sesto invio
Missioni

Oggi è venerdì santo 10 aprile. Ieri 9 aprile sono stato la mattina a Naranjón e il pomeriggio a Suculté: la festa dell’istituzione del sacerdozio. Sono felice di essere qui, tra questa gente a fare queste celebrazioni spoglie, essenziali. Un altare che mai noi chiameremmo altare, una tovaglia approssimativa, le ostie in un contenitore di plastica (una specie di formaggiera), l’illuminazione di una pila negli ambienti profondamente bui di queste chiese che sono capanne. Ma Gesù è lo stesso, quello che si celebra nelle nostre belle chiese, inondate di luce a tutte le ore, con altari che sono altari, spesso splendidi altari, e con suppellettili che sono espressione della fede delle nostre comunità e che sono il meglio che ci sia. Ma Gesù è lo stesso. E quando dico questo è il mio Corpo, sia qui che in Italia, avviene la stessa cosa: Gesù si fa presente nel pane e nel vino e sia in Italia che qui viene adorato, ricevuto, condiviso. Due celebrazioni dello stesso evento, quella del mattino e quella della sera, ma in due luoghi diversi, con persone di formazione differente, unite dalla stessa fede.

Naranjon

La mattina, una comunità con molti Quechíes Comunità molto povera e molto divisa anche a causa di una forte presenza di Protestanti Evangelici. È la Comunità della mia figlioccia Ana Lucrezia che nei giorni passati ho incontrato a Poptúm: in chiesa c’era lei e tutti i suoi familiari. A proposito di chiesa, a Naranjón (la mattina), una baracca di travi di legno piantate in terra, senza pavimento e senza arredi; niente luce e, sebbene fuori ci fosse un sole splendente (e caldissimo), dentro c’era una penombra soffusa che non ti permette di leggere se non con l’aiuto della pila perché non hanno luce elettrica. La sera (a Suculté) una Comunità meglio organizzata che ha tirato su una chiesa (mancano ancora infissi e pavimento ma non se ne sente tanto la mancanza), una chiesa in muratura, bella grande e che si è riempita. L’altare è un semicerchio in cemento e anche la tovaglia è bella. Sia la mattina che la sera canti a squarciagola, come sempre e dappertutto. La mattina la celebrazione è stata bilingue: vangelo e omelia prima in spagnolo e poi in quechí: cosa avete capito, non ho imparato questa lingua, il catechista ha letto dalla Bibbia in quechí e ha tradotto l’omelia via via che la pronunciavo. Anche i canti erano prevalentemente in quechí.

Suculté

Alla sera ho amministrato anche il mio primo battesimo in terra guatemalteca: il bambino si chiama Wualberto. Ho confessato molto sia a Naranjón che a Suculté: il mio sacerdozio, nel giorno della sua istituzione, godeva. Dopo la Messa della sera siamo andati, assieme al padre Ottavio ad amministrare il sacramento dell’unzione degli infermi alla mamma, gravemente malata, di suor Sara, una suora domenicana, presente alla celebrazione della Cena del Signore e ora in casa sua, vicino a sua madre. Sono rientrato a casa spossato ma con una incontenibile gioia dentro di me: anche in Italia mi sento sacerdote, come pure tutti i miei confratelli, sia religiosi che diocesani e siamo ben felici di esserlo. Qui mi sento come più vicino alla realtà che celebro perché trovo un Gesù povero che fatica con questa gente e condivide sudore e lavoro e soprattutto condivide sé stesso in quella essenzialità che te lo fa percepire maggiormente presente.
Oggi 10 aprile, venerdì santo, la mattina siamo rimasti a Dolores dove alle 9.00 c’è stata una via crucis cittadina. Volevo partecipare ma il sole picchiava giù forte ed io ho problemi di pelle, così ho rinunciato. Mi sono messo a recitare il breviario e l’ho terminato con fatica perché mi è sopraggiunto un grande torpore forse frutto delle fatiche di questi giorni.

via crucis a Dolores
 

Alle 14.30 si parte per la celebrazione della Passione di Gesù: il p. Ottavio per El Pedregal ed io per Limones. Prima della celebrazione, confessioni: come al solito numerose. È seguita la celebrazione in una “chiesa”: una capanna di tavoloni senza pavimento e con l’altare (che vedrete nella foto) che ha la mensa ricavata da una sola tavola, lavorata con l’ascia: cioè non sa neppure dove abita la pialla! Le due missionarie (Regina ed Etel) hanno preparato una celebrazione essenziale come l’ambiente ma molto significativa.

Limones      

La Comunità ha partecipato coinvolta: dovevate vedere l’adorazione della croce, ho visto persone che si attaccavano a quella croce con forza come chi sa che è una risposta sicura e rassicurante alla tua vita, come chi ha messo in quel segno di Passione e di Salvezza tutte le sue speranze: ne sono rimasto forse sconvolto (dico forse perché non trovo un vocabolo più appropriato), pensando alle nostre adorazioni molto asettiche ma molto liturgiche.

