21 marzo 2011
Buenos dias,
finalmente Francisco è riuscito a far funzionare la “pennina” per il collegamento a Internet, per leggere la posta, per trasmettere i diari e le tante riprese che riesce a fare con il telefonino. Vi assicuro che non è stata un’impresa facile perchè qui tutto, o quasi, è in mano “all’incertezza e all’improvvisazione”. Las tiendas (i negozi) di Tigo e Claro - due compagnie telefoniche mobili locali – sono sovraffollate di personale che però non ci è sembrato molto professionale: ragazzi e ragazze, perlopiù molto giovani, vestono tutti la divisa della società e hanno il posto di lavoro all’avanguardia (peraltro da noi abbandonato da diverso tempo). All’ingresso della tienda c’è sempre la guardia armata e il dipendente che consegna il numero di attesa (l’eliminacode) e indirizza il cliente al collega libero. Due anni fa Francisco aveva comprato una pennina che, pagando un canone di circa 600 quetzales (60 euri per due mesi), gli consentiva di rimanere collegato tutto il tempo in cui si fermava in Guatemala
La cosa non ha mai funzionato troppo bene perchè qui in Dolores la copertura di queste due compagnie telefoniche è sempre stata molto limitata. La linea cadeva con moltissima facilità, una sola pagina di Internet si caricava in una mezzoretta, i diari non potevano essere spediti, P. Alberto era costretto ad andare in un punto Internet vicino alla casa per poterci “mettere in comunicazione” con voi. Gli anni scorsi il nostro Padre trascorreva intere mattinate al punto Internet e rientrava a casa stravolto dal caldo, dalla polvere, dal chiasso e dalla luce accecante del sole. Quest’anno Romeo – il nostro amico guatemalteco – aveva assicurato Francisco che la trasmissione dati era notevolmente migliorata e che lui personalmente aveva provveduto a caricare periodicamente con pochi quetzales sia la pennina che i nostri telefonini onde evitare di dover ripercorrere anche quest’anno le trafile per la loro riattivazione. Per quanto riguarda i telefonini non abbiamo avuto alcun problema, per quanto riguarda internet…. Ohi ohi !!
Romeo si è dato molta pena ma, tenendo conto che ha da seguire una famiglia molto numerosa (7 figli e due nipotini) ed ha un lavoro, anzi no due, il tempo per lui è sempre un po’ tiranno. Telefonicamente ha sempre assicurato Francisco che la pennina “doveva” funzionare e che qualcuno gli aveva assicurato che con altri pochi q.les tutto si sarebbe sistemato. Stanchi di metterci soldi, ma soprattutto stanchi per non riuscire a risolvere il problema, con P. Ottavio siamo andati a Flores (circa 80 km. da Dolores verso il nord del Guatemala) e subito-subito siamo andati alla centrale Telgua di Claro. Abbiamo trovato un bravo giovane, ma abbiamo dovuto penare per circa un’ora per farci dire perchè quella benedetta pennina non funzionava. Una volta ci è stato detto che mancavano 105 Q (10,5 euri) di carica alla mensilità; successivamente, quando Francisco ha preteso di vedere materialmente il funzionamento della pennina, ne sono stati aggiunti altri 20 perchè il ragazzo aveva fatto male i conti…e mentre asseriva questo, sorrideva scusandosi (in Italia Francisco si sarebbe un po’….alterato, ho visto il suo sguardo “alterato” solo per un attimo, poi ha disteso le labbra ed ha sorriso al giovane ringraziandolo per il suo interessamento. Anche questa è fatta!!
