21-22 gennaio
Missioni

Caro Diario,
eccoci al terzo appuntamento per parlare di questa splendida avventura.
Domenica 21
, di buon mattino, ci siamo recati in uno dei posti più belli e fascinosi del mondo, Tikal, sito archeologico e parco naturale allo stesso tempo, dove la civiltà Maya ha toccato il massimo splendore prima della sua naturale decadenza e l’invasione degli spagnoli nella prima metà del 16° secolo. Alcune tradizioni religiose e linguistiche permangono nel vivere quotidiano della gente e sorprende vedere in questi luoghi antichi, alcuni altari di manifattura contemporanea, usati per il culto odierno sempre ispirato all’antica religione Maya. Intendiamoci! Niente di simile a quello che avete visto nel film di Gibson, che calcando la mano su alcuni aspetti cruenti di una cultura, vuole farsi pubblicità e quindi passare alla cassa. Quale civiltà, anche moderna, non ha dei risvolti violenti e crudeli? Inutile demonizzare questo o quello a seconda del tornaconto economico, ideologico o politico, usando poi il metro di valutazione contemporaneo. Andiamo per ordine. Dopo aver percorso una decina di chilometri all’interno dell’area protetta arriviamo all’ingresso del sito vero. Una giungla tropicale lussureggiante è il prezioso contenitore di migliaia di specie animali e vegetali. Pensate! Solo 60 razze diverse di serpenti, centinaia di varietà di uccelli, insetti poi…lasciamo perdere. In questo mondo incantato ci addentriamo guidati da Defido Noel, una giovane guida che ha conseguito il diploma nella scuola della missione. È preparatissimo e ci illustra anche le caretteristiche di alcune piante che hanno fatto la fortuna dei Maya e di tante generazioni più recenti. È solo dopo circa mezzora di marcia che arriviamo al primo dei siti; edifici abitativi imponenti circondati dalla solita selva tropicale che nasconde ancora altre costruzioni tutte da scoprire.

Ancora marcia e siamo nella “grande plaza” un'area rituale con imponenti piramidi che si affacciano su uno spazio grande come 2 campi di calcio messi insieme. Una delle delle piramidi può essere scalata… tramite scalette in legno ripidissime. Il mio angelo custode mi dice: ”Se cadi poi? Io sono un angelo per umani, non per elefanti…” il diavoletto dell’orgoglio mi convince a farmi i 60 metri di scalini e… altrochè sé ne valeva la pena! Una vista meravigliosa da mozzare il fiato a prescindere dalla fatica e poi giù con Franco dietro di me a consigliarmi per evitare errori irreparabili!
Il cammino riprende nella giugla sempre più ammaliante e sudo la mia camicia 7 volte… o 14? Altra piramide con suoi 70 metri da farsi e allora.. Dai! Che ce la fai! E qui è il massimo… un inno al creato, con telefonata a un caro amico che mi aveva raccomandato di chiamarlo. Ma bisogna venirci di persona, impossibile trasmettere le emozioni che si provano.

Infine arriviamo alla zona chiamata “mondo perduto” e qui la stanchezza si fa sentire… obbedisco al mio angelo. Evito di scalare la piramide più alta delle quattro che compongono questo sito con i suoi 100 scalini in pietra alti mezzo metro l’uno. Ottavio invece sembra un muflone, sale e scende con  agilità, prendendosi gioco di qualche giovane in crisi. Sosta per il pranzo e poi c'incamminiamo verso l’uscita dopo 6 ore di permanenza in questo posto unico che neccessita di una sosta di almeno due giorni per essere visitato in tutti i suoi angoli più nascosti. Andiamo dalle suore domenicane di Flores, che hanno un centro di accoglienza per bambine e adolescenti con gravi problemi familiari. Grande accoglienza delle bambine che ci avvolgono di un affetto grandissimo e delle suore stesse, toste come poche per la sapiente gestione di tante attività socialmente utili. Dopo aver consegnato doni per le ragazze da parte di una carissima amica franco-sarda, celebriamo la S.Messa e ci fermiamo a cena a Flores. Un piccolo lusso per distenderci, dopo il pranzo molto frugale, una degna conclusione di un giorno speciale.