Toyota

Il viaggio del ritorno mi è sembrato interminabile in quelle cosiddette strade che tutto possono essere: cave di pietra, pozze di acqua stagnante, collezione di buche, tratturi erbosi, ma strade proprio no, per il concetto che io ho di strada. E queste "strade" i nostri missionari le percorrono spesso perché hanno dentro di sé l’urgenza della Parola di vita. Il carro (la toyota che porta padre Ottavio, dono mi ha detto di un amico fiorentino) sobbalza si ferma, ci ripensa, scala rocce, guada fiumi, “brinca” (perché è un carro brincone), guarda da lontano salite impossibili e le affronta con coraggio, superandole con orgoglio. Questa toyota mi sembra che non ne possa proprio più e i nostri amici missionari rischiano di restare a piedi. Andranno comunque alle loro aldee, perché il Vangelo gli brucia dentro, ma non potranno visitarle più con frequenza: le distanze sono grandi (oggi due ore e mezza di macchina per andare ed altrettante per tornare) e la giornata ha sempre quel numero di ore! Approfitto per invitare qui chi ha bisogno di fisioterapia: dopo un viaggio come quelli che stiamo facendo in questi giorni, sicuramente le giunture si sciolgono. I missionari che sono venuti per la settimana santa e che troviamo a due a due in ogni aldea sono dei grandi: hanno lasciato tutto e sono qui a lasciarsi divorare da moscerini di ogni specie, zanzare e quant’altro, a mangiare quasi niente, a dormire su letti approssimativi senza, naturalmente lenzuola e con qualche coperta rimediata dalle suore. Secondo me sono eroi. Quando finalmente arrivo a casa penso che sarà bello concludere questa giornata incontrandovi in questo diario. In questi giorni prego molto per tutti voi, amici, che possiate incontrare sempre Gesù nelle strade della vostra vita e che sappiate condividere con le persone che la Provvidenza mette sulla vostra strada, la gioia di questo incontro. Non so se potrò scrivervi prima di Pasqua, spero di sì, comunque penso che i miei auguri di Pasqua per voi siano chiari in questo messaggio che ho appena terminato di scrivere e sono le 24.25 di qui, le vostre 08.25 Un abbraccio Pasquale
P. Alberto

Buenas noches soy Francisco….oggi Dolores 10 aprile 2009 il diario inizia da:
Venerdì 3 aprile. Partenza da Dolores con Romeo alle 10 per arrivare intorno alle 11 a Sant’Elèna, ora in cui, volo permettendo dalla Città del Guatemala, sarebbero arrivate le new entry della compagnia. Il volo è stato in perfetto orario tant’è che intorno alle 12, accompagnate da P.Alberto e da Romeo, Alexandra e Silvana, hanno fatto il loro ingresso “trionfale” alla Maxi Bodega dove con Chepe facevamo un “pochino” di approvvigionamenti per la compagnia. Saluti, baci e abbracci di rito e da subito, senza frapporre tempo in mezzo, le nuove arrivate, esprimendo le loro valutazioni in fatto di acquisti, si sono unite a noi per continuare la spesa. Quel giorno sembrava che il sole avesse innestato la quinta perché sul piazzale del maxi mercato quasi non si riusciva a passare tanto era intensa la calura.

Arrivo Alexandra e Silvana

Comunque alla fine siamo riusciti a rientrare a Dolores, abbiamo preparato in fretta e furia una ricca spaghettata all’italiana e nel pomeriggio, tanto per far ambientare da subito le nuove arrivate, abbiamo preso un minibus e siamo andati tutti insieme a Poptun dove P. Alberto aveva un appuntamento con la sua figlioccia visto anche che, da diverso tempo, cercava di mettersi in contatto con lei. Con P. Alberto, Ana Lucrezia (la figlioccia) e il nostro gruppo andiamo in giro per le tiendas di Poptun per fare acquisti necessari per Ana. Finiti gli acquisti, prima di rientrare, veloce visita alla Signora Alba e alle sue figlie ed infine con Romeo, tutti insieme rientro alla casa, cena e a nanna per essere pronti e pimpanti per le avventure del giorno dopo.
Sabato 4 aprile. Nulla di particolarmente importante o di avventuroso almeno nel corso della mattina. Solo attività di poco conto. Al pomeriggio, tutti al centro Poliformativo, dove ci sarà l’incontro con i “Misioneros” arrivati a Dolores per la Settimana Santa. Il programma riservato agli oltre cinquanta giovani e meno giovani provenienti oltre che dallo stesso Guatemala, anche da nazioni come Perù, Cile, Costarica etc. etc. è quello di essere avviati a passare l’intera Settimana Santa a stretto contatto con i Campesinos delle 25 aldee che la Parrocchia di Dolores gestisce attraverso programmi di vario genere.