Nei giorni scorsi abbiamo fatto diverse visite alle aldee. Qualche volta siamo andati in un villaggio la mattina ed in uno nel pomeriggio; altre volte siamo stati fuori tutto il giorno. Quando non torniamo si verifica sempre il solito tira e molla del pranzo di Francisco: prendendo spunto dai suoi problemi di salute è l’unico a non pranzare e quindi ad essere giustificato – qualche volta a malincuore ma tante volte forse con la benedizione della famiglia – ed a “passarsi” per il pranzo e/o cena. Noi visitatori, P. Ottavio, Francisco, Sor Angelica e Sor Imelda (due Figlie della Carità), le promotrici che ci accompagnano ed io, a turno siamo ospitati presso una famiglia che provvede al nostro nutrimento. Non sempre le famiglie sono “abbienti” e spesso capita che le nostre “bocche” riducano le porzioni degli altri componenti della famiglia. Gli ospiti generalmente mangiano da soli intrattenuti dal capo famiglia, quando non è al lavoro, o dalla mamma che però raramente mangia con loro. Quasi sempre la famiglia fa il brodo (in spagnolo “caldo”) con il pollo le patate, le carote e il “uiskil” - una specie di grossa pera abate verde, con la buccia coriacea e bitorzoluta e, a mio avviso, dal sapore non ben definito) - e il “cilantro”/coriandolo che loro aggiungono al brodo in abbondante quantità, ma che a quasi tutti coloro che hanno condiviso nei precedenti anni la nostra esperienza non è piaciuto molto (ha un profumo molto intenso e per noi poco appetitoso). A causa del pollo - rigorosamente ruspante, ammazzato preferibilmente la mattina stessa e quindi per nulla frollato e ai nostri denti un po’ duretto – il brodo è particolarmente grasso. A noi visitatori le verdure, la carne ed il brodo vengono serviti nei piatti (tutti disuguali, non pensate che per l’occasione mettano fuori “il servizio” buono !!) e ci viene fornito il cucchiaio. In altri casi invece fanno il brodo solo con le verdure e il pollo viene cucinato arrosto; di conseguenza il brodo è più leggero, ma il pollo è notevolmente più duro (a Suculté P. Ottavio ha avuto difficoltà a tagliarlo con il macete). Il tutto è accompagnato dal “chile”/peperoncino molto piccante e dalle tortillas e anche da questo si nota l’abbondanza o meno che regna nella casa: se le tortillas sono abbondanti (un monton) tanto da lasciarne nel cestino allora la casa è “abbiente” altrimenti… traete voi le considerazioni. Anche io mi ricordo che quando ero piccola il pane non doveva mai mancare e questo dava un senso di sicurezza alla famiglia.
Durante il nostro pranzo, i bambini e le donne della casa ci guardano: poiché Francisco “no come” –non mangia – è l’addetto stampa della comitiva: I bambini alle volte si mettono in posa, altre volte si nascondono, poi gli vanno tutti addosso per ridere di loro stessi quando si vedono nelle foto. Molto spesso sono le stesse mamme a spingere i bambini a “mostrarsi” e quelle sono le foto che “escono peggio” non perchè i bambini sono meno belli, ma perchè non sono naturali. Ci siamo soffermati più volte, Francisco ed io, ad analizzare questo comportamento e pensiamo che per loro sia molto importante essere notati, considerati, amati, quasi che una foto possa… toglierli dalla miseria in cui vivono. Recentemente, durante una riunione di catechisti al Centro Poliformativo, Francisco ha proiettato le fotografie che lo scorso anno ha scattato nelle aldee. Questo coinvolgimento è stato molto gradito ed allora - con il conforto di P. Ottavio - abbiamo deciso che faremo sviluppare alcune foto di qualche aldea e le consegneremo al catechista o all’addetto alla pastorale dell’Eucarestia affinchè, anno per anno, vedano i loro bambini crescere, creando in loro una “memoria”. In questi ambienti pensiamo sia molto importante che ciascun individuo si senta partecipante attivo delle comunità e per questo deve ricordare, nel bene e nel male, gli avvenimenti della sua vita. La memoria, a livello nazionale, è un altro di quei discorsi che prenderò in seguito.
Vedete come è difficile raccogliere tutti i pensieri che si accumulano nella mente?? Stavo parlando di brodo e sono passata alla memoria…
Quasi al termine del pranzo degli ospiti i bambini vengono fatti mangiare nella capanna/cucina, ma spesso anche camera da letto, dispensa ecc. Per i più abbienti il brodo è servito nei piatti (sempre disuguali tra loro), più spesso in tazzoni. Non usano cucchiaio, ma si servono delle tortillas da inzuppare nel brodo e nelle quali avvolgere un pezzetto di pollo per farne un panino. Alla fine del pranzo il piatto/tazzone viene sempre ben ripulito (non sembra neanche usato) e le ossicina del pollo, rosicchiate con molta cura, a malincuore vengono gettate ai cani, magrissimi, che durante tutto il pranzo si sono aggirati (assieme a galline, pulcini, galli, oche e maialini) tra i piedi dei commensali sperando in una pioggia di “comida/pranzo” estemporanea e provvidenziale. Solo quando stiamo per andare via vediamo le donne predisporsi per il pasto…. Francisco mi ha detto che domenica nell’aldea di Mopan 2 ha visto e sentito un sospiro di sollievo elevarsi dalla padrona di casa quando ha saputo che lui non avrebbe mangiato…
Comunque ci scontriamo poi con l’incongruenza di questa gente che per non sentir piangere i figli o per farli stare zitti comprano loro quelle porcherie frizzanti che gonfiano solo la pancia, ma non danno nessuna sostanza.
