Quattordicesimo invio
Missioni

Journal “Guatemaltèque” 2010

IL DIARIO DI FRANCOISE

24 marzo 2010: La partenza per Madrid
Ore 13, sono in anticipo di 30 minuti. Scendo dalla macchina di Antonio che sta togliendo dal cofano la valigia grossa. Faccio per prendere il bagaglio a mano quando qualcuno me lo porta via. È Roberto che è arrivato ancor prima di me. Lo riconosco a stento: dove sono barba bianca e cappelli pazzi? È quasi completamente rapato! Antonio ci tiene ad accompagnarci all’imbarco; loro hanno già fatto il check-in. Arrivati al albergo, contrariamente a quanto mi aveva detto al telefono, trovo Sylvie che si è liberata per un quarto d’ora. Mi porta le medicine che sua madre le ha consegnato la settimana scorsa per Padre Ottavio. Poi corre a raggiungere il suo gruppo di lavoro che si riunisce per cenare insieme non lontano dal nostro albergo.
Con Roberto e Alberta saliamo in direzione della Plaza Mayor ammirando qui e la un bel Palazzo. Mentre saliamo, Alberta mi chiede notizia della bella fontana che abbiamo vista (Los Cibeles) e decidiamo di andarci. Ben presto ci troviamo vicino all’Istituto Cervantes. In quel momento si aprono le cateratte del cielo; è la prima di tante docce che ci capiteranno lungo il nostro viaggio; ma non pensavo cominciasse già da Madrid. Non ho il mio capellino, e neppure un ombrello. Alberta ha in borsa un sacco di plastica rossa e me ne faccio un capello impermeabile, non molto elegante ma efficace.
Poi mangiamo una buonissima paella innaffiata con un ottimo rioja e andiamo a dormire. Alle 10,30 tutti a nanna perché domani bisogna alzarsi presto per andare a Barajas ripescare Yvan e proseguire verso Città di Guatemala.


25 marzo: Incontro con Yvan
Ore 7.45, ci aspetta il tassì. Via verso l’aeroporto. Per strada telefono a Yvan. E’ già arrivato. Saluti, scambio rapido di informazioni e ci mettiamo in fila. Arriva il nostro turno. Presento tutti i nostri documenti per sentirmi dire seraficamente che mi mettono in lista d’attesa perché c’è stato un over-boocking e non ci sono più posti.
Dopo alcune proteste ben sentite, guarda caso, si liberano quattro posti e dobbiamo correre per l’imbarco. Sono le 10 e 10. Ci precipitiamo verso il terminale 1, facciamo tre discese di corsa, prendiamo al volo il metrò appena sopraggiunto, altre tre risalite, dogana al cardiopalma, arrivo al punto d’imbarco: sono le 11 un quarto. L’imbarco ha avuto inizio alle 11. Ci sono ancora oltre una cinquantina di persone in fila. Nell’attesa del nostro turno, passeggiata rapida in bagno. Finalmente siamo sull’aereo. Gran sospiro di sollievo!
All’arrivo, dopo le sempre folkloristiche avventure di sbarco a Città di Guatemala ci lasciano uscire verso la zona ritiro bagagli. A questo punto, i miei baldi giovanotti si accorgono che con euro e dollari non vanno lontano. Visto che la fila di uscita è lunga, si fermano al cambio per prendere quetzales. Poi, bardati con una valigia e un trolley a testa, usciamo all’aria aperta. Cerco per vedere se c’è una delle navette dell’albergo e siccome non ne vedo mi lascio trascinare da un inserviente verso la zona tassi, pattuisco il prezzo per due corse, do l’indirizzo dell’albergo e dopo cinque minuti, siamo arrivati. Lì, spiego chi siamo, esibisco le mie ricevute e ci danno le chiavi.
Mi preparo per la notte e mi siedo sul letto. Mi rialzo di botto: cosa succede? Tutto trema sotto di me: un terremoto come avvenuto ieri vicino a Messico (mai leggere i giornali)? Scatto in piedi e guardo il lampadario: immobile; le tende: immobili; deve essere il traffico, con queste costruzioni moderne, ti senti tutto in camera! Mi siedo di nuovo sul letto e quello trema quanto e più di prima. Mi rialzo, mi siedo in terra e guardo intorno a me. Nulla si muove, il rumore che odo non giustifica il tremore. Che cosa è? Mi risiedo e, stavolta mi corico completamente. La vibrazione si estende a tutto il mio corpo: ma guarda un po’, mi hanno dato un letto rilassante che mi massaggia! 