Lunedì 22
Giornata dedicata al lavoro manuale. È neccessario portare terra per riempire la aiuole del giardino di casa.Per quattro volte accompagno Ottavio all’aldea visitata di recente (Mopán Dos) per caricare il pick-up di questo humus buonissimo, nero e sudato. Si, perché i due operai pagati da Ottavio lo portano giù per un sentiero che s’inerpica nel cuore della giungla per sistemarlo lungo la pista. Volentieri portiamo a questi giovani da mangiare e da bere e loro apprezzano e ringraziano. Andando sù  e giù per questa pista fangosa ogni volta carichiamo gente che va e viene dalle aldee per sbrigare faccende o per fare qualche visita a parenti. Sempre incontriamo le solite capanne con gli abitanti a guardarci passare e a salutare sempre gentili con un velo di malinconia che non li fa mai sembrare dei disperati e dimenticati da tutti. Qui gli unici a interessarsi della loro sorte sono i missionari e sporadicamente qualche organizzazione umanitaria. I contadini che lavorano questa terra disboscando la giungla senza ottenerne altro che il mais per la propria sussistenza, hanno bisogno di un vero piano di sviluppo che, salvaguardando il patrimonio naturalistico di questa meravigliosa regione, dia loro la possibilità di uscire dal tunnel della miseria non solo materiale ma anche morale. Proviamo a vivere in sei, otto, dieci persone di diversa età e sesso in una capanna di 15, 20 metri quadri, senza luce, acqua e servizi igienici, circondati dal fango in mezzo a ogni genere di animali domestici e non, con cibo scarso e limitato a tortillas di mais e fagioli, la carne che arriva una tantum, scalzi o con stivali di gomma indossati a piedi nudi con trenta gradi all’ombra e poi… proviamo a filosofeggiare sui massimi sistemi, sul giusto e l’ingiusto, su ciò che è trend, in o out. Coraggio! Diamogli dei buoni consigli su come venire fuori dai loro casini neri a questi incapaci… noi che ci siamo fatti un…. così per avere quello che abbiamo, dimenticando che altri se lo sono fatto prima di noi, permettendoci di vivere con 10 volte più del neccessario e… basta! Questo e altro rimuginavo ieri nell’andirivieni all’aldea di Mopán Dos, incontrando questa umanità così diversa ma così bisognosa di amore e di rispetto. Che ha gli stessi diritti che deve avere ogni essere venuto al mondo. “Alcanza el carro, Padre Ottavio!” grida felice Toby, un simpatico bimbo che si gode felice  quella gita inaspettata, e che non ci sta a essere distanziato da un altro pick-up avanti a noi. E così ho vissuto uno dei momenti più allegri della giornata, perché poi, quel matto di Ottavio gli ha obbedito e ha inscenato un rally vero e proprio, l’ultimo di oggi.
Ciao carissimi, spero di favorire la vostra partecipazione a distanza.Viaggiate ancora con noi.
Mariano

Hola caro diario! È trascorso qualche giorno da quando ho scritto… Nel frattempo mi sto ambientando sempre un po’ di più qui… Nel gruppo, dove trovo che ci sia una buona collaborazione e man mano si sta creando una piacevole sintonia. E nel luogo… La gente è molto gentile con noi, qui a Dolores per strada ci sorridono e ci salutano tutti! A pochi minti da casa c’è il mercatino dove andiamo più o meno ogni giorno e ormai praticamente ci conoscono tutti! Ogni volta che ci vedono sono felicissimi… sia perché penso si divertono n mondo per il nostro spagnolo molto italiano… ma certamente anche perché facciamo sempre spesa abbondante!
Ad ogni modo credo che se le persone sono state, fin dal giorno in cui siamo arrivati, molto ben disposte nei nostri confronti sia per il fatto che hanno visto che siamo amici di Padre Giorgio e di Padre Ottavio, che qui sono molto conosciuti per tutto ciò che fanno… e quindi, per questo, davvero ben voluti.

