.
Il mese scorso un militare del Belize ha sparato ad un campesinos di Los Olivos uccidendolo; l’uomo lascia la moglie incinta di quattro mesi e quattro bambini piccoli ai quali ora è venuto a mancare il sostentamento economico paterno. Purtroppo anche il bambino che deve ancora nascere sarà uno dei tanti bambini che non avrà la fortuna di conoscere il papà.
Gli incidenti sono all’ordine del giorno: si legge nei giornali che da giugno del 2011 a oggi si sono registrati oltre 50 incidenti, attribuibili ai militari, che vanno dagli sconfinamenti in territorio guatemalteco agli omicidi e agli incendi dei campi coltivati a mais. Le notizie del Dipartimento dei Diritti Umani del Petén riporta notizie contrastanti con quelle governative e quelle riportate nei giornali: si parla di oltre 80 incidenti nello stesso periodo e le proteste della stessa Organizzazione e degli abitanti affinché il Governo prenda posizione riguardo questo annoso problema e queste ingiustificate morti sono all’ordine del giorno e rimangono senza risposte concrete. Finora né le “Organizzazioni degli Stati Americani”, né il Governo Guatemalteco né da parte del Belize sono stati effettuati passi chiarificatori e risolutori: i primi, che sarebbero dovuti essere super partes e che sono stati chiamati a dirimere le controversie tra il Guatemala e il Belize, hanno sempre preso sottogamba il problema, mentre da parte dei Governi in causa uno rimane sordo alle richieste dei campesinos, l’altro - il Belize - non solo non riconosce la paternità degli incidenti, ma non si propone nemmeno per un parziale riconoscimento economico nei confronti delle famiglie maltrattate.
Un altro aspetto che, se vero, sarebbe un’ulteriore aggravante per l’intera questione. Sembrerebbe che alcuni funzionari di qualche banca locale abbiano offerto dei soldi in prestito agli abitanti di Los Olivos affinché li investissero in coltivazioni di mais o di “xate” e di conseguenza avessero l’’opportunità di uscire dallo stato di indigenza generale. Le semine sono state effettuate, ma al momento del raccolto - non si sa come mai – la maggior parte dei terreni ha “preso fuoco” distruggendo il raccolto e vanificando così il lavoro dei campeninos che ora si trovano nella più completa desolazione e ulteriore miseria. Essendosi indebitati “oltre il collo’” ora saranno costretti a vendere la terra per pagare i debiti assunti con le banche.
Questa situazione si fa di giorno in giorno sempre più deplorevole e incandescente: la foresta del Petén (la “jungla” come la chiamano qui) viene continuamente danneggiata e distrutta con il disboscamento sconsiderato. Intere colline coperte da alberi pregiati e da foresta lussureggiante vengono rase al suolo e incendiate. Tutto questo a unico beneficio dei “ganaderos” – gli allevatori di bestiame – che ultimamente sono i rappresentanti di grossi proprietari terrieri legati alle organizzazioni molto più redditizie del narcotraffico. È facile poi abusare dello stato di necessità dei campesinos che non solo devono vendere la terra per pagare i loro debiti, ma sono in qualche modo costretti a “ripopolare” le fila di queste organizzazioni criminali che non hanno nessuno scrupolo ad eliminare fisicamente chiunque cerchi di intralciare il loro cammino. Un esempio per tutti riporta alla mente l’episodio accaduto lo scorso maggio 2011: in una fattoria la “Finca de los Cocos” sono state decapitate 27 persone le quali avevano l’unico torto di essere dei braccianti e di lavorare per questo “padrone” legato al narcotraffico. Non avendolo trovato, i “concorrenti” se la sono presa con queste persone (uomini, donne e giovani) che sono state decapitate con una motosega (ho visto all’opera questi arnesi che hanno lame lunghissime dovendo tagliare tronchi di alberi con diametro di un paio di metri.