26 marzo: Trasferimento da Flores a Dolores
Che bel sonno profondo, continuo e ristoratore. Alle 5, suona la sveglia. Vado a bussare dagli altri che sono stati anche loro svegliati come da accordo. Ore 5 e 50, tutti sul minibus dell’albergo, con altre due coppie.  Alle 6 e trenta colazione al cardioplasma e ustioni di secondo grado con il caffè bollente. Ore 7 check-in, pagamento delle tasse aeroportuali. Ci siamo. No, l’imbarco per Flores è trasferito al 23, dall’altra parte dell’aeroporto. Nuova corsa folle. Decisamente, il viaggio è nato sotto le stelle della contrarietà e della corsa. Ho il cuore in gola. Roberto la lepre è lontano davanti a noi, seguono a dieci e quindici metri Yvan e Alberta, io sono molto indietro, il cuore martellante, rossa in viso, ansante. Con l’aiuto della Provvidenza, siamo ancora in tempo. Saliamo sull’aereo. Non parte. Per forza, non sono ancora le 8 e cinque. Arrivano dopo di noi altri due gruppetti altrettanto trafelati. Non eravamo gli ultimi! Ore 9 sbarchiamo: il sole picchia, l’asfalto è già rovente, corriamo verso l’aeroporto per ritirare i bagagli, certo, ma anche con la speranza di un po’ di frescura. Sor Marcela, Olga e suor Guadalupe ci sono già e si sbracciano oltre la ringhiera. Ricuperiamo le valigie e andiamo da loro. Presentazioni, accoglienza festosa e via al Hogar, dove ci aspettano bimbe (non tutte perché è ancora giorno di scuola) e rinfresco. Siccome Suor Marta deve andare a Flores, partiamo con lei e Olga, così visiteremo la Cattedrale. In un’ora, abbiamo visto e fotografato tutto. Non posso passare lì senza salutare Monsignore… se c’è.
Tutto è perfetto sennonché Monsignor Fiandri ci invita a condividere il desco: con rammarico spiego che hanno già preparato per noi al convento e che tutti, suore e bambine, sarebbero deluse se non ci andassimo. Pas de problème, sarà Monsignore a venire da noi, basta che io avvisi Sor Marcela. Ore 13 e 5 suonano. È lui. Breve preghiera e si mangia. Per secondo, Suor Josefina ci porta alcune varietà di cili più o meno piccante. Monsignore si serve abbondantemente del più piccante e Roberto, facendo le spallucce al mio avvertimento, si serve anche lui… con abbondanza. L’effetto non si fa aspettare, diventa paonazzo, lacrime gli scendono dagli occhi e, con voce arrochita, dice: è forte! Scoppio di risate generale, persino le Quetchìes si stanno sbellicando. Anche loro mangiano piccante e sono sorprese dalla sua reazione.
Ma squilla il campanello. È arrivata Olga che ci deve portare a Dolores. Salutiamo Monsignor Fiandri, prendiamo le valigie e, con Suor Marcela, suor Guadalupe, Anita e altre due, saliamo sul pulmino. Dopo 90 minuti buoni sbarchiamo alla Missione. Il tempo non ci è durato per le numerose scoperte commentate da Roberto, Alberto e Yvan e l’aggiornamento dalle suore. L’accoglienza è entusiastica. Mi sembra di essere in una fiaba.
Dopo la sistemazione negli alloggi, usciamo tutti insieme per assistere alla Via Crucis per le strade del paese. La processione è già riunita al punto di partenza: sembra che aspetti proprio il nostro apparire per mettersi in moto, salendo verso di noi. Decido che è meglio aspettarla in cima alla prima salita visto che il primo altarino è giusto di fronte a me. Arrivati alla nostra altezza, Sacerdote e chierichetti si fermano e iniziano le preghiere. Scorgo padre Alberto accanto a un Yvan preso dalla frenesia del regista professionale. Via fino alla seconda sosta, preghiera… ma dov’è padre Ottavio? Terza fermata: eccolo là, si appoggia su due ragazzi che lo sorreggono affettuosamente. Vado a salutarlo. È affettuoso come sempre ma molto sciupato, mi diranno poi che, da tre giorni, soffre di dissenteria. Come Dio vuole, arriviamo alla Chiesa. Bellissima nella sua povertà. Tendaggi di raso viola indicano il momento liturgico, nascondono le magagne e sottolineano la solennità dell’avvenimento. Los italianos mi fanno cenno di raggiungerli sul bancone laterale. Padre Ottavio, in paramenti di celebrante esce, seguito da Giorgio e Alberto. Si nota anche così che è allo stremo delle forze.
Dopo la messa, ci si accinge al rientro nella Casa Missionaria quando P. Alberto mi chiama: ci sono Canche e Lupita (Maria José e Maria Guadalupe, le sorelle di Titi) che sono venute col fidanzato della prima per portarmi a Poptùn dalla loro mamma. Sono sfinita ma P. Alberto insiste. Gli chiedo di venire con me ma non vuole. Meno male si offre Roberto. La mamma entra immediatamente nell’argomento, conosce bene la sua figliola e, anche se le trova delle attenuanti, non ha apprezzato quanto sa di lei. Doña Alba ci fa visitare la casa, insiste per trattenerci a cena, ci porta diverse opere di ricamo in mio onore, una borsetta fatta dalle sue figlie… Preciso che ho promesso ai nostri di tornare per la cena e che non voglio assolutamente mancare alla mia parola. La signora allora fa impacchettare il pasto preparato e decide che lo mangeremo tutti insieme alla missione.