All’aldea di Xaàn (Sciaàn) ho partecipato con Sor Imelda e Doña Roberta (una promotrice di salute e levatrice/comadrona) al gruppo di donne per la confezione de “las veladoras” – le candele contenute nei bicchieri. Non essendoci in genere, nelle aldee, la luce elettrica, las veladoras sono la luce di casa. È un “taller” (laboratorio) promosso per il “desarrollo des la mujeres” (sviluppo/crescita delle donne). Per questa attività il Vicariato ha acquistato nella capitale parecchia paraffina che viene messa a disposizione delle donne delle aldee per la fabbricazione delle veladoras che poi vengono rivendute. All’inizio tutta la materia prima (paraffina, stoppino e ferma stoppino) viene fornita gratuitamente (le donne procurano i bicchieri, magari riutilizzando quelli vecchi in loro possesso); un volta rivendute las veladoras, le donne devono preoccuparsi di ricomprare il materiale (tramite il Vicariato che lo fornisce a minor prezzo) e fabbricarne altre e provvedere alla loro vendita.
Principalmente è un modo come un altro per aggregare le donne che altrimenti non si frequenterebbero (per questa attività – che come ho detto è promossa dal Vicariato - non è assolutamente importante la confessione religiosa); in secondo luogo è per cercare di incentivare l’autostima (come dicevo nel precedente diario), il desiderio di essere utili e di vedere considerato e pagato il proprio impegno/lavoro. Le poche donne che hanno partecipato (solo 6) erano comunque molto contente, sorridenti, scherzose, autocritiche e desiderose di imparare la nuova attività. Si sono proposte per ricoprire a turno l’incarico di coordinatrice del gruppo, di contabile e di promozione dell’attività anche tra le amiche di religione evangelica (in questa zona gli evangelici sono molto presenti e attivi e cercano in tutti i modi – soprattutto con pressioni psicologiche e di paura – di fare nuovi proseliti). Inoltre c’è stata la discussione sull’importanza di questa attività, lo studio delle “strategie di vendita”, il costo di vendita da applicare alle veladoras grandi e piccole in modo da fare concorrenza alla tienda. La produzione delle candele è avvenuta nello stesso locale dove la figlia della padrona di casa faceva il formaggio, tra maiali e galline che razzolavano tranquillamente. Ogni tanto la padrona di casa gettava secchiate d’acqua sul pavimento sconnesso di terra battuta perché gli animaletti avevano provveduto ad “alleggerirsi”…non so se rendo l’idea… Il tutto condito dalla presenza di bambini che giocavano tranquillamente per terra, perchè la mamma non aveva potuto accompagnarli al baby parking.
Nell’ aldea di Esmeralda, che andrò a visitare durante la Settimana Santa, dopo l’esperienza delle “veladoras” le donne hanno intrapreso anche quella della produzione delle candele vere e proprie. Il procedimento in questo caso è più lungo e laborioso, il gruppo però è più nutrito e la produzione molto più elevata. In questo caso però le motivazioni delle donne sono più sentite: quest’aldea è molto distante da Dolores, è di recente costituzione, situata in terra di confine con il Belize, persone che per lo più sono espatriate da quel paese o dal Messico. Sembrano più intraprendenti come quelle di Las Brisas, ma in confronto a Xaàn non hanno la luce elettrica. Ecco spiegato il perchè della maggiore partecipazione delle donne di Esmeralda (oltre 12) al corso per la produzione di candele e veladoras e per la loro commercializzazione. Hanno già richiesto un quantitativo di paraffina superiore a quello che gli è stato regalato perchè hanno necessità di luce nelle loro case ed hanno i soldi per continuare la loro attività.
Mi rendo conto quanto ci sia da fare pur rispettando la loro mentalità e la loro, per certi versi, rassegnazione. Quest’anno vedo ancora in modo diverso le situazioni e riesco a fare paragoni tra i diversi ambienti, tutto comunque supportato da un dialogo continuo con P. Ottavio che ci fa guardare molto, rispondendo continuamente alle nostre richieste ed ai nostri disarmanti (per lui) perchè.
Bene continuerò a raccontarvi altre cose nei prossimi giorni, scusatemi se non sono molto solerte come lo scorso anno, non è che non vi penso e non vi voglio bene, ma quest’anno mi assalgono ancora diversi dubbi.
Lilli e Paolo, vi aspettiamo con tanta voglia di condividere con voi questa bellissima esperienza. Per me e Francisco ormai è diventata un “mal di Guatemala”
Françoise le bambine ti aspettano.
P. Alberto noi ti aspettiamo.
Besitos a todos.
Rita