Pagina di diario: esperienza nel Petén, Guatemala. Cagliari, 24 settembre 2014.
Non ero nuova ad un'esperienza del genere, ma la trepidazione per la partenza in Guatemala era diversa dalle precedenti, forse perché la motivazione era più ricca: non solo passione, ma anche la consapevolezza di dover e di voler svolgere un compito nuovo come l'insegnamento di una lingua straniera. Sostenuta così dall'appoggio sempre rassicurante della mia famiglia, il 29 luglio sono partita dall'aeroporto di Cagliari per far tappa a Roma, in seguito ad Atlanta ed infine la tanto agognata Città del Guatemala. Il primo raffronto tra cose grandi e piccole: gli aeroporti danno l'idea dell'immenso, della tecnologia all'avanguardia e della rapidità, come ad Atlanta, la povera necessità di esistere come mezzo indispensabile per comunicare, trasportare collaborazione e migliorie di vita, come a Città del Guatemala.
Una volta arrivata a destinazione, la prima tappa è stato il convento delle domenicane dove il grande abbraccio delle suore e la loro cordialità, ha ripagato il primo impatto frenetico e convulso della capitale e dove una sensazione di pace ha finalmente colmato l'inquietudine per un viaggio tanto lungo.
La seconda tappa, Flores e Santa Elena, comune del dipartimento del Petén; anche qui, ad attendermi, ci sono le sorelle del convento San Sisto, sor Marcela e sor Jose, due grandi donne il cui amore risponde in pratica ad un bisogno primordiale, dedicando anima e corpo all'Hogar Santo Domingo. Qui, ad aspettarmi, trovo le vere protagoniste del posto, bimbe e ragazze orfane dai due ai sedici anni che, nonostante la grande sofferenza, mi regalano affetto e gioia di vivere; a me che, pur venendo da una terra di benessere, sento la necessità di aggrapparmi alla loro semplicità e tenerezza.
Terza tappa, Dolores. Solo dopo esser arrivata qui, ho realizzato ch'ero in viaggio da due giorni.
Diventai ospite della famiglia Chonay, una famiglia numerosa per la cui sopravvivenza ogni membro della famiglia svolgeva un proprio ruolo contribuendo, quindi, al vivere quotidiano. Spesso, vivendo tra loro, la mia mente era sollecitata da spontanei richiami al mio vissuto: donna Marta mi ricordava mia madre, piccola nel fisico, ma grande nello spirito, ostinata e caparbia nella lotta per i suoi piccoli, esempio di vita non solo a parole, ma soprattutto nell'agire; la stessa umiltà di base, vissuto diverso, ma uguale il convinto e determinato insegnamento ai figli: studiate e imparate poiché questa sarà la vostra salvezza. Così, Dolores, mi diede anche una famiglia, la mia seconda famiglia per cui diventai il decimo pensiero, la decima figlia per cui si aspettava il rientro la sera, il decimo piatto a tavola ricolmo di frijoles e tortillas, la decima gioia e preoccupazione per due genitori i cui insegnamenti mai dimenticherò e per cui sempre sarò grata.
Il mio tirocinio universitario iniziò qualche giorno dopo il mio arrivo a Dolores, il 4 agosto, e terminò il 10 settembre. Vissi con entusiasmo ogni ora al Collegio San Martìn de Porres, isolotto naturale di cultura in cui ogni studente cerca di ritagliare uno spazio per il proprio futuro. Tra i più e i meno caparbi si legge nei loro occhi la voglia di arrivare e di riuscire nonostante le difficoltà economiche, familiari, piccole o grandi che talvolta sembrano insormontabili, ma pur sempre animati dalla necessità di andare avanti e di non fermarsi per paura di perdersi.