Li conosco poco, ovviamente, ma sento comunque di poter dire con certezza che sono due splendide persone, non ci vuole molto per capire certe cose… Dai caratteri differenti (Padre Ottavio molto aperto, estroverso, Padre Giorgio un po’ più per le sue…) ma accomunati dal fatto di darsi, visibilmente, totalmente per gli altri… Incredibile vedere come la loro vita sia completamente dedicata a questa gente… senza risparmio.
Padre Giorgio è preside del collegio qui a Dolores, completamente immerso in tutto ciò che riguarda la scuola, i ragazzi… Padre Ottavio perlopiù impegnato nelle aldee (i villaggi), si occupa di tante cose diverse in queste complesse realtà. E a colpirmi è soprattutto la forza, lo spirito con cui fanno tutto… Sempre allegri e di compagnia, anche alla fine delle loro intense giornate. Qualche sera fa, dopo cena, l’abbiamo finita a morire da ridere tra padre Giorgio che si è lanciato in scenette da teatro e canti d’alto calibro (sfoggiando pure delle non indifferenti doti canore!) e Padre Ottavio che continuamente lo istigava (lo “ infogava “) ad esibizioni sempre più solenni! Si avverte la loro serenità, il loro star bene nella vita che conducono… è evidente il loro credere in ciò che fanno e l’amore che ci mettono.

Per il resto… anch’io sto incominciando a vedere da vicino alcune realtà non certo felici… anche se non ho ancora avuto modo di andare nei villaggi dove tutto è sicuramente molto più difficile, come mi è stato raccontato da chi già ci è stato. Qualche giorno fa siamo andati al centro nutrizionale delle suore, a trovare i bambini  “mal nutriti”. Ne abbiamo trovato sette, tutti molto piccoli, più o meno un anno, a parte uno che ne ha otto, le suore li terranno lì fino a quando staranno abbastanza bene da poter tornare a casa. Poi comunque continueranno a seguirli con dei controlli periodici (una volta al mese) continuando a sostenerli anche con il cibo, a seconda di ciò che ovviamente anch’esse dispongono. Piccoli occhietti che ci guardavano fissandoci, cercando di seguirci ovunque ci spostiamo. Quando siamo arrivate noi era l’ora della pappa… con le boccucce tutte sporche fino al mento continuavano a guardarci incantati… era confortante comunque vederli mangiare. Ieri poi siamo andati a trovare le bambine orfanelle dalle suore di Flores. Appena  ci hanno visto ci sono venute incontro, ci hanno abbracciato, affettuosissime e a loro volta incredibilmente bisognose di ricevere affetto. Hanno più o meno otto anni e stanno lì dalle suore da piccolissime. Tutte splendide, ne ricorderò sempre una in particolare, Andrecita. Era seduta sulle mie gambe, stavamo giocando, ridendo… Ad un certo punto ha incominciato a guardarmi… mi sistemava i capelli e mentre me li girava con cura dietro le orecchie, mi ha chiesto: “ Tu tienes la mama? “ (tu hai la mamma?), per qualche secondo sono rimasta senza parole… e appena le ho risposto ha incominciato a chiedermi di lei: il suo nome, quanti anni ha, se anche lei vive in Italia (prima le avevo detto che venivo dall’Italia) e se lì viviamo insieme… Giuro che mi è stato difficilissimo trattenere le lacrime, sentivo di volerle incredibilmente tanto bene, per quanto poco la conoscessi… ma solo questo potevo fare per lei in quel momento. Spero di poterla riandare a trovare prima di partire. 
Ieri è stata una giornata molto piena caro diario, dalle suore siamo andati nel tardo pomeriggio, ma fino ad allora eravamo a Tikal, il sito archeologico più importante del Guatemala. Bellissimo! Abbiamo visto le rovine Maya… le piramidi e ciò che resta di una città ora quasi interamente (per l’80%) ricoperta dalla giungla! Ho visto lo scoiattolo, particolarissimi tipi di uccelli e persino le scimiette tra gli alberi!! Incantevole! Oggi invece giornata tranquilla, passata a sistemare qui a casa… dato che c’era un bel po’ da mettere a posto! Beh, ora ti saluto caro diario! A presto!
Alberta