Misioneros
     

P. Ottavio in quell’occasione ci informa che il giorno dopo alla fine della S. Messa, quando ai Misioneros verrà comunicata la destinazione, questi, prima di essere avviati alle aldee assegnate, verranno nella casa dove stiamo noi per la consumazione di un pranzo al sacco.
Domenica 5 aprile. Da noi in Italia sarebbe la Domenica delle Palme mentre qui a Dolores si chiama “Domingo de ramos”. L’appuntamento è alle 8,30 del mattino presso il Centro Nutrizionale delle Suore. Arriviamo tutti in perfetto orario. Ciò che ci lascia “allibiti” è incontrare alle 8,30 in punto P. Giorgio mentre scende dal suo fido motorino. Tutti insieme, come se qualcuno ci avesse preparati prima, ci guardiamo con stupore chiedendoci cosa possa essere successo visto che solitamente il quarto d’ora accademico per P. Giorgio è la norma. Uno sguardo veloce intorno: le sensazioni che provo non sono le stesse dello scorso anno. Quest’anno al Centro ci sono meno addobbi, vedo meno gente… La cerimonia della benedizione delle Palme ha inizio, tutti sollevano le Palme al cielo aspettando che una goccia di Acqua Santa le colpisca.

Domingo de ramos

Dopo, la Processione ha inizio, i Misioneros, che prima non riuscivo ad individuare, sono lì che aspettano di accordarsi per arrivare alla Parrocchia dove P. Giorgio e P. Alberto e P. Ottavio concelebreranno la S. Messa. Alla fine P. Ottavio presenta i Missioneros ai Fedeli che numerosi riempiono la Chiesa. In quella occasione viene consegnato loro una Croce di legno e viene comunicato il nome dell’aldea dove ognuno e destinato. Tra questi ci sono anche Claribel e Mixin, le ragazze che, quando è possibile, ci danno lezioni di spagnolo. La prima andrà a stare con altri due presso l’aldea di Sacúl Arriba mentre l’altra ha dato la disponibilità per “misionare” solo a Dolores. La S. Messa finisce e tutti si dirigono alla casa di accoglienza per consentire ai Misioneros di pranzare prima delle partenze per le varie aldee.

