Hola, soy Rita
Sono le 06,30 di giovedì 19 aprile.
Anche oggi sono molto ”madrugadora/mattiniera”, mi capita sempre così qui in Guatemala. Ormai ho fatto l'abitudine ai galli, non mi sveglia più la musica di un locale che ogni mattina, ripeto ogni mattina, attacca con la solita musica sparata ad altissimo volume. Ci sono sempre la cornacchia nera e l'uccellino dal petto giallo che bussano alla mia finestra perché si vedono riflessi nel vetro e probabilmente si meravigliano e “chiamano” il loro compagno/riflesso (le nostre finestre sono realizzate con tanti piccoli vetri riflettenti e a specchio, posti orizzontalmente, che non permettono di vedere dentro la stanza). Forse però sto pensando ad una e-mail che ci è arrivata da alcuni amici. Diceva: “Mancano venti giorni al vostro rientro, siete così lontani, ma aspettiamo con gioia il Vostro arrivo”.
Il fatto mi ha fatto molto piacere perché ciò significa che qualcuno ci aspetta e sente la nostra mancanza, ma nello stesso tempo sono stata riportata alla realtà: fra poco si torna a casa !!!!! purtroppo......
E purtroppo abbiamo combinato ben poco....
Infatti stiamo ancora aspettando l'arrivo a Dolores del container: dal 1° aprile la nave è arrivata a Puerto Barrio sulla costa atlantica, il container è stato scaricato, ma essendo sotto Pasqua - che qui è come il ferragosto da noi - tutta quella settimana gli uffici sono rimasti chiusi. Prima di partire P. Alberto ci aveva fornito tutti i documenti relativi al container, in italiano ed in spagnolo ed in triplice copia originale, che abbiamo provveduto a consegnare a P. Ottavio, P. Giorgio e Mons. Mario; quest'ultimo ha poi inoltrato personalmente tutti i documenti ad un suo amico alla dogana di Puerto Barrio affinchè il “rilascio” fosse quanto più celere possibile e invece siamo ancora in attesa.... P. Alberto ha fatto, ed ha “preteso” giustamente da noi, un lavoro certosino: il contenuto di ogni singola scatola di abbigliamento - suddiviso per genere (uomo, domma, giovane, bambino e neonato) e per misura, prevedeva anche la quantità contenuta; i medicinali sono stati selezionati ed accuratamente e minuziosamente elencati da Alexandra anche con il nome scientifico, e ad essi è stata allegata una dichiarazione di un dottore della Croce Rossa nella quale si attestava che in quelle scatole non si trovavano psicofarmaci o droghe; il materiale scolastico e didattico è stato opportunamente annotato, così come le coperte e le lenzuola per arredare la casa degli anziani a Poptùn; i giocattoli, arrivati al Centro di Selargius qualche volta in uno stato non troppo eccellente, sono stati rimessi a posto da mani amorevoli e sistemati nelle scatole. Il tutto accompagnato anche da una dichiarazione con la quale P. Alberto attestava che tutto il contenuto della spedizione era effettuato senza fine di lucro ed in completa gratuità. Insomma il lavoro faticoso, e non sempre pulito, di tante persone e di tanti mesi, il desiderio di essere utili e di “compartir” con la gente del posto il beneficio che ne avrebbero potuto trarre, tutto dimenticato a Puerto Barrio/Guatemala/Centro America perchè qualcuno ha deciso di non “rilasciare” il container con le “nostre” cose per i “loro” conterranei.
