28 Novembre 2004 Domenica
Missioni

28 Novembre 2004 Domenica

Alle 08.00 siamo partiti per Naranjon. La strada è stata appena sistemata da un greder che in questi giorni sta lavorando in Dolores e dintorni e quindi è sufficientemente scorrevole. Non mi fraintendete, niente di rassomigliante a una nostra strada, neanche le piú abbandonate, ma il carro Toyota del p. Ottavio la percorre agevolmente e dopo una ora e dieci arriviamo sul posto.
Come al solito il luogo è splendido e gli abitanti molto accoglienti e felici per la venuta del padre. Con noi sono anche, oltre suor Josefina, suor Blanca (la sua superiora e direttrice del centro nutrizionale) e una dottoressa argentina che presta la sua opera di volontaria presso detto centro.
In questa aldea si parla la lingua Quechí: una antica lingua maya, una lingua vera e propria che non rassomiglia neanche lontanamente allo spagnolo o ad altra lingua che io conosca o abbia sentito. Qui le scuole sono di insegnamento bilingue. Per ora c’è solo la scuola elementare con ben 7 maestre, ma contano di avere presto - l’hanno prossimo se riusciranno - il corso basico, cioé le nostre scuole medie.
Il p. Ottavio si serve di un intereprete, il catechista, che conosce tutte e due le lingue: spagnolo e quechí. La messa sarà bilingüe, naturalmente.
Oggi qui a Narajon è la festa patronale: la medaglia miracolosa. È anche la festa delle suore che sono con noi perché sono suore della carità (vincenziane). Ci sono le cresime (12), i battesimi (3) e le prime comunioni (6).
La comunità cattolica ha qualche problema al suo interno. Il catechista raduna i responsabili della comunità perché il p. Ottavio ci possa parlare e con loro chiarire ogni cosa. Dopo due lunghissime ore di discussione con questi responssabili, il p. Ottavio e le suore riescono a portare la necesaria serenità perché la comunità possa continuare bene il suo cammino di fede.
Vedo molto movimento intorno e dentro la cucina comune. Dirimpetto alla chiesa c’è appunto la cucina comune (come anche in altre aldee) ed oggi è in funzione perché tutti sono invitati a condividere il pasto. Faccio un po’ di foto alle mamme affaccendate attorno alle pentole nelle quali galleggiano patate, verdure varie, pezzi di pollo. Una di loro mi avvicina e mi chiede di fare qualche foto durante la cresima (così, almeno io ho capito). Rispondo di si e continuo a filmare le scene culinarie.
La chiesetta è abbastanza carina e curata, addobbata per la festa e con fiori freschi, invece dei soliti fiori di carta che qui sembrano andare fortissimo!
Don Carlos c’invita a casa sua per il pranzo: la suora Josefina dovrà fare da madrina alle sue due figlie che riceveranno la cresima. Veniamo così allontanati dal luogo dove la comunità pranza tutta riunita: peccato!

La casa di Carlos è poverissima: una capanna dove dorme tutta la famiglia insieme e un’altra capanna costruita a metà: la cucina. L’ambiente è veramente misero, ma c’è aria di festa e tutti sono contenti che noi: padri, suore e la dottora siamo loro ospiti. Hanno solo due panchette dove si siedono la dottora e la madrina (suor Josefina) mentre il p. Ottavio si siede su un’amaca ed io con suor blanca sui bordi di un tavolino ingombro di ogni cosa. Arriva il pasto: pollo in brodo, in una tazza da caffellatte e dobbiamo mangiare con le mani perché non ci sono posate. Segue anche il “tamal”: pasta di mais che avvolge della carne, il tutto a sua volta avvolto con un pezzo di foglia di banana e fatto cuocere a bagnomaria: una squisitezza, mi si dice, perché non ho avuto il “coraggio” di assaggiarlo. La bevanda è una tazzona di cioccolato che mi guardo bene dal bere: Montezuma, o chi per lui, è sempre in agguato! Un pranzo eccezionale veramente che sicuramente avrà messo a dura prova le magre entrate della famiglia.
Terminato il pranzo andiamo via con una certa sollecitudine per dare modo a tutti, soprattutto alle ragazze cresimande, di prepararsi per la funzione religisa che si svolgerà di lì a poco.