Pranzo al sacco dei Missionari nella casa di accoglienza

Il pomeriggio della domenica passa in modo tranquillo e con la mente proiettata all’impegno del giorno dopo. La sera Chepe si avvicina e con fare contrito ci dice che non potrà venire con noi perché pare che gli sia venuto un attacco di mal di pancia per cui, onde evitare di avere problemi lui e di crearne a noi, sembra voler rinunciare. Alexandra è lì e sente il lamento di Pino. Si offre per risolvergli il problema e consentirgli di affrontare l’avventura di Los Arroios. Lunedì 6 aprile. Sveglia presto, colazione abbondante, preparazione dello zaino e partenza con P. Ottavio ai comandi del Pik Up. P. Alberto si siede davanti, dietro saliamo in tre, Silvana, Chepe e io. Alexandra non fa parte della nostra compagnia, si ferma nella casa perché nelle prime ore del pomeriggio alle 14 ha un appuntamento con Marcellino, il Promotore di salúd dental La strada per arrivare a destinazione è oltremodo sconnessa. Si fa una grande fatica per cercare di limitare i sobbalzi. A volte capita che un attimo di distrazione o ci fa sbattere la testa sulla portiera oppure sul tettuccio della macchina. Il paesaggio tutto intorno, nonostante la strada, è bellissimo. Ai lati della strada moltissimi banani carichi di caschi che farebbero venire voglia di fermarsi per raccogliere banane direttamente dalla pianta. Dopo un’ora passata a “brincar” come si dice qui, si arriva a Sacúl Arriba. P. Alberto si fermerà in quell’aldea per celebrare la S. Messa e poi, a piedi, arriverà all’aldea di Centro Maya dove celebrerà un’altra Messa. Alla partenza abbiamo la gradita sorpresa di fare la conoscenza di Marcelino, un giovane campesino di Los Arroios, è venuto a prenderci per farci da guida. Pensate che si è fatto la strada da casa sua fino a Sacúl Arriba per aspettarci. Chiedo a P. Ottavio come mai e mi risponde che, per loro, è normale farsi quella strada in continuazione anche perché, per necessità di materiali e alimenti devono scendere a valle. Dopo le presentazioni di rito e aver ricevuto le istruzioni per affrontare la camminata, zaino in spalla, e via per l’avventura.
Alla partenza siamo tutti pimpanti, si ride e si scherza con Padre Ottavio, Chepe si offre di fare da apripista, P. Ottavio è dietro di lui, Silvana è davanti a me che insieme a Marcelino chiudiamo la fila. Attraversiamo un campo di calcio lunghissimo dove pascolano maiali, cavalli, tacchini, galline faraone e non, che pigolano in continuazione ingurgitando insetti e vermi. Ben presto ci lasciamo alle spalle le capanne di Sacúl Arriba, dopo qualche minuto il piano lascia il posto alla salita che parte subito con una buona pendenza. Mentre andiamo P. Ottavio ci informa che alla fine della salita sulla sinistra, verso la giungla, c’è il Cimitero dell’aldea. Per me é inconcepibile pensare che un posto simile debba trovarsi così distante dal centro dell’aldea e per di più dopo una ripida salita che con tutta probabilità, nel corso di un funerale, dovrà farsi con la bara in spalle. Superiamo anche quel punto e dopo una mezz’ora di salita vedo che Chepe inizia ad accorciare il passo. Si vede che risente del fatto di non essere allenato. Si suda tantissimo, suggerisco di non fare l’errore di bere subito altrimenti tutto diventa più difficile. Metto in pratica le mie conoscenze di camminate in montagna fatte da militare alpino. Il paesaggio è bellissimo, lungo il percorso piante altissime che in certi tratti non consentono neppure la vista del sole. Nei miei racconti, anche degli anni precedenti, non ricordo di aver mai detto che una delle caratteristiche di questa zona del Guatemala è che il Pétén è fatto di gigantesche colline per cui è un saliscendi continuo. Ben presto le battute lasciano il posto a lunghi momenti di silenzio. In testa vedo che Pino fa fatica a mantenere l’andatura. P. Ottavio anche lui affaticato, cammina sempre con un passo costante, Silvana vedo che non ha problemi anche perché mi ha raccontato che fa attività sportiva. Da parte mia, anche se che mi ritengo un buon camminatore memore delle scalate e camminate alpine, non avendo tenuto conto della temperatura di questi posti, anche per me la fatica si fa sentire eccome…. Tutti insieme continuiamo la marcia di avvicinamento al Los Arroios, il paesaggio è sempre stupendo, incontriamo delle piante con dei fiori bellissimi, sembrano orchidee, Silvana si ferma per raccoglierne e portarne ad Alexandra che è rimasta a casa. In questo modo spezza la fila e “costringe” il nostro accompagnatore e me a fermarci per aspettarla. Dopo aver ribadito che per evitare eccessivi affaticamenti è necessario che la fila rimanga compatta riprendiamo la nostra salita. Lungo il tragitto e prima di arrivare facciamo due soste una significativa sull’argine di un fiume dove approfittiamo per rinfrescarci e bere acqua corrente. Lì incontriamo un altro gruppo che P. Ottavio ci dice essere di una organizzazione simile al nostro Corpo Forestale. Sono molto giovani tranne uno che sembra essere il capo. Noto comunque che tutti portano l’inseparabile machete. Dopo una sosta di quindici minuti e dopo aver fatto diverse fotografie riprendiamo il nostro avvicinamento. Alla ripartenza vedo che Marcelino non è più con noi, mi giro diverse volte per vedere che fine a fatto e non vedendolo chiedo a P. Ottavio che mi dice di non preoccuparmi in quanto è normale. Si è fermato a scambiare due chiacchiere con il gruppo incontrato. Da lì a poco e senza neppure accorgermi vedo che Marcelino è al mio fianco; è arrivato in men che non si dica segno evidente di come è abituato a muoversi nel suo ambiente che per lui è naturale. Scolliniamo un’altra volta e prima di riprendere il cammino P. Ottavio mi dice che in cima alla collina c’è linea e si può telefonare. Chiamo Rita perché è da alcuni giorni, dopo la sua partenza, che non ci si sente. Dopo tre ore e mezza di cammino arriviamo finalmente a vedere la vallata dove c’è Los Arroios. Vista così dall’alto è un bel vedere, le case sono distanti l’una dall’altra segno evidente che non ci sono problemi di spazio.

Los Arroios

Arriviamo finalmente alla chiesa che, ironia della sorte, anch’essa è proprio in cima ad una collinetta. P.Ottavio scherzando dice che per chi arriva prima, c’è in palio un premio, nessuno si fa attrarre dalla possibilità di conquistarlo e lemme lemme affrontiamo l’ultima fatica. Marcelino, ha portato a termine il suo compito e non lo vediamo più intorno a noi, lo rincontreremo alla fine sulla strada del ritorno. Dopo un veloce ambientamento e un cambio di maglietta, visto che quella che avevamo indosso è fradicia di sudore, P. Ottavio si prepara a celebrare la S. Messa. In chiesa facciamo la conoscenza con i due Misioneros che da domenica si trovano in quell’aldea, sono persone meravigliose, un giovane che arriva dal Costarica e una signora che arriva dal Perù. Non mi ricordo i loro nomi ma sono veramente in gamba perché lui cerca in tutti i modi di coinvolgere i presenti suonando la chitarra e intonando un canto che sembra essere una macarena, lei si dà da fare cercando di convincere anche le donne che con molta ritrosia provano a partecipare. Ci riescono dopo vari tentativi e un poco anche con la nostra collaborazione. I primi a lasciarsi coinvolgere sono proprio gli uomini che a differenza delle donne sono quelli che partecipano al gioco musicale intentato dai Missionari. La Chiesa, come tante altre, piccola e fatta con assi di legno e con il pavimento in terra battuta, non può ospitare tanta gente. Il fatto che all’interno ci siano poche panche e mal ridotte è significativo di quanto possa essere la partecipazione. I miei pensieri trovano conferma al momento della celebrazione, c’è poca gente e P. Ottavio decide di aspettare un poco. La S. Messa viene celebrata, si tratta di una cerimonia semplice ma toccante anche perché nel corso della celebrazione è stato celebrato anche un Battesimo. Alla fine, quando oramai sono le 14,30 e senza che, come succede in quasi tutte le altre aldee, nessuno si sia offerto per offrire il pranzo decidiamo di ripartire, Il sole è cocente, fa caldo ma dobbiamo rientrare. Sulla strada del rientro Silvana ha un crampo ad un polpaccio che le fa fare un ruzzolone. Nulla di grave, superato il momento ripartiamo. Non mi dilungo a raccontare il rientro che tutto sommato è stato decisamente più veloce dell’andata ma voglio citare un fatto significativo.