Agli intermediari incaricati di seguire da vicino le operazioni di sdoganamento abbiamo chiesto tantissime volte se la documentazione prodotta fosse idonea e sufficiente, preoccupandoci di coprire qualunque manchevolezza dell’ultimo momento; ci è stato sempre risposto che tutto andava bene, salvo poi - dopo una settimana - richiederci una ulteriore copia originale del “BILL OF LANDING/documento di trasporto”, perché si erano dimenticati di chiedercelo....... (P. Alberto aveva già inviato due copie di questo documento a P. Mario e a P. Ottavio con il corriere, con ulteriori spese da parte nostra). Pensate che subito dopo Pasqua, quindi dopo circa 8 giorni di permanenza del container in porto, si sono accorti che non potevano accettare la documentazione perché gli elenchi delle scatole non riportavano su ciascun foglio dell’elenco in italiano - perché in quello spagnolo c’era - il “membrete”/l’intestazione dell’ente donatore…. P. Alberto, prontamente contattato, ha provveduto a ristampare tutti gli elenchi come volevano le “Autorità” e a rimandarli in modo estremamente ultra rapido, ma siamo ancora così a sperare ogni giorno. Ma oltre la beffa anche il danno: per ogni giorno di permanenza del container in porto bisogna pagare una tassa di 55 $ e sono passati già 19 giorni… Quante cose avremmo potuto fare con tutti questi soldini?? Spesso ci domandiamo se ha un senso tutto questo nostro darci da fare, forse se portassimo i soldini potremmo comprare tutto sul posto, ma poi personalmente penso che l’impegno, la dedizione e l’amore che vengono messi a disposizione per la realizzazione di questa grande cosa siano il motore trainante di tutta l’operazione e della nostra venuta in questa terra lontana. Quante volte; guardando e sistemando un indumento, Patrizia, Luisa, Bruna, Laura, Barbara, Franca, Paola, Lina, Manuela e tante altre Signore del Centro Domenicano di Selargius (mi scusino se non ricordo tutti i nomi o se per caso ne ho dimenticata qualcuna...) mi hanno chiesto “va bene come pesantezza? - gli/le piacerà? - a chi potrebbe stare? - te le immagini che chiccherìa le ragazze con questa maglietta scollata/trasparente ?? - ma le donne portano le scarpe con il tacco da 15 cm. e la punta “ammazza formiche?? - che bellini questi vestitini per le bambine - immaginandole già scure scure di pelle ma con un vestitino di tulle rosa!!.- quanti bambini riusciamo a far giocare con queste magliette da calcio??“. Senza considerare quante lavatrici sono state fatte per mandare gli indumenti in ordine e puliti nel caso non fossero arrivati al Centro perfettamente in buono stato… Senza dimenticare poi Mario, Piero, Antonello, Beppe, Pino, Ettore e tanti altri - la forza “bruta” del Centro - che si sono prodigati nella “costruzione” e predisposizione degli 11 pallets!! e P. Alberto - il nostro padrecito – alla ricerca continua della perfezione per evitare intoppi burocratici!! e come possiamo dimenticare tutti i nostri benefattori materiali e morali e tutte le persone che ci hanno avvantaggiati nello svolgimento delle pratiche burocratiche, quelle che ci hanno aiutato negli anni passati, e quelle che, pur conoscendoci appena, ci aiutano, ci sostengono adesso nelle nostre attività, quelli che ci telefonano e quelli che ci scrivono e che aspettano pazientemente le nostre risposte, sapendo quanto sia difficile per noi essere rapidi nelle risposte….
Per questo motivo sono molto dispiaciuta perché a tutte queste persone io non posso dare risposte, non posso assicurare che tutto è stato distribuito secondo le necessità, le priorità e le aspettative di tutti noi. Mi dispiace anche per la mancanza di attenzione e sensibilità che le Autorità preposte (la S.A.T. “Superintendencia de Administraciòn Tributaria”, una istituzione guatemalteca che sovraintende al pagamento delle tasse e che in questo momento dovrebbe darci questa benedetta “resoluciòn” per esonerarci dal pagamento dell’Iva visto che il contenuto del container è a scopo umanitario) dimostrano verso i nostri interventi, non comprendendo che ogni giorno pagato in più di tasse portuali sono disponibilità economiche che vengono a mancare ai loro concittadini ed alle loro necessità.
Al Museo |
Ieri, durante la nostra visita al Museo che si trova su un’isoletta nel lago Petén Itzà alla quale si arriva dopo un breve tragitto in lancia dall’isola di Flores, il responsabile dello stesso - Luis, un signore di 48 anni che ne dimostra però almeno 10 in più - raccontandoci degli antichi Maya e del loro decadimento ufficiale (intorno al 1200 d.C.) ci da detto: “In Guatemala non è cambiato niente in 800 anni: la civiltà maya è “colapsata/si è estinta” perché i governanti dell’epoca per manie di grandezza, di superbia, di potere, di mancanza di organizzazione e di stupidità si sono combattuti e si sono autoeliminati assieme a tutto il popolo; i governanti di adesso sono talmente attaccati al soldo ed al potere che pur di non rinunciare a soddisfare il proprio egoismo sono disposti a far soffrire il loro popolo ed a farlo vivere nella violenza, nell’ignoranza e nella fame. Nei secoli non hanno imparato nulla: erano stupidi allora e lo sono ancora adesso”.
Riprendo oggi 20 aprile ed è sempre mattina presto però oggi la giornata si presenta meglio perché il cielo è libero dalle nuvole.
Intanto volevo anche dirVi che la scorsa settimana è partito P. Massimiliano concludendo così la sua esperienza missionaria in Guatemala. La sera precedente abbiamo organizzato la “despedida” con pizza e birra a volontà. Al termine della cena si sono sprecati brindisi a base di “Ron/rum” invecchiato 8 anni e canti di brani di opere liriche, canzoni di montagna e scout. Nel frattempo è arrivata dal Mexico una signora, Alba Celi, che si fermerà qui fino al 12 di maggio. È una Signora che coadiuverà i nostri Padri nella risoluzione delle problematiche relative alla violenza sulle donne, agli atteggiamenti aggressivi delle persone, in particolare dei giovani. Io e Francisco abbiamo conosciuto Alba l’anno scorso - per pochi minuti - all’aeroporto di Città del Messico. È una persona molto calma, molto disponibile, ma molto determinata.