Mi avventuro nella direzione della giungla e arrivo dopo pochi minuti ad una grande roccia alla cui base scaturisce una sorgente, che poi diventa ruscello. L’acqua è incanalata da un tubo da 15 cm e da esso zampilla a getto pieno formando un laghetto dove maestosamente galleggiano alcune papere e relativi “bambini”. Per arrivare al tubo e poter bere ci vogliono gli stivali con i quali entrare in questa pozza d’acqua, ma io non li ho. Mi spenzolo ugualmente sulla pozza antistante la sorgente, formata dal getto, rischiando di finire ingloriosamente nell'acqua, dove sguazzano allegramente le papere. Con molto sforzo, sporgendomi verso equilibri sempre più precari, e tendendo la mano, riesco a bere dalla mia stessa mano protesa sotto il tubo.Tornato alla chiesetta vedo che nello spiazzo che la fiancheggia e che è stato ricavato da poco, rubandolo alla boscaglia, è in corso un partecipatissimo gioco: la pentolaccia e padre Ottavio anima il tutto. Una quarantina di bambini assediano un loro compagno debitamente bendato, aspettando che, rompa a legnate, il fantoccio che spenzola da una fune ed è maneggiato con maestria dal p. Ottavio. Da questo fantoccio, quando colpito dal randello e rotto, salteranno fuori tante caramelle. Il gioco è molto appassionante. Quando finalmente il fantoccio cede il suo tesoro, il gioco ha termine e tra le grida festose di tutti, si va in chiesa.
Confessioni e poi messa. Oggi è la prima domenica di avvento ma per Narajon è la festa patronale della Vergine della Medaglia mniracolosa.
Confesso le ragazzine della cresima e qualche genitore e poi comincia la messa. La chiesa è gremita e c’è molta gente fuori perché dentro non ci sta più nessuno. Rivedo mentalmente le cresime, comunioni e battesimi che si celebrano nelle nostre chiese. Qui al centro di tutto c’è veramente solo il sacramento, ricevuto con il vestito più bello (non pensate ai nostri vestiti!) e non ci sono ristoranti prenotati, regali favolosi e cose del genere. C’è gioia grande ed è perché Dio ci dona la vita (battesimo), se stesso (comunione) e il Suo Santo Spirito (cresima). Da noi questa gioia l’abbiamo dimenticata da un pezzo, indulgendo a un consumismo che fa passare in secondo piano il sacramento.

La ragazze della cresima sono tutte vestite elegantemente ed hanno tutte un veletto bianco, adornato con qualcosa, sempre bianca, sulla testa. Mi sono chiesto come fanno a essere così pulite e con i vestiti perfettamente stirati e pulitissimi, visto che in “casa” non hanno armadi e dappertutto, ma proprio dappertutto, è pieno di fango: sarà uno dei tanti misteri che mi porterò dietro!
Cantano e suonano, animando la messa, quelli dell’aldea di di Sacul Arriba (l’aldea vicina).
Si arriva al momento delle cresime ed io mi do da fare per le foto dei ragazzi (qui non ci sono fotografi che si disputano i clienti!). A un certo punto una ragazza si presenta senza madrina. Il p. Ottavio chiede che la madrina si faccia avanti e la madre della ragazza, indicando me dice: ”No madrina, padrino, el” Ottavio mi guarda e mi dice: “sembra che il padrino sia tu”. Riconosco la signora che nella cucina avevo capito mi chiedesse delle foto per la cresima: non erano foto che voleva, ma mi chiedeva di fare da padrino a sua figlia. Subito mi metto a fianco di Ana Lucrecia (così si chiama la mia ahijada (figlioccia) e divento padrino di una ragazza del Guatemala.
Sono contento, ma non so proprio come si usa qui: non so neppure come si chiamano i miei compari, anzi non so neppure chi sia il babbo. Poi apprendo che il papà di Ana è don Pedro, uno dei papà che hanno partecipato alla riunione chiairificatrice della mattina.
Dopo la celebrazione, un po’ di foto di rito. La foto con la mia figlioccia me la fa la dottora argentina. Non ho con me niente che rassomigli a un regalo, e neanche soldi ho con me, neppure un quetzale, tanto, nelle aldee, come lo avrei speso? Chiedo un prestito al p. Ottavio e lascio un po’ di soldini ad Ana. Raccolgo un po’ di dati, da quelli forniti per il registro, eccoli: Ana LucreciaVárquez Ramírez di Pedro Várquez Perez e di Maria Paula Ramírez nata a Sacul Arriba il 18 ottobre 1990, frequenta il quinto anno delle elementari. Resto un po’ deluso per i 14 anni = 5 elementare ma mi dicono che per le ragazze delle aldee è un sucesso e che sono poche quelle che terminano le elementari. Mi chiedo cosa può fare un padrino italiano per una figlioccia guatemalteca che neppure conosce bene. Mah!
La giornata si conclude con il rientro a casa. Questa volta mi porto dietro anche una gioia e una preoccupazione in più.

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