Per la strada

Sulla strada del ritorno quando eravamo quasi giunti all’arrivo incontriamo un giovane che con passo alquanto celere percorre la strada per Los Arroios. Lo osservo, mi pare di conoscerlo e P. Ottavio come se mi avesse letto nel pensiero mi dice che quello è il Padrino del bimbo battezzato nell’aldea. Pensate dopo la cerimonia è andato fino a Sacúl Arriba per fare compere e ce lo ritroviamo sulla strada del rientro senza alcun segno di affaticamento… Arriviamo in una tienda e ci fermiamo. Chiediamo se vendono dell’acqua ma non se ne trova, ci offrono della Pepsi Cola. Meglio quella che niente ne prendiamo subito tre una a testa e spendiamo solo 10,5 quetzales (1,5 euro). P. Ottavio parla con delle persone e quando arriva anche lui beve una Pepsi e io gli faccio compagnia con un’altra. Sono per fortuna fresche perché il proprietario si serve di un piccolo gruppo elettrogeno che usa per far funzionare il frigorifero e illuminare il locale. Siamo pronti per partire e raggiungere P. Alberto che troviamo al Centro Maya, un’altra aldea vicina a Sacúl Arriba e che è stato possibile per lui raggiungere a piedi. Tra una cosa e l’altra si sono fatte quasi le sette e si decide di rientrare, arriviamo a casa che sono quasi le otto e trenta. Nonostante la stanchezza decidiamo di prepararci almeno una spaghettata olio e aglio. Andiamo a dormire abbastanza presto in quanto domani ci aspettano altre aldee e a me aspetta un compito diverso e interessante. Sarò a Sacúl Abajo con Alexandra.
Martedi 7 aprile. Sveglia presto e colazione con i dolcetti preparati la sera prima da Alexandra che ricordo si era fermata a casa per organizzare i preparativi per l’andata a Sacùl Abaco. Alle otto l’appuntamento con Marcelino l’apprendista dentista. L’ambulatorio dentistico per fortuna si trova a fianco della casa dove stiamo noi. Marcelino si è preoccupato di noleggiare un a macchina in quanto P. Ottavio con gli altri sono diretti ad altre aldee. Il caricamento dei materiali è già a buon punto, il “lettino” dentistico è sulla “palangana”, viene caricato un gruppo elettrogeno che serve per dare corrente agli strumenti e un compressore per far funzionare i trapani che Alexandra dovrà usare nel caso di qualche impiombatura. La macchina è un pik up della Toyota con una cabina piccola. Alexandra e io saliamo davanti e, non essendoci più spazio se non per l’autista del mezzo, Marcelino e un ragazzo che dev’essere il figlio dell’autista salgono dietro, anche per evitare che lungo strada particolarmente sconnessa e con i sicuri sballottamenti, il materiale caricato possa subire danni. La macchina noleggiata presenta da subito qualche problemino, ha il vetro del finestrino, lato passeggero e autista che non funziona, mancano le maniglie per manovrarli. Spero che non piova. Da lì a poco come se “Qualcuno” mi avesse sentito inizia a piovere. Alexandra non ha problemi perché si trova in mezzo io e l’autista paghiamo il fatto di essere vicini ai finestrini per cui ci ritroviamo di lì a poco, io con la parte destra completamente bagnata e l’autista con la sinistra. I due che sono dietro ovviamente si bagnano come pulcini. Facciamo allora una breve sosta sotto la pioggia per coprire con un telo il materiale che ci stiamo portando dietro. Si riparte e sempre sotto la pioggia dopo circa una mezz’ora abbondante arriviamo davanti ad una capanna che si trova quasi a bordo strada, una ragazza, si avvicina e anche lei sale dietro. Dopo, all’arrivo, sappiamo che la ragazza salita si chiama Betty, ha 28 anni ma ne dimostra molti di più e anche lei è una “Promotora de salud”. Per fortuna la pioggia a smesso almeno per il momento lasciandoci il tempo di scaricare tutto il materiale.

