13 marzo 2012 a Dolores Petén Guatemala nella casa dei Missionari. In questo momento sta diluviando. Oggi sono rimasto a casa perchè sto male a causa di una brutta influenza presa al rientro da Los Arroyos. Un rientro a dorso di… cavallo - ma per me era un mulo - sotto una pioggia incessante e un ventaccio che per ben mezz’ora ha imperversato e che ha decisamente contribuito ad acuire il malessere che al momento sto cercando di debellare con il Vivin–C. Da quando siamo arrivati il tempo non è stato per niente clemente. Spesso piove e fa freddo e, noi, sapendo di trovare l’estate, non ci siamo portati praticamente nulla di pesante. Anche Barbara e Marcello non godono di ottima salute. Barbara sta subendo gli ultimi strascichi del raffreddore e Marcello, per sua fortuna, ha ormai superato il problema.
Visto che oggi sono in “completo relax” vi voglio parlare dell’esperienza vissuta nei giorni scorsi quando sono andato all’aldea di Los Arroyos. Come molti di voi sapranno l’anno scorso questo villaggio è stato spostato dal suo primario insediamento in quanto inserito in un contesto forestale protetto che qui chiamano “Zona Nucleo”. Ora il nuovo sito – trovandosi ai margini esterni della zona protetta - sta vivendo giorni felici perchè, per il momento, le autorità non pensano a far evacuare nuovamente il villaggio.
P. Ottavio mi aveva avvertito che sarebbe dovuto andare a Los Arroyos per la visita pastorale e durante una cena ci ha raccontato dell’ultima volta che si è recato a piedi in quel villaggio: pensava di morire viste le difficoltà incontrate nell’attraversare la foresta lungo sentieri erti e impervi. Il suo respiro, ci racconta, era molto affaticato e difficile da normalizzare; le Suore che lo accompagnavano si sono spaventate e, senza tanti preamboli, ci ha detto di aver pensato ad un possibile infarto . Il racconto è proseguito con dovizia di particolari. Mentre P. Ottavio parlava tutti abbiamo ascoltato attenti. Nel frattempo osservavo i miei compagni di avventura e vedevo che l’espressione del viso non lasciava dubbi ad interpretazioni. Erano realmente preoccupati e io con loro. Quando P. Ottavio ha deciso di rientrare alla casa parrocchiale perchè il giorno successivo aveva degli impegni con i Catechisti, da soli abbiamo affrontato il discorso per decidere se vivere anche noi questa esperienza. Non si è fatto certo a spinte: e, pur con la grande voglia di provare, Marcello, Barbara e Rita hanno ritenuto di non essere preparati a questo evento così impegnativo e gravoso, soprattutto senza allenamento. Così hanno deciso di rimandarlo solo dopo aver fatto una passeggiata a Ixcùn, un sito archeologico che dista oltre 7 Km. dalla nostra casa - Ma di questa passeggiata ve ne parlerà Rita. Io invece ho colto subito la palla al balzo per andare – solo - con P. Ottavio a Los Arroyos. Rita non mi è sembrata troppo contenta della mia scelta, ma dal canto mio non vedevo l’ora di buttarmi in quest’avventura.
Il giorno dopo abbiamo affrontato nuovamente il discorso con P. Ottavio. Il programma prevedeva di passare la notte al villaggio per poter stare insieme ai campesinos e fare le riunioni previste. Quando il villaggio si trovava nell’insediamento primario si poteva andare e tornare nell’ambito dello stesso giorno. Questa volta P. Ottavio dice che bisogna portarsi tutto il necessario per stare una notte fuori tenendo conto anche della scarsità dell’acqua. La partenza è fissata per venerdì mattina 9 marzo alle 6,15. Bisogna arrivare entro le 7 a Sucultè e da lì partire per raggiungere Los Arroyos.