Un altro episodio, successo pochi giorni fa e al quale si da poco risalto, riguarda un aereo, un bimotore, che trasportava della droga e che è atterrato direttamente sulla strada. Ad aspettarlo c’era un camion che avrebbe dovuto rifornirlo di carburante, ma pare che il “progetto” sia andato a monte perché all’improvviso è apparso l’esercito facendo saltare tutti i piani e sequestrando il carico di cocaina purissima del peso di 2,5 tonn. Di queste notizie sono piene le pagine dei giornali del Guatemala e sembra che anche a distanza di anni nulla cambi sostanzialmente. A me sembra che anche a Dolores non cambi nulla e di questo immobilismo ho chiesto ragioni al Vescovo Mons. Fiandri. La sua risposta è stata disarmante: “È così perché sembra che ci siano interessi da parte di alcuni boss del narcotraffico che vivono qui e quindi vogliono far passare per inosservato Dolores in modo da non avere nessuno sviluppo ed evitare che possano arrivare sguardi indiscreti a disturbare i loro loschi affari..” In questo modo i pochi negozi che ci sono continuano ad essere sporchi e trascurati, la gente continua ad essere indolente e pensa di fregarci aumentando il prezzo delle cose di pochi centesimi rispetto agli abitanti del posto. Non è che approfittando dei “gringos” diventino ricchi, ma il fatto di tentare di “fregarli” è più forte di loro (nonostante Gigi, il fratello di P. Ottavio, abbia raccomandato ai pochi commercianti di trattarci bene…!!!). La scelta negli acquisti è obbligata perché solo una “tienda” ha la verdura fresca ogni due giorni, le altre vendono la loro mercanzia fino a che non va a male e sempre allo stesso prezzo. Questa è Dolores e quando mi soffermo un attimo per valutare la possibilità di proporre l’introduzion di “miglioramenti” mi sento disarmato senza possibilità di scelte. Credetemi è una tristezza. Vivere tutti i giorni in questo modo, guardarti in giro vedere bambine madri che a tutto pensano meno che a seguire il loro bimbo avuto chissà da chi e comunque abbandonate dal “novio”. Il sostentamento del piccolo viene così lasciato alla “abuela” la nonna/mamma della bambina madre, che così deve incaricarsi di procurare tutto ciò che serve per la crescita di questa creatura entrata di prepotenza, ma a pieno titolo, in famiglia. Spesso casi di questo genere servono ad alimentare la popolazione infantile del Centro Nutrizionale gestito dalle suore di San Vincent de Paul. Insomma tutto è da vedere e vivere in questo contesto per rendersi conto di come la vita sia difficile in questa parte di mondo.
Durante la settimana santa sono arrivati alcuni Missionari (1 sacerdote e 4 suore) provenienti dal Messico, dal Brasile e dall’Honduras per aiutare i nostri Padri nelle visite alle aldee e sono stati a pieno contatto con la popolazione. Al loro rientro abbiamo ascoltato le loro esperienze in genere abbastanza forti. Una in particolare mi è rimasta impressa: una Missionaria ci ha raccontato di aver incontrato nell’aldea di Los Arroyos un bambino superstite di una strage familiare ad opera di uno squilibrato che ha ucciso quattro persone. Il braccio del bambino, colpito dal machete all’altezza del gomito, era in condizioni pietose, pieno di pus e di larve di insetti che avevano trovato il posto ideale per depositare le loro uova. La Missionaria, peraltro infermiera, ha cercato per tutta la settimana di medicare e tenere pulito il braccino del bambino somministrandogli anche degli antibiotici. Al termine della settimana santa la ferita era molto migliorata, ma il problema a cui si andava incontro si poneva in modo assillante: in assenza della Suora chi avrebbe medicato e curato il bambino…???
Anche questo è Guatemala. Sicuramente situazioni analoghe o anche peggiori esistono in tante altre parti del mondo, però attualmente noi siamo qui e cerchiamo con i nostri piccoli mezzi di portare un aiuto anche mandando un container che ad oggi non è ancora arrivato a Dolores, ma è fermo al porto di San Thomas de Castilla-Puerto Barrio in attesa che l’indolenza, l’ignoranza, l’avidità, la corruzione di cui queste “autorità” sono pervase, si placchi decidendo quindi di capire, di accettare e di rilasciare un container contenente aiuti umanitari che in Italia tante persone amiche, dando la loro completa disponibilità, hanno preparato. Ancora questo è Guatemala….
Un attimo prima di chiudere questo diario, che non segue una rigida sequenza nei giorni ma è uno spaccato di vita reale, dimenticavo di raccontare un episodio che da solo mi ridà forze e determinazione di continuare a fare qualcosa per questa gente prescindendo da tutto.
Un giorno a Los Arrollos o Arroyos (pare che si possa scrivere in entrambi i modi) c’era una donna in procinto di dare alla luce il suo bambino ma con grosse difficoltà per portare a termine il parto. Gli uomini del villaggio, compreso il futuro padre, hanno allestito in tutta fretta una “lettiga” fatta con un’amaca e sostenuta da pali nella quale hanno fatto “accomodare” la partoriente che necessitava di essere portata all’ospedale di Poptùn per ricevere le cure del caso. In un diario precedente vi ho raccontato di cosa significhi arrivare o tornare da quel villaggio. Ebbene durante il trasporto della partoriente lungo sentieri impervi, in mezzo alla foresta, è accaduto ciò che era naturale accadesse: la donna ha dato alla luce un bel bambino assistita dai portatori e dal marito. Pertanto il viaggio verso l’ospedale di Poptùn si è interrotto a mezza strada e la comitiva è tornata indietro con un passeggero in più sulla “lettiga” ed una mamma ed un papà felici.. Purtroppo non ci sono foto dell’evento, avvenuto in completa solitudine e senza particolari riprese cinematografiche; ne inserisco solo una scattata al rientro della comitiva, ma che dimostra come tutto si sia svolto con naturalezza e come tutto sia andato bene.
Francisco
p.s. questo diario contiene solo fotografie generiche di bambini che con i loro occhi penetranti ti guardano, ti cercano, ti implorano e aspettano……, tranne una o due sono riferite a fatti descritti nel diario.