Il mio lavoro scolastico era basato principalmente sull'uso verbale dello spagnolo per insegnare la lingua francese. Fondamentalmente, contavo sulla grammatica per insegnare almeno una comunicazione elementare, ma corretta. Una volta fatti i primi passi, imparammo a presentarci, imparammo a porre domande, a rispondere su particolari personali e a leggere. Il testo utilizzato era “à vrai dire 1”, un testo semplice e ben strutturato che mi ha dato la possibilità di lavorare su computer, tramite CD, e di condividere la lezione con tutti gli studenti tramite proiettore. Inizialmente la partecipazione dei ragazzi era incostante, erano spesso assenti per motivi logistici, spesso distratti o poco motivati; ma strada facendo, il loro interesse è maturato, è occorso il tempo per entrare in sintonia con me, prima come persona, dopo come insegnante. Con cautela ho dovuto scavare senza che gli argini si rompessero, ho dovuto aspettare che ciascuno dei ragazzi mi permettesse l'accesso per potermi poi addentrare piano piano nella loro persona. È stato un intero arricchimento, un'unica crescita poiché ero alla mia prima esperienza didattica: il buon senso, la pazienza, il trasporto verso i ragazzi ed i preziosi consigli del mio tutor, Padre Giorgio, sono sicuramente le cose che più mi hanno aiutato. Gli studenti mi hanno regalato tante piccole soddisfazioni: le prime curiosità sulla lingua francese, i primi dialoghi, le prime verifiche e i primi risultati tanto gratificanti.
Al di fuori dell'impegno scolastico, sono stata felice di condividere attimi con la famiglia di donna Marta e con il personale e gli studenti del Collegio; con la prima ho esplorato Dolores e i suoi dintorni, ho visto meraviglie che le parole non possono descrivere. L'aurea magica percepita negli antichi reperti maya, la testimonianza della fede tradizionale dei guatemaltechi che non è scomparsa del tutto. Seppure oggi il cattolicesimo prevalga, e siano presenti anche sette protestanti, molte delle loro credenze maya si sono mescolate con le nuove religioni e riemergono come vecchie leggende.
Con Padre Ottavio, ho invece condiviso le visite alle aldee, ossia quei piccoli villaggi dove, secondo un lavoro ben programmato e ben articolato, i padri missionari, sostenuti inoltre dai catechisti del centro poliformativo di Dolores, si occupano non solo della distribuzione di generi alimentari di prima necessità, ma anche di un progetto di educazione alla salute, di educazione spirituale e di sussistenza agli anziani e ai malati. Anche l'evangelizzazione del territorio, è un aspetto molto importante non solo con i sacramenti, ma anche tramite iniziative umanistiche.
I missionari hanno dunque creato delle oasi di ampio respiro per questo popolo debilitato da guerre interne e guerre di confine, dai conflitti tra poteri militari e di traffici illeciti. Ma nel triste contesto di evidente povertà, spiccavano quasi a sfregio, i colori accesi ed allegri dei costumi tipici guatemaltechi, ed i sorrisi dei loro bambini uguali a quelli dei bimbi di ogni parte del mondo.
Sarò sempre grata ai guatemaltechi che mi hanno aiutata e arricchita; oggi, a solo una settimana di distanza dal mio rientro, ripensare al Guatemala è quasi un fatto fisico, come risentire i profumi della terra dopo le violente piogge; ma è anche ricordare la commozione sincera negli addii, le lacrime di persone forti e il saluto dei ragazzi, chi timoroso, chi più sfrontato negli abbracci.
Un grazie alla mia famiglia che ha condiviso in ogni attimo le sensazioni più disparate e che si è sentita tanto gratificata dell'esperienza umana raccolta. Infine un grazie sentito a Madame Bayle, alle suore e ai frati domenicani, alla onlus P.A.S.S.I e a tutti coloro che hanno permesso il realizzarsi di questo tirocinio formativo: sono partita dal Guatemala per rientrare a casa, in Sardegna, senza lasciare un reciproco addio, bensì con la speranza di un arrivederci, e con un messaggio che è l'invito a tutti di potersi raffrontare con esperienze simili e allo stesso tempo, arricchire con il proprio piccolo bagaglio personale, qualunque mondo chiuso nei suoi problemi di povertà materiale; è infatti su questo terreno che lo spirito laico si incontra con quello religioso, per il medesimo scopo di amore.
Sei una meraviglia, mio Guatemala, che Dios te bendiga hoy y siempre.
Hasta muy pronto,
Francesca Peddis