Studio dentistico

Ci troviamo in un locale con due stanze che chiamano “Unitad minima de salud”. Alexandra si da da fare per sistemare per benino tutto l’occorrente cercando di evitare che la strumentazione come i ferri del mestiere, e lo sterilizzatore siano di pronto impiego. Marcelino, sistema il compressore nella stanza e suggerisco che il gruppo elettrogeno venga infilato sotto la macchina visto che è abbastanza alta per proteggerlo dalla pioggia che intanto ha ripreso con insistente abbondanza. Le persone che necessitano di una visita dentistica iniziano ad arrivare. La prima paziente che arriva è una signora che si vede gli mancano parecchi denti ed è lì perché ha bisogno di una ulteriore estrazione. La osservo e penso, d’accordo con Alexandra, che quella signora non debba essere molto anziana ma è talmente sciupata che sembra abbia più di cinquant’anni. Il compressore è in funzione ma tarda ad entrare in pressione per cui le visite non possono iniziare se tutto non è in ordine. Il tempo passa e fuori ci sono persone che aspettano. È presente anche una ragazza che ha sedici anni e tiene in braccio un bimbo che sembra avere quasi un anno. È suo figlio… Veloce sguardo di intesa tra Alexandra e me e senza alcun commento entrambi sappiamo che in questo caso le riflessioni sono le stesse. Alexandra inizia a preoccuparsi perché il compressore non va in pressione, si sente una perdita d’aria abbastanza consistente. Chiedo a Marcelino se effettivamente aveva fatto la verifica dei materiali e lui assicura di averlo fatto e che probabilmente si deve essere rovinato con gli sballottamenti lungo strada. Decido di smontare la parte da dove si sente provenire la perdita e ben presto mi rendo conto che senza alcuno strumento a disposizione non si può fare nulla, perché Marcelino ha pensato che non ne servissero. Riesco, guardando nel materiale che si è portato dietro a trovare una pinza, con quella riesco a smontare il coperchio del compressore e a vedere che il problema non può essere risolto sul posto. A parer mio il compressore non ha mai funzionato in quanto la perdita riguarda un raccordo che è direttamente infilato nella testata dalla ditta produttrice. Alexandra allora decide che senza la strumentazione in funzione, l’unica cosa che si può fare sono le estrazioni. Concordiamo e anche Marcelino… concorda. A quel punto la “Dottora” fa un’ultima verifica e controlla la sterilizzatrice elettrica al quarzo e si accorge che è spenta. Marcelino viene chiamato e gli si chiede come mai il generatore non funziona più. La risposta di Marcelino, con un candore quasi commovente, è che visto che il compressore non funziona tanto vale spegnere anche il generatore. Gli sguardi mio e di Alexandra si incrociano e vedo che lei non sa se ridere o mollargli un urlo. Chiedo a Marcelino di tenere acceso il generatore perché serve per la sterilizzatrice… Alexandra fa entrare la prima paziente e la fa accomodare, io osservo da lontano le operazioni e intravedo che quella signora di denti in bocca ne ha veramente pochi e con quello che dovrà estrarre adesso ne avrà ancora meno. Alexandra quando scriverà le sue impressioni, penso che farà anche la descrizione tecnica degli interventi. Ad un certo punto ci rendiamo conto che Marcelino, dovendo essere la persona più interessata al lavoro che viene svolto e visto che quando la “Dottora” non ci sarà più, sarà lui a mettere le mani in bocca ai pazienti, si trova beatamente accomodato fuori, con l’autista che ci ha accompagnato, a parlare di macchine. Alexandra lo chiama per darle assistenza e gli chiede di infilarsi un paio di guanti e vedendo anche che la maglietta che porta indosso è veramente lurida gli chiede di infilarsi anche il camice che si è portato e su cui troneggia in bella vista il simbolo di Esculapio. Dopo qualche minuto Marcelino, sparisce di nuovo, è nell’altra stanza a parlare con Betty. Con Alexandra maligniamo che tra i due ci deve essere del tenero. Alexandra mi chiede di chiamarlo e a quel punto oltre che chiamarlo gli metto il camice in mano e gli dico di infilarselo. Forse il tono usato non era molto gentile ma ha risolto il problema. Camice in dosso e guanti infilati, Marcelino e lì buono e attento davanti alla “Dottora” a dare assistenza. Alla fine della giornata Marcelino, deve aver fatto un suo bilancio rendendosi conto che qualche disattenzione l’aveva fatta pertanto ci chiede di nuovo scusa… Era almeno la quarta volta che si scusava. Le estrazioni finiscono, si ricarica tutto in macchina e questa volta i materiali vengono coperti da subito. Saliamo in macchina e si ritorna a casa.