27 marzo: I Catechisti e Ixcùn
Sabato mattina, dopo un abbondante ed esotica colazione, Yvan, Francesco ed io partiamo alla volta della Scuola di Giorgio per analizzare la situazione, prendere misure, fare schizzi. Inoltre, devo parlare con el sub director della programmazione delle lingue e in particolare, del francese. Infatti se, per italiano, Rita e Franco (che hanno sostituito Giovanni Orrù, il mio stagista) mi dichiarano che funziona, per francese le cose non vanno molto bene. Giovanni ha trovato una situazione deplorevole. Eppure gli studenti sono abbastanza volenterosi, ma è vero che la loro università… Devo anche preparare la venuta nella scuola delle altre due stagiste.
Fatti tutti i rilevamenti raggiungiamo gli altri al Centro Poliformativo dove le Suore e P. Ottavio intrattengono i catechisti delle varie aldee prima del ritorno presso le loro comunità. Si parla di religione, di attività sociali e di medicina per meglio venire incontro alle esigenze di tutti. Intorno alle 11,30 ritorniamo velocemente a Casa. Devono venire i catechisti a ritirare le “borse” preparate precedentemente con le cose mandate dall’Italia con il container. P. Ottavio li riceve sulla porta di casa e per ognuno c’è una parola di incoraggiamento, un abbraccio e l’augurio per “feliz Pascua”. Inizia una sfilata lunghissima che fotografo, con l’intento di mandare poi le foto ad Ottavio per regalarle in un secondo tempo agli interessati. Qui adorano le foto e, visto la buona volontà, meritano di riceverne una fatta da noi.
All’arrivo di un catechista armato di violino, urlo per chiamare Roberto che arriva immediatamente. P. Ottavio annuncia ai catechisti presenti che Roberto è un maestro di musica, che sa suonare la chitarra, il pianoforte ed il violino. La prima canzone scatena l’entusiasmo, alcuni catechisti tornano indietro, altri arrivano, tutti battono le mani sul ritmo di La Paloma. Quasi subito dopo, cominciano le danze e le risate. Un vero “happening” musicale! Anche perché, nel frattempo sono stati scovati una chitarra e una pianola. Roberto spiega ai rispettivi artisti ciò che desidera e chi alla chitarra, chi alla pianola, con Roberto al violino s’intonano musiche e canzoni sud-americane. Bellissimo! State tranquilli che, al ritorno alle aldee, se ne parlerà a lungo e los italianos avranno una calorosa accoglienza assicurata.
Dopo un pasto conviviale che vede anche padre Ottavio ingerire un po’ di riso in bianco, prendiamo un’oretta per il nostro uso personale. Io e Roberto scegliamo un breve sonnellino. Quando ci alziamo, scopriamo che hanno deciso di andare a Ixcùn, un villaggio maya a pochi chilometri da Dolores. Yvan, Roberto, Alberta, Franca e Rita scelgono la palangana; Padre Alberto, Francesco, Claribel ed io, l’interno ma prima di imboccare la vera strada, bisogna fare il rifornimento di benzina. Come ci aveva avvertiti P. Alberto,  non è Tikal e non c’è molto da vedere, ma c’è un’atmosfera particolare. Il custode ci accoglie con la sua famiglia attorno a lui e ci fa firmare il libro dei visitatori. Poi inizia la visita. In una radura splendida, la guida ci indica diversi animali (tra cui un magnifico pappagallo), piante (deliziosi fiorellini bianchi profumatissimi) e reperti archeologici. Yvan è affascinato e ripete a più non posso che gli piacerebbe trascorrere una notte in foresta a completo contatto con la natura e Roberto gli fa eco.
Il custode ci fa inoltrare nella foresta per farci vedere un albero  grandissimo (la solita ceiba) che probabilmente è cresciuta ai piedi di una piramide maya. Poi, ci convince a scalare una collinetta che potrebbe essere la cima di una piramide: non vi racconto le comiche… Alberta brontola che non sa dove appigliarsi, Rita protesta per paura dei serpenti, io mi lamento perché mi duole la gamba destra, Alberta perde il cappello, Rita scivola, Francesco fa il burlone, Yvan se ne frega, padre Alberto ci prende in giro e io mi aggrappo furiosamente alle piantine, i piedi a papera per fare forza sulle mie insicure caviglie. Vittoria. Siamo in cima. Bel panorama, belle piante, qua una scimmia, la un uccello strano, è un tucano, si, no, non lo vedo… la guida conferma.
Tra risate, proteste e incoraggiamenti eccoci di nuovo nella nostra magnifica radura e si riprende la via verso il pick.up dove ci attende l’amico di Claribel. Ma prima di arrivarci, P. Alberto ci costringe ad una sosta. Grazie, padre Alberto. È stato un momento magico durante il quale la natura ci ha parlato di mille cose: di una bellezza incontaminata, di un’armonia musicale ormai dimenticata, di una serenità profonda nata dalla consapevolezza che, all’origine di tutto questo c’è Dio. Si, Dio, che, attraverso l’armonia e l’affiatamento di qualche minuto, ci dice che siamo fratelli, ci dice che ci ama, ci dice che è infinitamente più grande e migliore di quanto vogliamo credere (è comodo ridurlo alla nostra misura), e che dobbiamo riflettere un po’ di più e, magari, cambiare un po’. Poi, accompagnati dal frusciare dell’acqua che scorre nel piccolo ruscello e dalle proteste di Yvan che vorrebbe restare a dormire, riprendiamo la strada. Altri sballottamenti, meno allegri di quelli dell’andata perché c’è poco da vedere, un momento di tensione perché sembra che el carro non sia in grado di affrontare una salita particolarmente difficile, poi grida di gioia perché siamo arrivati nel canyon che segnala il barrio periferico di Dolores.


28 marzo: Le Palme a Dolores

È domenica mattina e partecipiamo alla celebrazione della Domenica delle Palme. Yvan è sparito alle prime ore e siamo tra noi. Si parte dal Centro Nutrizionale gestito dalle Suore di Saint Vincent de Paul dove si trovano ricoverati alcuni bambini che hanno diversi problemi di denutrizione, malattie della pelle o altro. I bambini sono vestiti a festa o almeno ci tentano con i panni e le scarpine lavati di fresco e ben stirati. Il vialetto d’ingresso al Centro è ornato dal solito tappeto di fiori e le numerose persone che intervengono alla processione portano palme intrecciate con fiori coloratissimi. Il caldo è asfissiante, la luce è accecante nonostante l’ora mattutina. Fotografo il nostro gruppo: Roberto è in coma. Una suora, alla quale chiedo come posso procurarmi una palma, incarica un giovanotto di tagliarne una e da alcune foglie ad ognuno di noi. Prego lo stesso giovanotto di trovarmi un fiore e mi porta un rametto di bougainvilée e un fiore viola non identificato. Ringrazio profusamente. Padre Giorgio, magnificamente vestito di un rosso squillante deve officiare, gli altri Padri presenziano la cerimonia. La processione percorre le vie del paese. Si arriva alla chiesa. Ci sistemiamo nella prima fila, vicina alla finestra, sulla destra dell’altare, di fronte alle marimbe.
Come sempre, la messa è molto sentita, la predica molto pratica e la comunione affollata. I bambini dormono sotto i banchi o giocano abbastanza piano. Come sempre, il momento della pace è un misto di accoglienza (da coloro che ci conoscono già) e di diffidenza nei confronti di questi stranieri che vanno verso di loro (da parte degli altri). Roberto non sta fermo: è attratto dai suonatori di marimba e, alla fine della Messa, non resiste più e chiede di poter provare a suonare la marimba.


