24 Novembre 2004 Mercoledì
Oggi levataccia: alle 5.30. Per i Padri e per la popolazione è l’ora normale della sveglia!
Oggi andrò a Tikal. Questo è un sito archeologico Maya, il più importante del Guatemala, così si legge nelle guide e così sapevo anch’io. Giorni fa era stato a Tikal Federico, un giovane nuorese che è qui per fare volontariato e per i suoi studi e vive con noi. Al suo rientro non aveva la faccia di chi è andato a vedere rovine, sia pur maestose, importanti, solenni: aveva un viso diverso, quasi trasognato, direi. Siccome non ero capace di sognare con lui, mi è sembrato un po’ deluso di me e mi ha detto che ne avremmo riparlato dopo che avessi visto anch’io Tikal.
Dunque oggi a Tikal. Appuntamento alle 06.00 per prendere il pulmino che ci porterà a s. Eléna e poi da lì, con un altro pulmino, a Tikal.
Mio compagno di viaggio, con compito di guida è Carlos, un giovane del nostro collegio che sabato prossimo prenderà il diploma di perito in ecologia e turismo con il massimo dei voti. Sta studiando per essere ammesso, il prossimo anno accademico, a frequentare medicina all’università di Sassari. Parla italiano benino.
Intanto comincia ad arrivare con mezz’ora di ritardo (l’ora chapina è sempre in agguato!)
Quindi partenza. Arriviamo all’ingresso del parco alle 09,20. Biglietto: forestieri 50 quetzales, indigeni 15!
Si entra in una foresta splendida e si percorrono quasi 20 km di questa foresta/giungla che mi affascina totalmente. Dietro ogni albero gigantesco mi aspetto di veder comparire il giaguaro (abitante di questi boschi), qualche scimmia appesa ai rami, dei tucani svolazzanti ed altri animali più o meno esotici: niente di tutto questo. Credo che gli animali avessero altre cose da fare che contentare la curiosità dei tantissimi turisti che tutti i giorni, anche oggi, venivano a rompere la loro tranquillità.
Il pulmino ci lascia in un vasto parcheggio e ci avviamo a piedi.
Ci allontaniamo dagli altri gruppi vomitati nella foresta dai numerosi pulmini ed, essendo solo in due, riusciamo a cogliere tutto il fascino del silenzio e dei rumori della giungla.
Carlos si dimostra un ottima guida: mi conduce per sentieri appena tracciati nel folto, non per le agevoli strade dove passano tutti, mi dice i nomi degli alberi e mi spiega l’impiego de loro legname, mi fa assaggiare il frutto del “ramon” una specie di corbezzolo nella forma esterna ma di sapore totalmente diverso e con dentro un solo grande seme. Mi spiega che era il sostentamento del popolo Maya quando c’era siccità e il mais scarseggiava e che oggi lo mangiano le scimmie; Mi parla della Ceiba: l’albero che è diventato emblema nazionale, fantastico nella sua imponenza. Mi fa conoscere l’albero (il Chicozapote) da cui si estrae e soprattutto si estraeva prima che fosse utilizzata quella di sintesi chimica, la chica, l’elemento principale per la cosiddetta gomma americana (anche il Guatemala è America e non solo gli Stati Uniti!). Conosco l’albero che produce il legname più pregiato per costruzioni e mobili. Le capanne/case e chiese delle aldee sono tutte con le pareti formate da larghe e spesse tavole.
Si cammina a lungo nella foresta, bellissima, affascinante, ma di templi maya nessun segno. Lo dico a Carlos che mi chiede di pazientare e che comunque quella zona che stiamo attraversando era tutta abitata e coltivata dai maya che hanno abitato qui dal 900 a.C. (e anche prima) al 300 d.C. Hanno abbandonato questi luoghi perché la carestia li ha costretti a cercare cibo altrove.
Il parco archeologico attuale, comunque, è di 16 km quadrati e sicuramente è molto più grande perché non si è scavato e restaurato tutto. Probabilmente restano preda della foresta con la sua vita prorompente, con le radici dei suoi alberi secolari ed enormi, chissà quanti altri monumenti. È notizia di questi giorni la scoperta di un sito ancora più grande di Tikal, ma tutto da rimettere in luce.