Mercoledì 8 aprile. Siamo in attesa che arrivi P.Ottavio per andare in mattinata a la Nueva Libertad e nel pomeriggio a Mopan tres. Precedentemente e prima di arrivare alla chiesa cattolica, ho notato che sulla strada che porta a la Nueva Libertad e prima di arrivare si incontra una costruzione molto grande, del tutto simile ad una chiesa. Penso che quella sia la chiesa cattolica dove verrà celebrata la S. Messa ma presto mi rendo conto che così non è anche perché P. Ottavio tira dritto. Arriviamo alla Chiesa cattolica e subito ad accoglierci il catechista Tullio che è anche l’Alcalde (sindaco) della comunità. P. Ottavio ci lascia in quanto deve recarsi ad un’altra aldea e con lui vanno Alexandra e Silvana, rimaniamo Chepe e io con P. Alberto il quale prima della celebrazione della S. Messa decide di confessare. Vengo avvicinato da Tullio e mi invita a vedere la costruzione ultimata della nuova Unità minima de salud. Queste unità, che in effetti hanno la funzione di ambulatorio dove le persone si recano per avere assistenza primaria, iniziano ad essere presenti in molte aldee anche a seguito di un contributo generoso da parte del Monte Paschi di Siena. Con quel contributo, è stato possibile costruirne diverse. Chepe rimane da solo a fare delle fotografie, con Tullio ci avviamo a vedere la nuova costruzione. Lungo il percorso mi parla di una necessità che a parer suo è molto importante. Mi chiede di trovare il sistema per aiutare la sua Comunità a costruire una scuola che al momento è fatta solo con assi di legno. Gli dico che quello è un discorso che deve affrontare con P. Ottavio. Non mi pare molto soddisfatto della risposta e allora mi pare di capire che con P. Ottavio non voglia parlare di queste cose. Non capisco il perché e allora cerco di farlo parlare. Gli chiedo com’è la vita in quell’aldea e gli chiedo anche se sa quante famiglie cattoliche ci sono, la risposta di Tullio è triste, mi dice che lì la prevalenza è degli Evangelisti e questo spiega anche il perché di una struttura così grande. Intanto inizia la celebrazione della S. Messa e noto che le persone presenti sono veramente poche, meno di una ventina compresi i bambini. Nel corso della celebrazione i canti sono bellissimi. Un canto che inneggia alla Madonna è così armonioso e orecchiabile che alla fine chiedo se sono disposti a ricantarlo perchè intendo registrarlo. I coristi e i musicisti sono contenti della richiesta e si organizzano per dare il meglio. Faccio la mia registrazione e alla fine veniamo invitati a pranzo a “casa” di un signore. Nel frattempo arrivano anche P. Ottavio con Alexandra, Silvana e le accolite, chiediamo loro se vogliono unirsi a noi ma P. Ottavio, che conosce perfettamente la situazione locale, ci risponde che hanno già mangiato e che aspettano volentieri il nostro rientro. Andiamo e nella capanna incontriamo diverse persone che ci dicono essere i figli del Campesino che ci ha invitato. Sono tutti fuori, seduti su dei tavoloni di legno che fungono da panche, noi veniamo invitati ad entrare dentro per consumare il “caldo de pollo”, pollo in brodo. Ci serve una delle Missionarie che da domenica si trova in quell’aldea. Il tavolo al quale ci dovremo sedere è molto piccolo e noi siamo parecchi perchè oltre a Chepe, P. Alberto e io ci sono anche gli accoliti che hanno partecipato alla celebrazione della S. Messa. La stanza dove ci troviamo è l’unico ambiente che forma l’intera abitazione, all’interno si trova la cucina e tre letti sufficientemente larghi per contenere ognuno non meno di tre persone. Lì dentro impera un disordine unico, non capisco come si riesca a vivere così. Cerchiamo di rientrare in fretta per non far pesare agli altri che aspettano, la nostra assenza. Tutti in macchina per dirigerci ad un’altra aldea, destinazione Mopan Tres. Arriviamo e P. Ottavio ci scarica perché deve accompagnare P. Alberto in un’altra aldea. Siamo soli Alexandra, Silvana e le accolite. Mi faccio raccontare come sono andate le cose a san Lucas, dove loro erano state, e vengo a sapere che sono a digiuno perchè nessuno gli ha offerto da mangiare. In quell’aldea sono veramente poverissimi e per loro, un pollo in più, significa un giorno in più da mangiare e sfamare i propri figli. P. Ottavio celebra la S. Messa a Mopan tres, la Chiesa è piena di gente e anche noi siamo contenti nel vedere quanta partecipazione arriva da quella comunità. A fine celebrazione P. Ottavio va a recuperare P. Alberto e noi aspettiamo il suo rientro per fare ritorno a casa. Anche oggi tutto il giorno in giro per aldee, siamo un pochino stanchi ma contenti anche perché ci rendiamo conto che da parte degli abitanti delle varie aldee in cui siamo stati, veniamo accettati con grande amicizia.
Giovedì 9 aprile Los Olivos e Naranjon (si pronuncia Narancon), sono le aldee più distanti della Parrochia di Dolores. Nella prima sono tutti di etnia quechi (si pronuncia qecì), non ci sono mai stato per cui, sono contentissimo di andarci per la prima volta.

