17 Novembre 2004 Mercoledì
Si parte dopo le 8.00 per Limones, con noi sempre la super suora Josefina. Solita strada impossibile con guado di fiumi. È una brutta giornata: il cielo è chiuso e si annuncia una giornata di pioggia.
Arriviamo all’aldea di Limones, scopro che di limoni non ce ne sono o quasi.
Nella cappella-capanna, tutta pulita e che fa la sua figura nonostante il pavimento di terra battuta, ci sono gli addobbi delle feste trascorse (qui sono un pò trascurati nell’aggiornamento degli addobbi) e c’è soprattutto Mario, il catechista responsabile di qui, che ci accoglie. Mentre stiamo a parlare e il p. Ottavio s’aggiorna sulla situazione della Comunità, arriva una bambina con un mazzo di fiori per l’altare.
In quest'aldea non si conserva il Santissimo perché non c’è un ministro dell’Eucaristia che se ne preoccupi. Questa sera, alla messa, Mario farà proprio una intenzione di preghiera augurandosi che presto possa essere conservato il Santissimo a Limones.
Vengono segnalati malati e disagi vari cui portare una parola di consolazione e così si comincia la visita alle case (si chiamano così, anche se per noi sono solo capanne). Troviamo don Andrés che sta disteso sul letto e che ha problemi di artrosi. Racconta un fantastico, lunghissimo sogno con tanto di draghi e tentazioni del maligno e il p. Ottavio lo ascolta con attenzione. Nella “stanza” a fianco sua moglie e varie altre donne preparano le tortillas per le persone che stanno lavorando nei campi perché è tempo di raccolta del maìs. Cani, gatti, galline dappertutto. Nessuno ne fa conto: qui è normale, non solo comune.
Andiamo verso un’altra casa ma la pioggia ci sorprende e ci fermiamo, ad aspettare che spiova, sotto una veranda di palme di una casa dove ci sono solo bambini piccoli (la più grande avrà si e no 7 anni) perchè i genitori sono a lavorare.
Quando la pioggia ci concede un pò di tregua, ci rechiamo alla casa del catechista don Mario che ci ha preparato il pranzo: Riso e fagioli e alcune verdure. Sembra impossibile ma queste poche e semplici cose mi bastano e non ho proprio più voglia di mangiare quando mi alzo da tavola, anche se la povertà del cibo consumato, non rientra nelle mie abitudini alimentari.
Dopo pranzo andiamo al fiume che qui è bello e grande. Poi al carro e con questo alla chiesa. Mi prende una forte sonnolenza e allora mi sdraio sui sedili posteriori del pik-up e, piegato in due, mi lascio prendere dalla “callella”.
Alle 15,00 arrivano i ragazzi e le donne. L’affluenza non è molto alta. Mentre suor Josefina fa la catechesi alle donne, il p. Ottavio si avventura con i ragazzini che riempiono la palangana, nel consueto colaso (= passaggio).
La famiglia del Catechista
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Intorno è tutto fradicio perchè la pioggia ha avuto una certa costanza e la “cancha de fubal” è allagata ed in certi punti ci sono delle pozzanghere profonde anche 20 centimetri, regolarmente piene d’acqua. Ma l’amore per la pelota non conosce limiti e così i ragazzini s’impegnano in una partitella di pallone.
Dopo in pò cerco di risollevarmi dal torpore che mi aveva preso e vado a giocare con i bambini. Tramite traduzione di p. Ottavio, che sottraggo per un poco dalla catechesi dei responsabili della comunità dell’aldea, insegno ai ragazzi a giocare a bandierina. Dopo un pò di rodaggio, il gioco va. Quando l’atmosfera comincia a languire, provo ad insegnare il gioco “a rincorrersi” ma la cosa è molto ardua e alla fine desisto. Giocheranno a pallone!
Oggi ho fatto molte riprese d’ambiente: credo che siano molto belle anche perché ho avuto modo di camminare tra le capanne e visitarne alcune.
Alle 18.30 andiamo alla capanna-casa di Don Adrian, un altro dei catechisti responsabili, dove ci hanno preparato la cena.
È buio pesto e la capanna è fievolmente illuminata da una “lampada a petrolio”: una bottiglietta di medicinale con due dita di petrolio e uno stoppino. La “comida “ consiste in un piatto di fagioli e riso con un pò di verdure cotte. Sia a pranzo che a cena, mangio per la prima volta fagioli non ridotti a purea, ma interi. Faccio diminuire la mia porzione. Chiaramente ci sono sempre le tortillas come da noi c’è il pane. Da bere, come pure a pranzo, c’è caffé. Ma questo caffé ha la particolarità che è stato coltivato, seccato, tostato e preparato tutto da nostri ospiti. È un caffé di buon sapore, molto leggero. Devo stare attento a non bere acqua se non è purificata, per via della maledizione di Montezuna o di chi per lui (dato che qui siamo in Guatemala e non in Messico) e quindi benvenuto il caffé fatto con acqua bollita.
Alle ore 19.00 tutti in chiesa per le confessioni e la messa.
L’ambiente è illuminato da due candele all’altare e da un’altra che tiene in mano una signora che condurrà i canti.
Durante le confessioni, la suora fa una breve catechesi agli intervenuti.
Terminate le confessioni, si celebra la messa e il padre Ottavio fa la sua omelia, come al solito seguita con attenzione, anche se ci sono alcuni che, rimasti alla porta della chiesa, approfittano del buio per fare “concorrenza” al padre che li invita a partecipare meglio.
Anche questa della messa nelle tenebre è per me una nuova esperienza. Chiedo perchè non si celebri quando è giorno e mi viene risposto che quella è l’ora nella quale la Comunità solitamente si riunisce e cioè dopo il lavoro nei campi e la cena. Mi sembra giusto che siano rispettate le abitudini, anche per favorire la presenza del maggior numero di persone.
Alla fine della celebrazione, salutiamo tutti e rientriamo a casa, dove arriviamo alle 22.30.
Domani il padre Ottavio andrà all’aldea di San Marcos e a un’altra aldea più lontana, dormendo nell’amaca e facendo un tratto di strada, nella foresta, a cavallo, perchè il carro non può passare. Io resterò a casa anche perché, oltre la stanchezza, ho paura che l’andare a cavallo possa risvegliare i miei dolori dell’artrosi.
Certo mi piacerebbe fare l’esperienza di dormire in un’aldea, ma non c’è neppure l’amaca necessaria e chissà poi se avrei dormito su un amaca!!!