Eccomi pronto per scrivere il mio secondo diario di permanenza in Guatemala. La prima cosa che a partire da questo momento mi viene in mente è che purtroppo per me e per Mario è iniziato il conto alla rovescia; si avvicina il giorno della partenza per il rientro al freddo in Italia. Bando alle cose troppo tristi, dedichiamo queste energie rimaste al completamento dell’obiettivo prefissato che, per chi non lo sapesse, è quello di portare un piccolo contributo morale e materiale alle persone che vivono in questi paesi (Aldee). A questo proposito voglio raccontare, l’esperienza fatta da me e da Mario in una di queste Aldee. Quella che abbiamo visitato in compagnia di Padre Ottavio e di due Suore si chiama Sucultè. La strada per arrivare è tutta sterrata, piena di buche e di avvallamenti. Il pickup di Padre Ottavio dev’essere ben collaudato  visto il modo in  cui prende la strada; tutto intorno verde, alberi di banane, di cocco e di tante altre specie che io non conosco. Il viaggio non dura tanto, un’oretta. Io e Mario occupiamo il tempo facendo dei paragoni improbabili con le nostre strade di campagnia, ogni tanto incrociamo un torrente che regolarmente, con la grande maestria di Ottavio (abbiamo ottenuto il permesso di omettere la parola Padre), viene passato al guado. Sui costoni dei monti circostanti ogni tanto si intravede una capanna (loro dicomo casa!?!) coperta con delle frasche di palma, Ottavio ci dice che in questi posti è il sistema migliore usato come copertura per non far passare l’acqua. Ci crediamo. Tanto qui per noi è tutto nuovo e tra un sussulto e l’altro da dietro una curva vediamo in una vallata diverse baracche, distanti l’una dall’altra, sembrerebbe che chi vi abita voglia evidenziare la propria proprietà o privacy. Siamo arrivati a Sucultè. Tutto intorno fango e sporcizia, cani magrissimi che vagano alla ricerca di qualche cosa da mettere sotto i denti. Ho visto alcuni cani mangiare dei chicchi di mais caduti dalle mani delle persone che sgranavano delle pannocchie e in quel momento non ho potuto evitare di pensare ai miei due cani che sono a casa mia e che, a differenza di quelli che sto guardando, hanno anche l’opportunità di scegliere cosa mangiare. Giro lo sguardo e su un prato, bambini che corrono dietro ad una palla, bambini che ai piedi hanno degli stivali in gomma per non affondare nel fango e altri che al contrario sono scalzi, tutti vestono con dei pantaloncini e delle magliette che da tempo hanno dimenticato il loro colore originale e la loro forma, tanto sono sporchi e lisi. Per le bambine le cose non cambiano, al posto dei pantaloncini vestono degli abitini del tutto simili nell’aspetto e nella forma lisa a quelli dei bambini. Nel guardarli mi si stringe il cuore.