Los Olivos
 

Tutti insieme andiamo a Los Olivos. La giornata è molto calda, ci siamo portati dietro una buona scorta di acqua che la sera prima abbiamo avuto cura di mettere in ghiacciaia. Arriviamo sulla cima di una collina e lì ci fermiamo. P. Ottavio ci mostra l’aldea di Los Olivos, si trova in una vallata che ci appare bellissima e ricca di vegetazione. Da dove siamo si vede la Chiesa e si vedono tutti che aspettano il nostro arrivo. Come arriviamo subito si sentono i canti che vengono intonati nel linguaggio tipico locale, non riusciamo a capire una parola. P. Ottavio inizia subito con le confessioni e noi invece ci dedichiamo a fare fotografie e riprese varie. Le donne di quella comunità sono tutte vestite allo stesso modo, anche le bambine dai dieci anni in su portano l’abbigliamento tipico della zona: tutte portano una casacca interamente ricamata e dai colori che vanno dal verde al giallo passando per l’arancione, una gonna, anch’essa tutta colorata con tonalità prevalenti dal celeste all’azzurro intenso e con riflessi verdi. Le donne così come gli uomini non sono alti, all’incirca tutti intorno a 1,60 m. hanno dei lineamenti particolari e diversi anche dal resto degli indigeni delle altre aldee. Mi trovo all’interno della chiesa gremita di gente, noto subito un particolare che nelle altre aldee quasi è passato inosservato, tutti gli uomini sono da una parte e tutte le donne con i bambini sono dall’altra. Una separazione così netta non può passare inosservata. P. Ottavio finisce le confessioni e inizia a celebrare la S. Messa. La celebrazione è in spagnolo ma è presente anche un interprete che recita i salmi e le preghiere in quechi, per questo motivo dura tantissimo e dopo ogni preghiera c’è anche un canto sempre nella loro lingua. Alla fine, veniamo invitati tutti a pranzo e in quell’occasione P. Ottavio mi dice che nella comunità vige la regola della famiglia allargata, non so a cosa tutto si riferisca ma immagino si riferisca solo al mangiare. Ci ritroviamo tutti dentro una capanna grandissima, al centro una donna con un mestolone in mano pesca da un pentolone il brodo con del riso e da un altro, un’altra donna mette nel piatto un pezzo di pollo, a noi vengono serviti piatti con solo cosce di pollo. Il pranzo finisce e dopo aver fatto parecchie foto saliamo in macchina pronti per partire.

Los Olivos

Si avvicina allora un tipo e parla con P. Ottavio, si vede che è preoccupato per qualche cosa, non sentiamo cosa si dicono perchè parlano sotto voce. Dopo qualche minuto partiamo e allora P. Ottavio ci racconta il motivo della chiacchierata. Sembra che quella persona gli abbia chiesto di trovare un posto sicuro per lui e la sua famiglia in quanto è dovuto fuggire dalla sua comunità perché accusato di stregoneria. Dice di aver subito un processo fatto “in casa” in cui è stato condannato a 25 anni di carcere dai suoi stessi compagni di comunità i quali essendosi rivolti alla magistratura ordinaria, per far confermare la pena inflitta e vedendo che le richieste fatte sono state disattese perché non degne di considerazione, pare che abbiano deciso di cambiare la pena in condanna a morte da eseguirsi quanto prima. P. Ottavio dice che quando capitano queste cose le persone condannate o vengono cosparse di benzina e poi bruciate oppure vengono lapidate. A questo proposito una notizia apparsa, qualche giorno fa, in un giornale locale riportava proprio la notizia di una lapidazione eseguita in una aldea nei confronti di un uomo di 78 anni.
Venerdì 10 aprile Sono rimasto a casa per poter completare questo diario che ritengo sia anche l’ultimo prima di rientrare. Non so se riusciremo ancora ad avere del tempo per poter scrivere visto che domani sabato 11 aprile siamo invitati a pranzo a Flores dal nuovo Vescovo Mons. Mario Fiandri, Domenica 12 aprile è Pasqua e approfitto di questa occasione anche per fare a tutti coloro che mi leggono e alle rispettive famiglie i miei migliori auguri per una felicissima e serena Pasqua.

Tikal

Lunedì 13 aprile andremo con P. Ottavio a Tikal, al rientro ci dovremo preparare le valigie per partire martedì mattina 14 aprile e fare un ultimo giro nella parte Nord del Guatemala per arrivare domenica 19 aprile a Citta del Guatemala e aspettare l’aereo il lunedì 20 aprile che ci riporterà a casa. Sappia chi mi legge che questa avventura per me è iniziata casualmente tre anni fa, ogni anno che vengo in questo posto riesco a cogliere e ricevere nuovi e interessanti aspetti soprattutto dal punto di vista morale e pertanto ritengo che fintanto che avrò la possibilità e la forza di ripetere questa grande e intensa esperienza, lo farò. Vi saluto tutti e anche se lontano Vi penso sempre con nostalgia e affetto. Hasta luego por todos.
Francisco.

 

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