Inizio a pensare a cosa portarmi dietro e a come e dove dormire… Come minimo ci vuole un sacco a pelo, per il materassino poco male mi adatterò sulle panche della chiesa visto che P. Ottavio mi ha detto che vi dormiremo. La chiesa è fatta sempre di assi di legno e gli incastri tra un’asse e l’altra, lasciano molto a desiderare e fanno la gioia di insetti e piccoli animali che vogliono trovare un posto coperto.
Da quando vengo in Guatemala è la prima volta che mi capita di dormire in un’aldea pertanto non vedo l’ora di fare questa esperienza. Con P. Ottavio iniziamo subito la ricerca per un sacco a pelo per me e così chiediamo prima alle persone che conosciamo: P. Giorgio, Romeo, le suore o i ragazzi del collegio visto che spesso fanno delle gite che prevedono di dormire fuori almeno una notte.
Quando chiedo ai ragazzi “un sacco a pelo”, non capisco perchè, si mettono a ridere. Scopro poi che loro capiscono che cerco un “sacco di capelli”, visto che in spagnolo “el pelo” sono i capelli e così anche io partecipo all’ilarità generale. Esaudiscono le mie ricerche le suore di Dolores e comunque in quell’occasione scopro che in Guatemala il sacco a pelo viene chiamato in inglese : “slipping bag”.
Continuando nei preparativi cerco di non caricare eccessivamente lo zaino che mi porterò dietro, anche se devo prevedere qualcosa per il pranzo e la cena visti i miei problemi di alimentazione… Per il giorno dopo, a colazione, mi sono portato alcune bustine di cracker.
La notte prima della partenza faccio fatica a dormire tanta è la carica adrenalinica che mi sento addosso. Quando arrivano le 5 del mattino, mi alzo, mi faccio una ricca doccia e la barba, prevedendo di non potermela fare il giorno successivo, un ultimo controllo zaino e poi colazione. P. Ottavio arriva puntuale come un orologio svizzero, come sempre il suo ingresso è decisamente rumoroso (listos? / pronti?) incurante del fatto che Marcello e Barbara stanno ancora dormendo.
Una notizia curiosa a proposito del campanello. Abbiamo saputo da Gigi, il fratello di Ottavio, che in tutto Dolores la nostra casa è l’unica ad avere “el timbre” il campanello. Ecco, a questo punto, spiegato il motivo per cui tutti i bambini del “barrio” – rione- si divertono a suonare costringendo noi a fare le corse per aprire e non far aspettare l’ospite sulla porta. Grande delusione e anche disappunto scoprire che, quasi sempre, non c’è nessuno che aspetta ma in lontananza si vedono bambini che corrono e scappano contenti del fatto che ci hanno costretti ad andare a vedere…
Con P. Ottavio carichiamo tutto in macchina e partiamo alla volta di Sucultè, siamo solo noi due perchè suor Imelda e suor Angelica sono andate all’aldea dal giorno prima in quanto avevano da predisporre le attività per la realizzazione delle candele.
Assorti ognuno nei nostri pensieri e ogni tanto facendo commenti sul cammino arriviamo a Sucultè. Incontriamo un catechista che ci informa subito che arriveranno due cavalli per portarci al villaggio. Questa è una vera sorpresa. Mai avrei pensato che per raggiungere l’aldea sarei dovuto andare a cavallo. Una esperienza del genere per me è la prima in assoluto. Innumerevoli pensieri mi assalgono: una volta in sella, quale posizione assumere per evitare possibili cadute rovinose? Quali posizioni assumere in salita e quali in discesa… Volutamente evito di esprimere le mie perplessità ad alta voce perchè non si pensi che la cosa possa preoccuparmi. Tutto era pronto, di lì a poco sarebbero arrivati due cavalli con Ramon, un campesino del villaggio di Los Arroyos.