Io e Mario ci guardiamo e, senza parlare, con dei gesti molto eloquenti, non possiamo fare altro che prendere atto della situazione e, nel nostro piccolo, cercare di trovare un sistema per dare una mano a questa povera gente. Intanto Ottavio con le Suore e con un giovane di nome Bernardo che si interessa di tenere i rapporti religiosi tra gli abitanti del posto, predispongono il programma della giornata. Nel programma c'è anche di fare vista a degli ammalati. Tutti insieme dopo, ci rechiamo a quello che dovrebbe essere un bar per far visita a Juan il proprietario. Lungo il tragitto Ottavio ci racconta che Juan ha dei problemi ad una gamba perché tempo fa un signorotto della zona, accompagnato dai suoi “bravi” a fare un giro sul posto, solo perché Juan ha avuto la disrazia di intralciare la strada cadendo dove il tizio passava, gli ha sparato. Questo è l’ambiente dove queste persone vivono. Anche a Dolores dove noi siamo di casa, girano continuamente militari armati della Securitade. Siamo nel frattempo di fronte ad una stamberga in legno che, a differenza di altre, è coperta con delle lamiere (tutte le abitazioni del Peten lo sono), sul davanti una piccola tettoia che offre riparo dal sole caldissimo e su una panca delle persone che parlano tra di loro. Siamo ormai molto vicini alle persone sedute e vediamo che, oltre a Juan, uno di loro ha delle stampelle di legno, veste con dei pantaloni lisi di un colore indefinito e una camicia lurida che anch’essa si è dimenticata il suo colore originale. Questo ci racconta di aver avuto un incidente in macchina. Per capire meglio la dinamica dell’incidente, mi sono dimenticato di dire che qui tutti, quando si spostano da un posto ad un altro e non hanno mezzi di proprietà, allora chiedono un passaggio e salgono dietro sul “carro”. Si chiama così il fuori strada della Toyota provvisto di cassone, in questi posti e probabilmente in tutto il Guatemala è il mezzo di locomozione più diffuso. Pertanto il signore suddetto, quel giorno si stava recando a Poptún (paese che dista 23 km da Dolores), e siccome andare a piedi era troppo distante allora ha voluto chiedere un passaggio ad uno sconosciuto che volentieri gli ha dato il passaggio ma al momento necessario non si è voluto fermare pertanto il signore in questione si è lanciato dal “carro” in corsa fratturandosi una gamba. Insomma, come potete ben capire, la fortuna certamente non volge il suo occhio benevolo su queste persone.

Nel prosieguo della visita, vedo intanto che Juan, ad un certo punto, da una tasca toglie uno straccio sporchissimo e unto e con quello cerca di pulirsi una brutta ferita ulcerata vicino all’occhio sinistro che gli parte dal canale lacrimale; io non resisto più, anche Mario si accorge, e a quel punto rivolto ad Ottavio gli chiedo se non può dire qualche cosa affinchè Juan non perseveri nell’operazione arrecando ulteriore danno a quella ferita. Io sono allibito davanti a tanta miseria e incuria, anche Mario non fa altro che scuotere la testa in segno di disapprovazione e impotenza davanti a tutto questo.
Chiedo se non gli si possono dare delle medicine adeguate per alleviare e curare quella brutta ferita, Ottavio mi dice che qui, non possono avere medicine perché non hanno i soldi per pagarsele. Mi sento di nuovo disarmato e allora siccome dall’Italia mi sono portato dei medicinali per ogni evenienza, decido di telefonare a casa per parlare con la ragazza di mio figlio Carlo, Michela che sta ultimando la specializzazione in oculistica. Altro ostaccolo, i telefonini non hanno campo e allora chiediamo di poter usare il telefono comunitario. Riusciamo a metterci in contatto e, per fortuna nei miei medicinali, ho un qualche cosa che può servire a migliorare la situazione. Ottavio mi dice che domani per recarsi ad un’altra Aldea dovrà passare davanti a Sucultè e allora quella sarà l’occasione per consegnare il tutto a Juan nella speranza che quei pochi medicinali possano essergli di aiuto.
Il tempo intanto passa, dobbiamo ancora andare a far vista a delle persone ammalate.
Si rimonta sul carro di Ottavio e via su per una strada che è eufemismo chiamarla così. Arriviamo vicini al posto e dobbiamo lasciare il mezzo sulla strada perché  “l’abitazione” presso la quale dobbiamo recarci si trova sul costone di una collina.