29 marzo: Ritorno a Flores.
Dopo una colazione rapida, sentendo il pick-up di Ottavio e quello di Gigi fermarsi dietro il portone, gli amici della Sardegna escono dividendosi in due gruppi e salutandomi affettuosamente. Ultime raccomandazioni di Rita poiché, dopo il ritorno di Yvan, partiamo tutti e due per Santa Elena e la Casa rimane vuota. Yvan dovrebbe essere di ritorno tra le undici e mezzogiorno. Ma sono solo le nove e mezzo. Suonano? Canche e Lupita stanno davanti alla porta con altri regali e per invitarmi a pranzo; saputo che devo andare a Flores, decidono di portarmi. Dopo un ennesimo rifiuto giustificato dall’arrivo ad ora incerta di Yvan, mi dicono che torneranno all’una. Preciso che Suor Marcela ha già organizzato l’arrivo di Olga alle tre per portarci via. Alle 16 e quaranta arriva Yvan, che non ha neppure mangiato e cinque minuti dopo (Yvan ha appena avuto il tempo per una doccia) giunge Olga che ha fretta. Tra malumore di Yvan, malumore mio e sorriso imperterrito di Olga, si rientra. Lasciamo Yvan all’albergo e torniamo dalle suore. Finalmente a casa. Dopo una buona ora abbondante, ecco Yvan per la cena. Dopo cena, dalle bimbe per quattro giochi e quattro coccole. Poi Yvan torna all’albergo.


30 marzo: Incontro con Romeo.
Ore cinque e trenta, suonano: è ora di alzarsi. Dopo un po’, sento le suore e le postulanti che cantano gli inni del mattino. Ore 6,30 si parte a piedi per Flores: alle sette puntuali inizia la messa in cattedrale (avrò la spiegazione più tardi, lì la messa dura un’ora in meno; le omelie di Monsignore sono sferzanti ma brevi, non come quelle del parroco lunghe e poco efficaci). Alle otto precise, si torna al convento. Alle 9, puntuale arriva Yvan, seguito a ruota da Romeo, la “direttrice” si fa aspettare solo un quarto d’ora ma cominciamo senza di lei perché, all’inizio, la sua presenza non è necessaria. Dopo quattro ore di discussioni, abbiamo raggiunto un accordo. Yvan farà un progetto di cui disegna diversi abbozzi, Suor Marcela accetta di ridurre i posti, la direttrice ottiene una sala di esercitazioni paramediche, Romeo rifarà il preventivo in base ai nuovi dati. Nel pomeriggio, giriamo alcune rivenditorie per farci una idea dei prezzi, ricopiamo diversi nomi, indirizzi e numeri di telefono dall’elenco in previsione di future esigenze, poi passeggiata in barca sul lago e nella riserva faunistica. Ore 19 e 30, cena.
31 marzo: Una giornata come tante. Visita di Olga, Nanci e Sebastian.
All’inizio del pomeriggio mi dicono che Olga, Nanci, Marta e Sebastian sono di fronte alla cappella e chiedono di me. Mi precipito. Verso le nove e mezzo, arrivo delle sorelle Vasquez Morales, le prime figliocce, con il dolce Sebastian. Chiacchieriamo per un’ora circa la loro vita e i loro progetti, faccio le solite foto, consegno quelle dell’anno scorso e aggiungo qualche regalo. Olga è un donna forte e decisa che sa quello che vuole, Nanci ha poca personalità, Marta è intelligente e determinata.

1 Aprile: Lavanda dei piedi

Finalmente ho accompagnato Yvan all’aereo. Alle 5 e 20 solita sveglia. Alle 6 e 20 è venuta Olga e siamo andate a prenderlo: lo abbiamo trovato già all’incrocio che veniva verso il convento. Olga ci ha lasciati all’aeroporto dove abbiamo fatto colazione. Fa un giretto e torna felice perché ha trovato una guida del Guatemala in francese e gratis. L’accompagno a sbrigare il check-in, il controllo dei bagagli e mi fermo al controllo personale che supera senza intoppi. Partito Yvan, vado a piedi fino alla maxibodega dove compro un paio di chili di caramelle. Prendo un tuc-tuc e torno dalle suore.


2 aprile: Processione a Flores

Abbiamo appuntamento, con le suore e le bambine, alla cattedrale per la processione che le bambine devono precedere portando le varie bandiere delle comunità. Si tratta della processione dell’incontro come l’ho già descritta l’anno scorso mentre passava nelle vie di Santa Elena. Le vie di Flores sono più corte e meno numerose. La processione sarà più breve ma il panorama lungo la passeggiata del lungofiume, è più interessante. Tra musica, incenso e canti, partono le niñas del Hogar (tutte orgogliose nel vestito della festa, i capelli ben intrecciati, chi con calzini bianchi chi con i tacchi) seguite dai simulacri portati a spalla d’uomo. In mezzo a loro, Monsignore vestito in maniera informale, come al solito. Due bambine si aggrappano immediatamente alle sue mani strappandogli un sorriso benevolo. La gente è serena, le strade pulite e ben addobbate, il lago è calmo e azzurro, il sole è già caldo, il mio cappello non è superfluo.