Con P. Ottavio ci rendiamo subito conto di aver fatto i conti senza l’oste perchè non abbiamo tenuto conto della famosa ora “chapina”: noi siamo arrivati puntuali alle 7,00, ma alle 7,30 non vediamo ancora nessuno. Passo il tempo a fare fotografie mentre P. Ottavio parla con Don Rafael, il signore presso il quale lasceremo parcheggiata la macchina. Le 8,30 le 9,30 le 10,30; finalmente verso le 11,00, da dietro una collina, vediamo spuntare dei cavalli. Ramon, il nostro accompagnatore, sta arrivando. Siamo esausti di aspettare ma con P. Ottavio vediamo la fine della nostra lunga attesa: finalmente si parte. I cavalli (per quanto ne sappia poco sembrano più muli) oramai sono vicinissimi a noi, ma non mi sembrano come quelli che si vedono nei film western. Che delusione!! Comunque, a quel punto, cavalli o muli ci avrebbero dovuto portare fino al villaggio. Arriva poi un giovane che conduce un altro cavallo/mulo che chiama “Macho”, macio. Uno degli animali viene utilizzato per distribuire i materiali da portare al villaggio (zaini, sacchi a pelo, un quadro con un’immagine sacra e due sacchi di mais).
P. Ottavio è pronto per montare il suo macho e lo fa con una tale sicurezza che sembra non aver fatto altro nella sua vita. Arriva pure il mio turno, mi avvicino con fare sicuro, ma il mio macho capisce che tanto sicuro non sono e fa per spostarsi con un’aria quasi insolente e indolente. Interviene prontamente Ramon che lo blocca con fermezza e mi invita ad avvicinarmi. Il cavallo/macho non si muove, dopo essermi avvicinato metto il piede nella staffa, e con un deciso slancio, come altre volte ho visto fare nei film, monto in groppa: mi sembra tutto altissimo e cerco di infilare l’altro piede nell’altra staffa. Il cavallo/mulo inizia a girare in tondo come se cercasse un modo per scrollarsi di dosso l’intruso. Faccio un po’ di fatica a mantenere “la macchina” e Ramon, “l’autista” del cavallo se ne accorge e con deferenza mi avvicina la staffa dove finalmente riesco ad infilare il mio piede. Sono a cavallo! Mi sistemo bene sulla sella anche perchè c’era stato appena detto che in groppa ci saremo stati per circa tre ore e mezzo. P. Ottavio mi osserva sorridendo e mi suggerisce di seguire i movimenti del cavallo senza irrigidirmi. Siamo finalmente pronti all’avventura, ci incamminiamo e seguo per quanto possibile i consigli appena ricevuti ma allo stesso tempo mi chiedo come avrei fatto quando fossero iniziate le salite e le discese… Il primo pezzo è tutto in piano. Sono molto rigido e cerco di rilassarmi e di assecondare i movimenti del quadrupede. Effettivamente riconosco che va meglio e riesco perfino a scattare qualche foto. P. Ottavio procede tranquillo davanti a me, dietro ci sono il cavallo con il carico e Ramon che, con suoni strani e particolari fischi, incita il cavallo a camminare più spedito. A circa una cinquantina di metri davanti a me vedo un primo ostacolo: c’è da guadare un ruscello, mi vedo catapultato dentro l’acqua e il pensiero di arrivare al villaggio bagnato come un pulcino non mi alletta per niente. Non faccio in tempo a pensare e siamo già dentro l’acqua. Nell’attraversamento il mulo/cavallo si ferma anche a bere. Tocco quasi l’acqua con i miei scarponi e cerco di tirare su i piedi. Sull’altra riva, ad un centinaio di metri, appare la prima salita…
Ai lati del sentiero è foresta piena e per i cavalli diventa sempre più difficile avanzare tanto che qualche volta si rifiutano di camminare. Il fango è tantissimo perchè i giorni scorsi è piovuto incessantemente e il sentiero è molto viscido e scivoloso per l’argilla.