Prima di avviarci verso il nuovo incontro, alla mia destra sul costone, noto delle reti colorate e un tumulo con in sommità una croce, Ottavio mi dice che quello è il piccolo cimitero di quelli che abitano in quella capanna. La cosa mi lascia senza parole e proseguiamo verso il nostro incontro. L’abitazione non è altro che una capanna di tronchi e il tetto è di foglie di palma; il pavimento è scavato sul costone e, addossato allo stesso, un fuoco sul quale bolle un  indefinito contenitore, dentro al quale non si riesce di vedere il contenuto. Nella capanna ci sono due donne anziane, vestite di cenci, Ottavio mi dice che sono le mogli del malato che stiamo andando a trovare e che al momento non è presente; a quel punto chiedo come mai visto che la poligamia è proibita.
In quel tugurio noto alcune macine in pietra che servono per macinare il mais da utilizzare per preparare le tortillas. Queste macine sono dei piani di pietra vulcanica delle dimensioni di 30 per 50 cm. e un mortaio anch’esso dello stesso materiale. Dimenticavo di dire che qui, l’alimentazione è sempre composta da fagioli, riso (nei giorni di festa) e tortillas di mais. La dimensione di tutto l’ambiente compresa la zona notte è di circa 2,50 per 4 metri. Fuori di fianco alla casa 4 cani magrissimi, evidentemente ammalati di scabbia o rogna, fanno fatica anche a stare in piedi. Questi sono così magri che mi meraviglia che siano ancora in vita, viste le condizioni.

Con me ho portato una cinepresa, chiedo il permesso di poter fare delle riprese dell’ambiente; questo mi viene accordato e allora inizio, mi trasferisco nella zona notte e finalmente vedo i “letti”. Si tratta di giacigli fatti con assi di legno sormontati da una specie di zanzariera che deve servire per impedire che animali e insetti vari possano entrare e turbare così il sonno delle persone. Noto che i letti in questione non sono delle misure atte a contenere delle persone di altezza normale ma bensì più corti segno evidente che, qui in questo ambiente, sono abituati a dormire accovaciati. Sulla sinistra in un angolo, una catasta di pannocchie di mais, la scorta viveri per il futuro. Mentre riprendo non faccio altro che continuare a chiedermi come delle persone possano vivere in un contesto simile. Mi sembra che in quel posto tutto si sia fermato a 40 anni fa. È impossibile che nel 2007 nel mondo ci siano di queste situazioni. Sono sempre più sconcertato. Finisco le mie riprese e torno al centro della capanna; l’ammalato nel frattempo è tornato. Si tratta di un signore anziano che poi ci dice di avere 86 anni. È molto male in arnese. Osservo che, mentre parla con Ottavio e gli racconta del suo stato di salute, continua a grattarsi con molto vigore sugli avanbracci che sono diventati bianchi e lividi. Si tratta sicuramente di rogna, anche i cani ne devono essere pieni visto che sono sparsi di raro pelo….
Penso subito, con angoscia, che probabilmente quel signore non avendo nessuna possibilità di curarsi, morirà come un….. “cane”. Sento dentro di me una grande tristezza, amarezza ed un grande disagio. Sono disarmato davanti a tutto questo. In quel momento vedo il lavoro immane che Padre Ottavio fa nei confronti di questa povera gente. È una guerra persa in partenza se, da parte di chi può, non c’è la volontà di rinunciare ad un piccolo proprio capriccio per contribuire ad aggiungere una goccia in quel grande mare che è la necessità di portare un aiuto a questa gente. Hanno bisogno di tutto proprio di tutto.
Ottavio, prima di accomiatarci, recita un preghiera affinchè, CHI STA IN ALTO, possa portare un poco di serenità in quella famiglia. Risaliamo in macchina, è finalmente giunta l’ora di andare a pranzo. Nelle Aldee, dove Ottavio si reca per portare una parola di conforto, c’è l’abitudine che una famiglia, a rotazione, si offra di preparare il pranzo per i “pellegrini”. Arriviamo dove si deve pranzare, altra capanna un pochino meglio della precedente ma sempre estremamente povera nei contenuti. Il pranzo offerto è costituito da un cucchiaio di fagioli neri e da un impasto di mais. Tutto freddo. All’interno non esiste quella che noi pomposamente chiamiamo tavola per pranzare; ognuno di noi si appropria di uno sgabello e si prende il piatto da appoggiare sulle ginocchia. Le posate non esistono, al loro posto, ci sono le tortillas che, piegate e tenute tra le dita a mò di barchetta, possono fungere da raccoglitore con il quale pescare il contenuto del piatto. Uno sguardo quasi di panico, nella penombra della capanna, corre tra me e Mario. Cosa si fa? Si mangia quello che passa il convento. Io prendo una tortilla appena calda e pesco dal piatto; tutto è freddo e insapore.