3 aprile: Sabato santo

Alle cinque sono in piedi, alle sei sono già vestita di tutto punto e pronta a partire per Dolores. Nella valigia ho messo solo l’essenziale perché devo lasciare posto per il pacco delle ostie, leggero ma voluminoso, che mi ha consegnato Monsignor Fiandri. La valigia pesa come un masso per le provviste caricate. Saluto tutte le suore e le bambine e, col tuc-tuc, vado alla stazione dei minibus. Quello delle dieci è strapieno e rifiuta di prendermi soprattutto a causa del volume della mia valigia. Prenderò quello delle 10 un quarto, che partirà solo alle 11 con 22 persone a bordo ma, prima di lasciare Santa Elena, si fa il giro del mercato e salgono altre dieci persone. Sono fortunata perché mi è stato attribuito il posto accanto all’autista. La mia valigia è incastrata sotto i sedili posteriori, al ritiro la troverò un po’ schiacciata. Per fortuna, 6 km dopo l’uscita di Santa Elena, ci si ferma ad una specie di rotonda per prendere altre due persone e una donna vende dell’acqua fresca. Ne compro una bottiglia. Con una temperatura di 36 gradi e oltre 35 persone a bordo, tutti sudano abbondantemente.
A Sant’Ana prima discesa; altri tre chilometri e scendono una donna con due bambine, siamo in piena campagna; un uomo le attende, si carica i pacchi sulle spalle e s’inoltrano nel sentiero. Via direzione Dolores ma iniziano le curve. Siamo sballottati da destra a sinistra. Il Minibus ce la mette tutta e leggo su un cartello: Dolores 5 km. Intimamente urlo di gioia. Ore 12,45: ci siamo. Il controllore mi riconsegna la mia povera valigia sfiatata. Chiamo un tuc-tuc e…. A CASA. Accoglienza festosa che ripaga tutto il disaggio precedente. Mi sento come il figliol prodigo!!!  Hanno ucciso per me il vitello grasso (un pollo!). Dopo gli abbracci, svuoto la valigia e noto che ho dimenticato il giubbotto e l’acqua di lavanda. Pazienza.
Alle 13 precise si mangia. Dopo il pasto e il caffè, tutti vanno per gli affari loro. Alberto e Rita ai propri computer, Franca alla macchina da cucire, Alberta in lavanderia, Roberto è in trance perché gli duole il polso. Decido di andare a riposare per smaltire la notte in bianco e perché devo andare alle cerimonie di stasera col Padre. Appena appisolata, scoppia il temporale.
Di sera, Con Gigi, accompagniamo P. Alberto a Boca del Monte, un’aldea vicina a Dolores, sulla strada nazionale. La cerimonia è semplice e commovente. Alcuni bambini dormono in terra, fra i banchi, fanno tenerezza così indifesi e abbandonati; meno male che non fa freddo. Riconosco il catechista che ha suonato da noi la Domenica delle Palme e la cosa gli fa piacere (e mi sorprende perché sono poco fisionomista!). La messa prevede ben nove letture che vengono fatte da giovani del posto. Il sermone di P. Alberto, in spagnolo, malgrado qualche errore linguistico, è chiaro, essenziale, forte. A parte un paio di risate presto spente, suscita silenzio e rispetto. Al momento della pace, vado a salutare tutti, veramente tutti e quando ritorno al mio posto, P. Alberto è un bel pezzo avanti. Alla fine, distribuzione di “dolci” (leggete caramelle) a tutti piccoli e adulti. Una signora mi porge un pacco ben avvolto col cellofan, sono tamales (involtini di mais ripieni di carne macinata cotta al sugo) avvolti in foglie di banano e Gigi mi dice imperiosamente di prenderlo. Lo apro, assaggio, dichiaro che è buono, ne mangio un altro boccone poi lo conservo perché ho mangiato prima di venire. Il padre e Gigi fanno lo stesso. Ma arriva la cioccolata calda e il rito si ripete. Tutti ridono e quando, finalmente, partiamo, ci salutano festosamente. Tanto calore umano ci riscalda il cuore. È stata una bella serata. Gli altri non sono ancora arrivati. Arriveranno dopo l’una, stanchi morti ma gratificati (cosi dicono) dalla loro esperienza.


