12 marzo 2012 Marcello
Missioni

Chiunque abbia formulato il celebre detto "Non può piovere per sempre" evidentemente non è mai stato in Guatemala. Durante i primi tre giorni di permanenza in questa terra lontana è piovuto ininterrottamente. Temevo di dover gettar via tutti gli indumenti estivi che tengo in valigia, ossia il 98% del mio vestiario. Fortunatamente le cose sono migliorate nei giorni seguenti. Forse troppo, visto il caldo soffocante di alcune tipiche giornate in Guatemala. A tutto questo vanno sommati un clamoroso raffreddore, mal di gola, tosse e dolori assortiti al ventre, dovuti un pò alla tensione e un pò alla stanchezza. D'altronde quindici ore di volo in due giorni non possono definirsi una passeggiata.

“Giunto a destinazione dormirò per sessanta ore di fila e recupererò la fatica del viaggio”. Questo, grosso modo, era il mio pensiero ricorrente durante il volo da Madrid a Città del Guatemala. La prima notte a Dolores invece l'ho trascorsa praticamente insonne. Un gallo malefico, la cui dimora sorge proprio dietro al muro della mia camera, ha cantato ogni mezz'ora della notte, cosicché io non potessi nemmeno provare a chiudere gli occhi. Ho giurato a me stesso che entro due mesi quel gallo sarebbe finito nel mio stomaco e un giorno di questi intendo tener fede al mio giuramento.

   

Non saprei davvero come definire Dolores. Al nostro arrivo la città era buia, praticamente deserta e con un'inquietante sottofondo di musica tradizionale proveniente dall'unica bettola ancora aperta a quell'ora. Ma quando la mattina dopo siamo usciti di casa per andare in chiesa, le sensazioni sono state tutt'altre: luce dappertutto, rumori, voci, bambini, cani e gli onnipresenti galli. Non sapevo più da che parte guardare, ma già sentivo che mi sarei trovato bene.

Poi pian piano ho preso confidenza con le persone. Qui tutti ti salutano, ti osservano, ti abbracciano ed è come se si impegnassero a farti sentire parte di qualcosa. Non è semplice da spiegare, perché non si tratta di quella formale accoglienza dettata dai tradizionali rapporti di civiltà a cui siamo abituati noi occidentali. È di più. È qualcosa che in un modo o nell'altro ti fa sentire a casa, anche se a conti fatti ti trovi dall'altra parte del mondo.

I primi giorni sono venute a trovarci delle ragazze del posto e con alcune di loro abbiamo fatto una lunga e piacevole passeggiata in mezzo al verde. La natura in Guatemala è spettacolare. Non che la nostra in Sardegna sia da meno, intendiamoci, ma qui è tutto molto diverso. Diversi i paesaggi, diverse le piante, diversi gli animali. Resti affascinato anche dalle cose più semplici. Le stelle, ad esempio, da qui paiono più luminose.

La nostra abitazione si erge sotto il faccione paffuto del sindaco di Dolores che, dall'alto di una grande insegna, vigila su tutto il paese. La sistemazione è confortevole: ciascuno di noi divide la propria stanza e il proprio bagno al più con qualche scarafaggio, che comunque da queste parti è una specie piuttosto discreta. Di tanto in tanto viene a farmi visita un grosso geco, che se non altro tiene pulita la camera da ragni ed eventuali altri insetti. Devo ammettere che, almeno fino a questo momento, non ho avuto nessun tipo di problema con gli animali di piccola taglia: niente zanzare e soprattutto niente ragni. Da incallito aracnofobico quale sono, ero convinto che mi sarei ritrovato nella terra delle tarantole. Fortunatamente nella nostra zona non esiste nulla di tutto questo. Una grossa farfalla dalle ali coloratissime e un rospo tutto verde è quanto di più curioso e insolito si sia palesato fino a questo momento.

Inutile dire che i momenti più emozionanti di tutta questa esperienza restano comunque le visite ai villaggi, dove il seme della civiltà, così come siamo abituati ad intenderla, non ha ancora germogliato. Emozionanti nel bene, ma anche nel male: i bambini sono felici, spensierati, curiosi, sani, quasi immacolati, al punto che ti domandi se davvero valga la pena di vivere nel lusso, sotto il peso schiacciante di ciò che dobbiamo possedere a tutti i costi e di cui spesso e volentieri non abbiamo alcun bisogno; d'altro canto esistono la miseria, la violenza, la malattia e la sofferenza con pochissimi rimedi a disposizione. È una realtà difficile da comprendere senza vederla con i propri occhi. Ma ancora più difficile è descrivere la vasta gamma di emozioni che ti trasmette ogni abitante del posto intento a svolgere le proprie attività quotidiane, siano esse il gioco, il lavarsi, il preparare da mangiare, l'assistere alla funzione religiosa e così via. Ciò che non manca mai, a prescindere dal villaggio e dalle condizioni in cui si vive, sono l'accoglienza e l'affetto che riescono a darti con un sorriso, un abbraccio e una ciotola di cibo.

Pochi giorni fa siamo stati a Sant'Eléna, presso la guarderia vicino alla quale è stata inaugurata la scuola per infermiere. Le bambine ci hanno accolto con tanto di quell'affetto che sarei rimasto con loro per tutta la vita. A turno mi hanno letto un intero libro di fiabe, mi hanno parlato di cose che ho capito e di cose incomprensibili e ciascuna di loro in qualche modo mi ha lasciato dentro qualcosa. Anch'io credo di aver lasciato là dentro una piccola parte di me, perciò si può dire che siamo pari. Prima d'ora non avevo mai avuto né desiderato alcun tipo di rapporto affettivo con un bambino. Ora invece comincio a credere che andare via da qui sarà più difficile di quanto avessi preventivato

Marcello W. Sanna