Mi sento un po’ a disagio pensando alla fatica che fa il cavallo e vorrei scendere, Ramon però mi dice che non c’è bisogno ma che devo restare in sella. Il sentiero che percorriamo è completamente invaso da tronchi d’albero più o meno grossi, tagliati per tracciare il sentiero e lasciati sul posto. È un continuo sobbalzare del cavallo per evitarli e di conseguenza da parte mia. La salita è decisamente molto ripida, P. Ottavio è davanti a me ed anche il suo cavallo fa fatica. Dopo pochi minuti entrambi scompaiono dalla mia vista, non posso far accelerare il passo perchè il mio macio non mi ubbidisce. Subito dopo una curva vedo il cavallo di P. Ottavio coricato in terra e il frate in piedi che cercava di farlo rialzare… Non sappiamo cosa sia successo, ma dopo pochi attimi il cavallo si rimette in piedi e Ramon, che ha visto la scena, ci informa che forse si è coricato per grattarsi a causa delle zecche che gli davano fastidio… Decisamente non mi pare una bella notizia: già mi vedo invaso dalle zecche ma non devo lasciarmi andare alla preoccupazione in quanto sono appena all’inizio. Il cavallo affondando nel fango fa una fatica enorme per tirare fuori le zampe. Non vedo l’ora che si arrivi al villaggio, scolliniamo un paio di volte e finalmente in cima ad una collina in lontananza vediamo il villaggio. Da quel momento è passata un’altra ora, le lamine nuove che coprono i tetti delle capanne e acquistate tramite una specie di forma di micro credito (il “prestamo” prestito) che P. Ottavio ha realizzato, brillano al sole e mandano riflessi abbaglianti. Intanto un’altra ora è trascorsa, l’ultima ripidissima salita, una ripidissima discesa e siamo sul piccolo piazzale antistante la Chiesa. Sono esattamente le 2:30 del pomeriggio e intorno a noi si avvicinano i bambini e gli adulti che sapevano del nostro arrivo e ci salutano felici. P. Ottavio scende con gran perizia dal suo cavallo e si avvicina a me. Anch’io cerco di fare la stessa cosa ma come appoggio un piede per terra mi viene un crampo fortissimo e dolorosissimo. Per alcuni minuti faccio fatica a stare in piedi, devo reggermi alla sella, tutti mi guardano e cercano di capire cosa abbia; dopo qualche interminabile minuto finalmente il crampo si scioglie e riesco a stare correttamente in piedi. Scendiamo verso una capanna dove si trovano Suor Imelda e Suor Angelica che, con le signore del villaggio, hanno già fatto il lavoro di preparazione delle candele. In una mattina ne hanno preparato 1203. Vedo negli occhi delle donne una grande felicità per essere riuscite nell’impresa. Anche i mariti sono stati coinvolti nel lavoro e tutti sono contenti.
Nel frattempo arriva il nostro pranzo “caldo de pollo” (brodo di pollo) preparato già da alcune ore per cui sul piatto compare un strato di grasso con un pezzo di pollo, una mezza patata e un pezzo di wuiskill che emergono fieri come fossero delle montagne. Provo ma non riesco a mangiarlo perchè il grasso è difficile da sciogliere in bocca. P. Ottavio mangia con gusto, come lo invidio…
Passo il tempo a scattare le foto ai bambini a cui sono stati regalati degli zaini mandati con il container dello scorso anno. Verso le cinque del pomeriggio inizia una riunione alla quale partecipano alcuni abitanti del villaggio. La riunione ha lo scopo di verificare se dopo lo spostamento del villaggio dal precedente sito a quello attuale si sono verificati dei problemi. A condurre la riunione sono P. Ottavio e Suor Imelda che cerca in tutti i modi di stimolare il dialogo ed a esporre le problematiche che si sono verificate dopo l’ultima venuta di P. Ottavio.