Nel pomeriggio con Barbara, Alba, Marcello e Francisco siamo stati a Calzada Mopàn, una località abbastanza vicina a Dolores di cui vi ho parlato anche negli anni scorsi. Volutamente, come altre volte avevo già fatto, non ho raccontato dove saremmo andati, proprio per stuzzicare l’immaginazione dei nostri compagni di missione.
Alba aveva già visto la località ma non se la ricordava, gli altri due amici, chi più chi meno, hanno accettato di fare l’escursione non immaginandosi mai cosa avrebbero potuto ammirare. In effetti il paesaggio che si presenta è stupendo, ti coinvolge nei ritmi assordanti dell’acqua scrosciante, come in quello delicato di uno scorrere leggero di un rivolo d’acqua, o del risucchio in un mulinello d’acqua di una foglia caduta dagli alberi. Quest’anno c’era tantissima acqua la cui caduta copriva tutti i rumori circostanti, non abbiamo sentito gli uccelli, né tantomeno questa volta le scimmie urlatrici. All’ingresso della cataratta (cascata) i guardiani non ci hanno fatto pagare perché il sentire nominare P. Ottavio ci ha aperto tutte le porte (Calzada Mopàn fa parte del Municipio di Dolores, ma non della Parrocchia e per di più abbiamo scoperto che la moglie del guardiano è ministra dell’Eucarestia ed ha partecipato spesso a riunioni comunitarie delle diverse Parrocchie). Quindi ingresso gratis non senza averci avvertito però che alla cataratta si trovava un distaccamento militare che stava facendo esercitazioni. Nonostante questa presenza siamo arrivati a destino e subito Alba ha riconosciuto il posto; Barbara è rimasta a bocca aperta ed ha commentato in modo entusiastico; Marcello, di carattere abbastanza chiuso, non ha commentato, ma ha girovagato in lungo ed in largo senza peraltro compartire le sue sensazioni. Tutti si sono dedicati a tirare foto ed a ispezionare il posto addentrandosi anche nella foresta. Francisco si è aggregato ai soldati che stavano predisponendosi per una esercitazione: dovevano tirare una fune da un capo all’altro delle rive della cataratta, lasciarsi andare lungo questa fune attaccati ad una carrucola ed a un certo punto lasciarsi cadere nell’acqua. Ho visto gli occhi di Francisco illuminarsi come quando ha incontrato me per la prima volta - sto scherzando - e immediatamente ha chiesto al soldato che si stava per lanciare se poteva provare anche lui. Il giovane, dopo il lancio ed al suo rientro in postazione per eseguirne un altro, ha comunicato a Francisco che il suo capitano aveva acconsentito alla prova purché indossasse il “chaleco salvavida/giubbotto salvagente” per ogni eventualità. Dopo un primo tentativo di reazione e di diniego all’uso del giubbotto (“io so nuotare”) ed alla fermezza del capitano, Francisco si è predisposto per il lancio dopo avermi consegnato i suoi indumenti. Mentre scendevo per assistere all’evento, ho sentito un tonfo nell’acqua: Frasncisco si era già buttato e si era sganciato al momento opportuno secondo le istruzioni del Capitano. L’azione era stata immortalata ma io non avevo visto nulla. Un po’ dispiaciuta sono andata con Francisco a ringraziare il Capitano e mi sono trovata davanti un ragazzino di 30 anni ma molto determinato: al principio non intendeva assolutamente autorizzare il lancio di Francisco per motivi di sicurezza; poi, a seguito delle insistenze di Alba che lo pregava di acconsentire, ha concesso il lancio per una sola volta, e poi a seguito del mio viso deluso, con un sorriso smagliante ha acconsentito “por la segunda vez, pero solo por su esposa”.
Gli occhi di Francisco sono diventati ancora più piccoli per la gioia - solo chi lo conosce sa cosa voglio dire - e correndo scalzo ha ripercorso il cammino per effettuare il secondo tuffo.
È stato un trionfo di spruzzi e di allegria, soprattutto per la sensazione di libertà che ha provato il mio “esposo” il quale non stava più nelle “mutande” dalla gioia: era tornato con il pensiero ai suoi lanci con il paracadute, alle sue scalate in montagna, alle sue discese con gli sci, insomma aveva ritrovato la sensazione della gioventù (Alba ha detto “el se siente aguila!!!). Penso proprio una bellissima sensazione, che ha trasmesso anche a noi che lo guardavamo e che godevamo della sua felicità.
Alla prossima
Rita