E così, camminando, arriviamo in una radura da dove emergono delle piramidi relativamente piccole, chiamate gemelle perché uguali a due a due e non tutte restaurate. Sono il segno del culto maya che utilizzava l’astronomia, come del resto altre grandi civiltà, per regolare le proprie relazioni con le varie divinità, soprattutto legate alla produzione e al sostentamento: terra, acqua, sole, vento ecc...
Queste piramidi cominciano ad aprire varchi che permettono all’atmosfera che si crea tra giungla misteriosa e rovine, misteriose anch’esse, di entrare nella mia vita. Carlos si dimostra una valida guida ancora una volta, raccontandomi di riti particolari, di guerre e di battaglie tra le popolazioni della zona, di sacrifici umani fatti con una violenza incredibile per noi di oggi (anche se di violenze ne facciamo di peggiori, basti pensare alla fame di tanti e all’agio di pochi, alla mortalità infantile, alla vita basata non sul rispetto della persone ma sull’economia, ecc...).
Continuando la nostra esplorazione, dopo altri bellissimi passi nella giungla, arriviamo ai piedi del tempio maya più alto della zona: il tempio 4: qui tutto é catalogato a cifre e lettere dell’alfabeto.
Del tempio si vede solo la sommità, il resto è tutto avviluppato dalla vegetazione. Enormi alberi sono cresciuti lungo le sue ripide scalinate e radici poderose affondano i loro tentacoli nella profondità della costruzione maya.
Prima di affrontare la scalata (il termine non fu mai più appropriato, perché ci aspettano alte e ripide scale di legno, appoggiate alle sottostanti scalinate in pietra non ancora scavate e restaurate), ci riposiamo un poco, seduti con tanti altri turisti, che nel frattempo abbiamo reincontrato e che da ora in avanti incontreremo sempre durante questa nostra visita. Guardo con trepidazione tutti quei gradini, e non li vedo tutti perché alcune rampe delle ripide scale si perdono lassù in alto nell’intrico della selva: dovrò salire tutti i 70 metri di scale se vorrò arrivare alla cima del tempio!
Ripreso fiato dopo la camminata nella foresta, cominciamo a salire le scale di legno. La salita è sempre più faticosa ed io affanno abbondantemente mentre con lo sguardo cerco ansiosamente il punto dove finiscono finalmente queste scale!
Alla fine si arriva. La vista che si gode da quassù è qualcosa di incredibile! In tutte le direzioni si distende una foresta infinita, intensamente verde. Da qui si vedono le cime degli alberi che formano come un immenso, intenso tappeto di smeraldo. Verso occidente, dalle cime degli alberi spuntano le “creste” (così qui le chiamano) di altri templi: il n. 5, 2, 1, 3 e il Mundo perdido. Sopra di me la cima del tempio n. 4: non si può salire fin lassù. È proprio il caso di fermarsi, astrarre da tutte le voci degli altri visitatori che mi circondano, fare silenzio dentro di me, visto che fuori non si può fare, e lasciare parlare quella natura ricca di tutto quel verde e delle antiche vestigia che sto calpestando.
Nella mente si affollano tanti pensieri e soprattutto la LODE a Dio, capace di tali realizzazioni.
Dopo aver goduto quell’immensità palpitante, si affronta la discesa: è più facile di quanto avessi immaginato e velocemente arrivo alla base.
Il cammino nella foresta continua. Arriviamo al Mundo perdido. Di nuovo piramidi restaurate e no e abitazioni e soprattutto alberi e foresta. Incontriamo un gruppo d’italiani e davanti al tempio n. 3, prima un tucano, poi uno più piccolo e poi un altro e un altro ancora: tanti tucani affollano le chiome degli alberi sopra di noi: colori vivacissimi, la coda gialla, il becco rosso, il corpo nero, e altre chiazze di altri colori vivacissimi, volano di albero in albero facendosi ammirare.