Non so come fare… rinuncio a mangiare, subito dopo, anche Mario mi segue. Ottavio che è abituato a quel pasto mangia e decanta, con la bocca piena, la bontà del pranzo (forse vuole che anche noi gustiamo come lui)… Le Suore mangiano in silenzio, ogni tanto ci guardiamo ma nessun segno traspare dai loro visi. Il pranzo è finito, “finalmente” si ritorna al centro dell’Aldea dove c’è Bernardo che ha convocato, per una riunione, da una parte i bambini dall’altra le donne. È l’ora del Catechismo per i bambini mentre per le donne è il momento di una specie di training collettivo dove poter raccontare i propri bisogni e o deisderi… Arriva così la sera. È l’ora della Santa Messa, la Chiesetta si riempie di persone e di bambini. Ottavio deve celebrare, oltre alla Messa, anche tre Battesimi. Il Sacramento del Battesimo è in corso, non posso non notare la giovanissima età dei genitori dei bambini che devono essere battezzati. In quel villaggio non esiste nulla, non c’è un luogo di incontro, non esiste neppure la televisione perché non esiste l’energia elettrica. La Santa Messa viene celebrata con l’accompagnamento degli strumenti musicali. I canti sono di una melodia unica, alcune donne che cantano hanno delle voci bellissime. Quello è un momento in cui sembra che tutti si dimentichino di tutto… Ottavio alla fine della Messa da alcune indicazioni e nel salutare la Comunità, ci presenta a tutti dicendo loro che siamo venuti dall’Italia per portare una parola di conforto e di comprensione per tutti.
La mia prima vera giornata di permanenza in Guatemala per il momento è finita. Si decide di tornare a casa, arriviamo alle dieci, troviamo con grandissimo piacere i nostri amici che ci aspettano per la cena. Siamo tutti seduti a tavola con davanti un piatto che tra un poco si riempirà con quello che è stato preparato… (non ci sono ne fagioli, ne mais ne tortillas), non sono di umore ottimo, ripenso alla mia giornata appena trascorsa, Alberto, Mariano e le ragazze mi vedono scuro in volto e commentano a voce alta di quanto sia rimasto stravolto per l’esperienza appena vissuta.
Voglio a questo punto evitare commenti, ne ho già fatti tanti, desidero solo che chi leggerà queste righe possa per unattimo riflettere su quanto descritto.
Un caro saluto e un abbraccio per tutti.
Francesco.