4 aprile: Domenica di Pasqua
Ancora una volta, quel diavolo d’un gallo del vicino mi sveglia alle cinque e, mentre agogno dormite fenomenali, ripenso alla serata di ieri. Quando siamo arrivati, i ragazzi avevano già acceso il fuoco. Al nostro arrivo, i due bimbi che hanno ricuperato alcune brace per l’encensoir, si sbracciano con vigore. È buio, di un buio appena rischiarato dal tenue fulgore delle stelle e dal danzante luccichio delle ultime braci. Qualcuno butta legna e la fiamma riparte. P. Alberto officia il rito della benedizione del fuoco poi (con molta fatica perché la miccia non giunge e ha poca pece) e con l’aiuto del catechista, riesce ad accendere il cero. Nonostante le esortazioni del Padre, nessuno si avvicina per accendere la sua candela. Allora, con mossa decisa, il catechista prende le due bugie delle donne vicino a lui e le accende. Tutti si avvicinano a loro e prendono la fiamma. Si torna in chiesa. Dopo le letture, il Padre chiede di accendere di nuovo le candele e la scena si ripete solo che, questa volta, sono stata io a prendere le candele delle donne dietro di me per accenderle al cero dell’altare. Dopo di che il Padre ci da la benedizione, copiosa, con acqua benedetta. Riesce a battere in abbondanza e vigore il sacerdote di Miami che ci aveva cosi ben “docciate” la domenica dopo il matrimonio di Isabel. Meno male che anche qui fa sempre caldo e stanotte non ci sono state grosse escursioni termiche!
Dopo tutti questi “ripensamenti” è ora di alzarsi; sento movimenti e bisbigli. Alle 10, inizia la messa. Si parte a piedi calpestando i resti delle alfombras, il sole spacca già le pietre… e le teste. Si cerca di camminare in ombra per cui siamo in fila indiana. Il corteo è aperto dal Padre, seguito da Francesco; vengono poi Rita e Francesca; testa per aria e canticchiando, troviamo Roberto; Alberta ed io chiudiamo la fila e chiacchieriamo sodo. La chiesa è già strapiena. Manca ancora un quarto d’ora. I “locali” hanno lasciati liberi i posti avanti, i “nostri” posti. Gli addobbi di raso lucido, bianchissimi, bordati di giallo oro, ondeggiano alla brezza e sottolineano la festosità del giorno. Ovunque, cesti di fiori bianchi, artificiali o naturali, dall’aspetto allegro e armonioso. L’odore dei fiori si mescola a quello un po’ pesante dell’incenso. Le marimbe si scatenano in ritmi… indiavolati. La funzione è molto sentita e, dopo il primo furore musicale, regna un silenzio assoluto rotto solo dalle parole del sacerdote. Il miserere, il credo, il gloria, il padre nostro, tutto è cantato da un coro giovanile, accompagnato dalle marimbe. Il risultato pur sorprendente è interessante. Dopo la comunione, la concentrazione scema lentamente. Prima di tornare alla casa misionera, ci sono scambi di saluti, auguri ed abbracci tra italianos e locali, stupore per le bancarelle: mica vendono torroni ma tacos ripieni di frijoles o sugo di pomodoro. Nel ritornare, si commenta, si chiacchiera, poi con calma, si prepara il pranzo. Durante il pranzo “alla sarda”, eravamo veramente sereni e contenti e, mentre voi dormivate della grossa, noi abbiamo brindato a voi e alla nostra amicizia.


6 aprile: Finca Ixobel

Di pomeriggio, riceviamo la visita di Canche accompagnata dal fidanzato e da Lupita che non perde un’occasione di venire a parlare di musica col Maestro. Ci fanno sapere che verranno verso le 7 a prelevarci tutti per portarci alla Finca Ixobel. Quel nome l’ho letto l’anno scorso sulle pubblicità turistiche… ma a quale proposito? Dopo aver dibattuto su chi andrà, quante macchine, fino a che ora e altri particolari, il gruppo accetta la proposta.
Alle 18,50 siamo tutti pronti (certo che con i vestiti di gala che indossiamo e il trucco, ci sono volute un buon paio d’ore ma il risultato vale la pena…). Arrivano i due 4x4, quello di Canche e quello di… Celeste in persona! Arriviamo che è già buio ma s’intravedono ancora, appollaiati su diversi rami, alcuni macao coloratissimi. La notte è tersa; stelle e costellazioni scintillano, nitide, grandi, luminose. Su un cielo blu notte, la sagoma degli alberi disegna una linea nera. Un panorama di tutto rispetto. Peccato che non sappia fare film! Sarebbe stato un inizio favoloso.
Entriamo. Quanto buio! Due… (o tre?) coppie stanno mangiando al debole lume di un paio di candele. Sarà romantico… ma decisamente scomodo. La padrona esce e doña Alba da le istruzioni.. Si cena al tavolo esterno, lungo e illuminato (si fa per dire) da due lampadine. Celeste e doña Alba m’inquadrano! Verso la fine, Canche e il suo fidanzato si lanciano in una partita di ping-pong. Poi Canche lascia il posto a Lupita. Infine Padre Alberto sostituisce il fidanzato. Cinque battaglie accanite sottolineate da gridi di gioia o di dispetto.
Ora, invece, bisogna andare alla discoteca. Si segue un sentierino illuminato dal chiarore della luna e, dove ci sono alberi o zone scure, da faretti piantati in terra. Qui e lì, un ponticello scavalca un rivoletto d’acqua. La fragranza delle zagare c’inebria. Un falò arde vicino alla discoteca e, intorno, due coppie di giovani lo ammirano. Nel interno, cinque tavolini lucidissimi, di quel mogano meraviglioso che si trova solo qui, e una quindicina di sgabelli. Facciamo il giro, inspiriamo il bel profumo, ammiriamo le stelle poi entriamo. Nel frattempo hanno cambiato tipo di musica e abbassato un po’ il volume. I maschi tomano una copita, le donne si siedono chi alla scacchiera, chi al bancone. Roberto canticchia le parole della musica.
Poi, Rita e Franca ballano, si lanciano anche Celeste, Canche e il fidanzato, persino Francesco smette di fare fotografie per lanciarsi in un ballo moderno, tutto dinoccolato. Roberto esegue passi saltati. Ma perché non ho la cinepresa? Ad un tratto scorgo, quasi ai miei piedi, un rospo enorme. Macchina fotografica e sssflash… ecco immortalato il mio principe azzurro. Il rospone salta per sfuggire al mio presunto bacio, Francesco si precipita a prendere la sua parte della cuccagna, rospone si rifugia sotto una specie di cassapanca ma riesco a riprenderlo ancora una volta. Presto la serata finisce e si torna a casa. È stato bello.