Sosta per mangiare il pranzo al sacco che ci ha preparato il p. Giorgio. Ci accoglie una capanna con tanti tavoli, preparati proprio in vista di tali soste. Di fronte a noi i servizi igienici. Tutto qui è molto pulito e curato e ci sono gli incaricati che pensano a rendere il posto sempre accogliente. Qui nessuno butta per terra l’immondezza creata con avanzi vari. Ci sono tanti raccoglitori e ciascuno si sente in obbligo di non inquinare un mondo così bello.
Dopo dieci minuti di riposo dopo il pranzo, si cammina ancora per un poco e si è subito dietro lo splendido tempio 2 detto anche del mascherone o della regina perché il mascherone in rilievo sulla cima della sua facciata rappresenta il viso della regina. Su questo tempio si può salire attraverso, anche qui, delle scale di legno. La facciata principale del tempio dà in una bellissima piazza con un prato verde molto curato. Di fronte si erge il gemello tempio n. 1 o del giaguaro, per la testa di giaguaro che fa pandam a quella della regina e che rappresenta il re di cui non mi ricordo il nome e che era chiamato il giaguaro.
Saliamo le scale che portano alla sommità del tempio 2 e via via che si sale mi accorgo dello splendore di quella piazza, del tempio di fronte a noi, delle costruzioni mastodontiche a destra e a sinistra (le acropoli) dove si svolgeva la vita amministrativa e quella civile del popolo maya. Anche questi quaranta metri di scale sono superati e di nuovo ti entra dentro quel qualcosa che ti obbliga a fermarti, fare silenzio, riflettere, fare entrare immagini, ricordi di cose mai vissute, sensazioni nuove e ancestrali: il tutto in un rimescolìo che mette a nudo tante parti di te stesso che non sospettavi neppure di avere.
Come ho già detto, sulla cresta del tempio di fronte a noi (il n. 1) c’è la figura del giaguaro, simbolo del re che lo ha costruito e sulla cresta di quello sul quale mi trovo c’è il mascherone della sua sposa. Non riesco, per ora a distinguere né l’uno né l’altro: Il giaguaro lo vedrò poi dal prato, il mascherone ho dovuto solo immaginarmelo perché non sono riuscito a distinguerlo!.
Ci fermiamo a lungo in questa zona dall’atmosfera magica e mentre saliamo e scendiamo per le scalinate, mentre entriamo nelle abitazioni nobiliari, mentre camminiamo su sentieri elevati dal livello del prato della piazza, continuamente nuovi scorci mozzafiato si aprono davanti ai nostri occhi e alla nostra mente e fantasia.
“Quello è il campo di calcio” mi dice Carlos indicando sul lato destro del tempio n. 1 un rettangolo di circa 4 mt x 10 coperto di erba verde con lungo i lati lunghi le gradinate. Avevo sentito parlare del gioco della pelota dei Maya, ma m’immaginavo qualcosa di più imponente: quel piccolo riquadro verde ridimensiona tante mie fantasie!
Mi sono disteso sul prato a sognare e poi... bisogna rientrare perché devo confermare il volo da città del Guatemala a città del México e l’agenzia chiude alle 17.00 e se non si conferma non si trova più posto.
Confermato il volo e pagato il relativo biglietto, si va a Flores dove una bella birra fresca cancella un po’ di sete e di calura accumulati durante la giornata.
Una visitina a Internet: il p. Daniele ha già messo in movimento i suoi amici messicani che verranno a prelevarmi all’aeroporto e sarò loro ospite nel mio breve soggiorno mexicano.
A cena da “Picasso”, sempre a Flores, una pizzeria gestita da un torinese, ormai di fatto guatemalteco avendo anche sposato una di qui. La pizza è passabile ma ha un sapore particolare, buono ma diverso da quello delle nostre pizze.
Rientro con una corriera al volante della quale un autista con vocazione da gran premio, oppure ubriaco o pazzo! Quando scendo dalla camioneta, ringrazio vivamente Dio di essere arrivato sano e salvo!
Ritorna a sommario vai a pag. 25 e 26 novembre