Il sole, che sta tramontando, è uno spettacolo stupendo che può essere apprezzato a pieno solo vedendolo. Il villaggio è a circa 800 m. sul livello del mare e s’inizia a sentire freddo. Mi metto una giacca di canadese che mi sono portato e subito sento l’effetto benefico. Alle sette di sera è prevista la Messa, non c’è energia elettrica ma forse si riesce a mettere in funzione un piccolo gruppo elettrogeno. In chiesa si riversano tutti i presenti alle riunioni, io mi sono seduto nelle prime panche davanti all’altare senza accorgermi che quello è il posto per i bambini e i suonatori. Nel giro di pochi minuti entra una ventina di bambini vocianti, vicino a me si siede una bimba di circa quattro anni, porta un vestitino di tulle bianco che penso sia il vestitino della festa perchè ogni volta che P. Ottavio arriva a quell’aldea è una festa. La bimba ha degli occhi neri, enormi, intensi e profondi, mi guarda con aria interrogativa e sembra aspettare un qualche cenno da parte mia. Per tutta risposta le sorrido. Anche la bimba sorride e mi mette la sua manina sulla gamba, si avvicina, sembra cercare un contatto, cerco in qualche modo di farla sentire sicura e vedo che appoggia la sua testolina piena di capelli neri come la notte sul mio fianco. Dopo il Vangelo, P. Ottavio si appresta ad iniziare l’omelia ed il suo sguardo si sofferma sulla scenetta e sorride nel vedere me in imbarazzo perchè la bimba mi è tutta addosso ed io la cingo con un braccio. Dopo poco la bimba crolla addormentata, nel sonno cerca ancora di più il calore e per questo faccio in modo che si senta più coccolata. Mi trovo in una situazione che non so definire. Al termine della Messa il padre della bimba, che è uno dei suonatori e si trova dietro di me, mi ringrazia per aver tenuto vicino la sua bambina…
Arriva l’ora della cena, dallo zaino prendo il formaggio e una salsiccia che mi sono portato dietro e con quella insieme a P. Ottavio e alle suore Imelda e Angelica ceniamo.
Rimane da preparare il “letto” ognuno unisce delle panche perchè su quelle si dovrà dormire. P. Ottavio è vicino all’altare, io spostato un poco più avanti e le suore di fronte.
La notte non passa tanto in fretta, faccio fatica a prendere sonno anche perchè P. Ottavio è crollato e… russa così forte che sembra stia usando una sega per tagliare un tronco di ceiba. Alle cinque del mattino ci alziamo perchè dobbiamo aspettare i cavalli che ci riporteranno indietro. Le suore decidono di partire prima di noi e tra una cosa e l’altra si fanno le sei e mezzo del mattino. Il sole sorge alle nostre spalle, vorrei fare delle foto ma purtroppo non posso perchè siamo completamente avvolti dalla foschia. I cavalli arrivano alle 8,30 ed è Nataniel che li porta. Lui ci accompagnerà fino a Sucultè.
Il viaggio del ritorno si svolge ne più ne meno come quello dell’andata. A metà strada ci fermiamo perchè il cavallo che ho io non ne vuole proprio sentire di camminare così facciamo il cambio della sella su un altro e dopo circa mezz’ora si riparte. Incontriamo anche le Suore che per questo viaggio si sono dotate di pantaloni, ma si nascondono per non farsi fotografare. Arriviamo a Sucultè quasi a mezzogiorno. Pensavo che tornassimo subito a casa e invece riceviamo un invito a pranzo che non possiamo rifiutare. Il pranzo è sempre brodo di pollo, i padroni di casa non mangiano con noi. Loro mangeranno quando noi finiremo.
Dopo poco più di un’ora ci mettiamo in macchina per tornare a Dolores. All’arrivo a casa P. Ottavio mi suggerisce di fare controlli molto attenti per individuare eventuali zecche prese dai cavalli. Durante la doccia faccio una verifica e sono contento perchè non trovo neppure uno degli indesiderati ospiti; il giorno dopo però nel corso di un’altra doccia ne trovo una all’interno della coscia vicino all’inguine e che cerco di togliere subito. Strappandola esplode tra le dita con un suono sordo, spruzzandomi la mano del mio sangue…
Francisco