7 aprile: Visita della Scuola Media di Dolores

Oggi il mio programma mi riporta verso le scuole. La Scuola Rural Mixta del Barrio San Ramònsarà la prima, poi il Colegio per Guide in Ecoturismo. Francesco, Rita, Franca, Roberto e Alberta decidono di venire con me. Alle nove, i doloreñi ci vedono passare in fila indiana prima direzione sud poi direzione ovest. Il cappello non certo è superfluo, un po’ vistoso forse, ma utile.
Siamo arrivati. Un lungo muro in monoblocchi, una tettoia in lamiera, un campo di pallavolo, ed ecco la scuola; nuda, essenziale e, decisamente, arieggiata. Proprio quando arriviamo, i bambini escono a frotte per la merendina. Anche questa essenziale, una tortilla di mais con sopra qualche cosa di rosso (pomodori?), una bottiglietta d’acqua e il gioco è fatto. Francesco parla con una giovane che indica una porta. Deve essere l’ufficio del Direttore!
Busso: Entro. Il direttore? Questo ragazzo? Quant’è giovane! Ma è lui, mi presento, spiego il motivo della nostra intrusione. È cordiale, prende le foto dei ragazzi di Soleminis, mi mostra i registri della classe che ha beneficiato dell’aiuto, quelli dei programmi…Arriva P. Giorgio. Foto, chiacchierata, altre foto. Arriva la maestra che mi porta nella classe in questione e, dietro di lei, irrompono una ventina di bambini che vogliono essere immortalati al loro posto di studio per i bambini italiani. Sono subito accontentati. Si torna nell’ufficio di don Manolo Benedicto Pinolo Corzo che mi consegna il foglio scritto che reca tutte le informazioni sulla sua scuola. Parliamo un momento con le maestre e seguiamo Giorgio verso il suo Colegio.
Oggi dovevano riprendere le lezioni, ma gli studenti vengono da lontano e arrivano alla spicciolata, se ne parlerà completamente solo lunedì. Mentre giriamo, io e Francesco vediamo una specie di nastro rosso: un serpente corallo! Io mi fermo, Francesco fotografa, Franca si avvicina con cautela, Rita fugge, gli altri sono lontano. Grazie a Dio, anche il serpente fugge e possiamo continuare il nostro giro. Sulla strada per casa, incontriamo uno “scuolabus” che ci saluta allegramente, un cane ferito che guaisce nel semplice vederci, un bambino che scappa a gambe levate, alcune donne che lavano i panni alla fontana comune e siamo di nuovo sull’asse principale che porta dalla Nazionale alla Chiesa.


8 aprile: Livingstone
Dopo avermi sgridata, pregata, insultata per la mia testardaggine, e dopo aver ottenuto che rimanessi per partecipare alla gita di martedì; no di mercoledì, prego; ops, volevo dire di giovedì! Finalmente si parte per Livingstone. Di buon’ora, arriva Romeo col minibus. Ci siamo tutti? Abbiamo tutto? Via. I chilometri si snodano, monotoni. Pochissimi paesi, di non oltre cinque case; strada tutta in curve, salite, discese; qualche campo coltivato, qualche mucca scheletrica, una bella vegetazione. Ma questo, che cosa è? È la dogana che controlla i monti del Belise a est, e quelli del Petén a nord-ovest; ma soprattutto che controlla le merci provenienti dalla zona atlantica. Curiosità. Domande.
Ancora qualche chilometro e il panorama si fa più piatto, si scavalcano alcuni corsi d’acqua, ed ecco Rio Durce (sic!). il minibus s’infila tra due ranghi di negozi di tipicos, di ristoranti e di bodegas di ogni tipo per fermarsi a due metri dall’acqua. Siamo arrivati all’embarcadère, prego! Si scende, Romeo va a procurare una lancha, a riservare i tavoli del ristorante e scappa lontano dall’acqua. Imbarchiamo e partiamo verso la città de los Caribes.
È difficile esprimere la bellezza lussureggiante dei luoghi visitati, l’infinità delle sfumature di verde, lo spettacolo di sgarze, cormorani, pellicani, anatre, aironi appollaiati sui rami, galleggianti su l’acqua o in volo planato nell’aria. Migliaia di uccelli variopinti con movimenti ed atteggiamenti diversi. Migliaia di ninfee dai fiori a tutti gli stadi della fioritura e dei colori tenui e opalescenti. Una spiaggia che viene dopo un canyon, un passaggio stretto poi un paesaggio aperto quasi marittimo. Ed ecco Livingstone. La solita cittadina turistica con i suoi tipicos. Solo che gli abitanti sono i discendenti di quei bois d’ébène non più in buono stato di salute (spesso moribondi) che i bateaux-négriers abbandonavano alla loro sorte e di cui una piccolissima parte sopravvisse dando origine all’attuale popolazione. Dopo gli acquisti di rito, prendiamo la via del ritorno.
Appena arrivati, spunta il minibus di Romeo che ci fa un appel de phares, saliamo per andare ad ammirare il panorama dal ponte che collega le due rive del fiume. Ammiriamo di nuovo le lavandaie che si danno da fare, immerse fino a metà corpo nel fiume, per limpiar la ropa delle loro famiglie. Ma ammiriamo ancora di più la struttura su palafitte che funge da ristorante. La passeggiata ha aperto l’appetito, gli odori sono invitanti, i vari poligoni che fungono da sala sono freschi, i bagni invitanti, l’insieme pulito. Il pasto, ottimo, accresce un buon umore già palese. I pesci, le tartarughe, gli uccelli sono a portata di mano. Un paradiso. Ma bisogna fare in senso inverso la strada della mattina, allora, via.
Visto che domattina alle 9 ho un appuntamento e alle 11,30 un altro, Romeo e Rita riprendono la strada per riportarmi a Santa Elena. Significa per loro altre due ore di viaggio, una bella rogna ma non posso rinunciare ad incontrare certe persone.


9 Aprile: Hogar .
Si riprende la routine. Sveglia alle 5.20 “passeggiata” fino alla Cattedrale, Messa, ritorno al convento, saluto alle bambine che vanno a scuola, riassetto della camera. Poi, via al primo appuntamento alla caccia di ciò che non è arrivato. al Hogar e mi attacco al computer. Lettere varie. Consulto la mia mail e mi tocca giocoforza aspettare fino a domani: in Europa sono le 19.30.
Ora, devo ricuperare l’appuntamento mancato l’altra settimana col Preside dell’Università locale. Prendo un tuc-tuc e via sotto il mio immenso cappello bianco. Non passo certo inosservata, è decisamente un cappello da gringa. Dopo alcuni giri capito davanti all’ufficio “administracion”. Entro ma el director viene solo di sabato e domenica. Dovrò tornare domani.
10 aprile Barbiere
Cosa mi ha di più sconvolta, il suo sguardo indifferente e vuoto, l’assoluto disprezzo per la vita altrui, l’uomo macchiato di sangue che spalanca gli occhi e cade di schianto? Certo è che fu un’esperienza devastante. Ancora oggi ho incubi e dolore di stomaco. Torniamo indietro.
Alle tre, sono andata alla Maxibodega per comprare qualche cosa da portare anch’io per il pranzo al sacco. Alle 16.30 prendo il solito rotativo e mi avvio al rientro. Suono e, siccome tardano nel rispondermi, mi guardo attorno. Con quel sole, non c’è nessuno in giro. Una moto di piccola cilindrata arriva lentamente, frena. Tre colpi di pistola echeggiano, nitidi, secchi, non molto rumorosi. L’adolescente in maglia rossa gira la ruota anteriore, mi squadra, da gas e se ne va. L’uomo seduto si porta la mano al collo, si alza, esce dal negozio, spalanca gli occhi all’inverosimile e cade di schianto. Sono immobile, tetanizzata, nauseata.
Meno male ho un impegno con tutte: le devo portare al Pollo Campero; è tutto prenotato e loro sono eccitatissime.


11 aprile: Domenica turistica: Tikal

Domenica di turismo! Ore 8 arrivano i nostri: P. Alberto, Francesco, Rita, Franca, Roberto, Alberta, Claribel e Mixin con il minibus guidato da Romeo. È stata una bella giornata di condivisione, di cultura e di amicizia. Per il resto, fu come negli anni passati.


12 aprile: Visita al museo sull’isola di Flores - Concerto da Monsignore
Ieri, tornando da Tikal, l’incontournable Romeo ha lasciato, come previsto dal programma, Roberto e Alberta a Santa Elena. Propongo un giro sul lago. Eccoci partiti. Il giro si rivela piacevolissimo. Il sole non picchia eccessivamente perché un po’ velato, la lancia è coperta, si sta bene. Ci supera una lancia-rimorchio con un cavallo a bordo. Esclamazioni di stupore e Roberto si scuote dal suo letargo per fotografare, quando arriva nell’altro senso una lancia-rimorchio con una mucca. C’è un traffico di TIR su questo lago, da non credere!
Ma siamo arrivati all’isola museo. Due signori seduti al tavolo sotto la tettoia c’invitano a prendere il caffè con loro. Non facciamo in tempo a rispondere che arriva la guida (che è anche il figlio del signore che - con la sua collezione - ha gettato le basi della struttura) che ci presenta vari reperti: punte di lance in ossidiana, oggetti di culto in giada, urne in coccio, strumenti musicali. Ma siccome arriva un’altra lancia, suggerisco di chiudere. Tanto, siamo arrivati alle maschere…
Finito il nostro giro, torniamo a Flores dove incontriamo padre Ottavio venuto per un colloquio con Monsignor Fiandri e decidiamo di mangiare insieme un po’ di pescado blanco al ristorante sul lago consigliatomi da Suor Josefina. Di sera, ci aspetta Monsignore. Parliamo un po’ del suo progetto per una Cappella dell’Adorazione, fa fare un giretto ai “maestri” e, mentre prepara la cena, ci sistema davanti al televisore. Conoscevo già André Rieu per aver comprato due CD ma questo video mi rivela un’altra faccia della musica classica e del versatile musicista. Tra sogno e realtà, gran spettacolo all’americana e sobrietà classica, le melodie ti stregano e le immagini t’involano. Fantastico. Più tardi, Monsignore ci fa la cortesia di riportarci in convento. Ma non senza regalarci, ulteriore cortesia, una copia dei famosi concerti, che guarderemo con piacere nella nostra Sardegna.


13 aprile: Visita Scuola Suor Cristina – Padre Henrique al Hogar .

Questo è il nostro ultimo giorno nel Petén. Come promesso andiamo a visitare la Scuola di Suor Cristina. Perché, da quest’anno, San Benito possiede il suo Hogar Domenicano. Quello di Santa Elena superava le otto unità necessarie per accogliere una quarantina di bambine con una dozzina di postulanti. A San Benito, le suore hanno un terreno con due costruzioni, nella prima Suor Irene tiene il corso di cucito, nella seconda Suor Cristina con un paio di aiutanti regge un asilo infantile di una ventina di bimbi per aiutare le mamme lavoratrici. Tutto è di una pulizia ineccepibile: cucina, aule, sala riposo, sala giochi… Persino il prato verde.
Al nostro ritorno, troviamo Padre Henrique venuto a parlare con Suor Marcela. Di pomeriggio, operazione valigie!


 14 aprile

Ore 6.30, arrivano in convento i coniugi Ingrosso e si parte per Città di Guatemala. Anche quest’anno, abbiamo tentato di portare in giro un po’ di solidarietà, di serenità, di aiuto. Sono gocce d’acqua nel mare. Ma se ci fossero tante altre gocce, cosa non faremmo mai? Mi dicono spesso: “Ma cosa ci vai a fare? Turismo? Metterti la coscienza in pace? Non serve a niente” Forse è vero. Ma certi sorrisi, certe parole, certi sguardi fanno sì che tornerò. Per me, per loro, per niente… ma tornerò.

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