21 Gennaio 07
SALVE!!
Sveglia alle 5:30 per poter essere tutti pronti per le 6:30…reduci da una cena preparata a base di pura cucina italiana da noi, anzi da Franco,  per invitare le Suore la notte prima…(un successone!)
Padre Ottavio ci porta a fare i turisti a Tikal, il più grande sito archeologico della civiltà Maya per eccellenza!!
Accompagnati da Noel, ex alunno di P. Giorgio, che ha accettato di farci da guida (in spagnolo), ci siamo inoltrati nella giungla!!!
Inquietante, misteriosa e allo stesso tempo accattivante, forse perché per niente abituati a stare così in mezzo alla natura, al suo profumo e soprattutto ai suoi rumori. Insomma senza parole se non ripetuti “ceeesss” e “che togo” (giusto per non dimenticarci che veniamo dalla Sardegna)!
Già i cartelli lungo la strada ci avvisavano della presenza di numerosi animali… ma non pensavo fosse così tanto facile avvistarli! Purtroppo la Sardegna da questo punto di vista non ci accontenta granché.

Le spiegazioni di Noel erano particolarmente chiare…capivo tutto…penso. Non so se sia per la bravura della guida o per la mia spiccata bravura nella lingua spagnola!!…?
Abbiamo fatto una lunga camminata di circa quattro ore in mezzo alla foresta, nel fango e sotto il sole!  La fatica veniva però alleviata dai numerosi avvistamenti di scimmie, procioni, uccelli di ogni genere. Non so se sia stata una sfortuna o no ma gli unici animali che non siamo riusciti a vedere sono stati serpenti e giaguari!!
Senza parlare poi dei panorami mozzafiato che potevamo ammirare dalle cime dei templi!
Oltre ad avere la possibilità di visitare alcuni monumenti all’interno, ci si poteva anche salire sopra. La cosa era tutt’altro che semplice e bisognava fare ogni volta centinaia di scalini ripidi per arrivare a 70 o 40 metri circa e potersi godere la veduta….un mare di verde interrotto qua e là da imponenti creste monumentali.
Quella dei Maya era sicuramente una civiltà che aveva saputo utilizzare le risorse più importanti che gli offriva la terra, riuscendo a sfruttarle come fonte di ricchezza e splendore. Dediti alla loro religione, ai propri culti e alle proprie tradizioni si poteva percepire in ogni punto del sito archeologico la magia di quella civiltà.
Pranzo al sacco e salutiamo Tikal soddisfatti e sudati!

   

Siamo poi andati in visita dalle Suore Domenicane di Flores. Nel loro convento ospitano solitamente bambine orfani o con situazioni particolari di disagio nelle famiglie…scesi dal pulmino la sorpresa è stata tanta.
Siamo stati assaliti da una marea di bambine, dai 4 anni in su, contentissime di vederci! Lo dimostravano venendo una per una ad abbracciarci, a prenderci per mano perché le seguissimo e stessimo vicino a loro. Una realtà sicuramente diversa da quella delle aldee: le bambine sono particolarmente seguite dalle Suore e dalle ragazze più grandi. Grazie alle adozioni gli viene data la possibilità di studiare, stando assieme così tante imparano la condivisione, il rispetto e soprattutto non dovendo pensare a accudire la famiglia hanno la possibilità di fare ciò che i bambini desiderano fare di più al mondo: giocare!
Gli manca però una cosa molto importante: i genitori. Ricevono l’affetto ma non dai genitori, ricevono l’educazione ma non dai genitori e loro soffrono per questo e ogni momento è buono per chiederci dove sono i nostri papà e le nostre mamme…e cosa puoi rispondere? Pensiamo bene di ovviare i discorsi invogliandole a giocare con noi al solito gioco delle mani che oltretutto è anche l’unico che sappiamo fare. E la cosa ha avuto grande successo! Ci hanno perfino insegnato i giochi che fanno loro solitamente!
Abbiamo chiesto alla Madre Superiora informazioni sulle particolari situazioni delle bambine e soprattutto le abbiamo chiesto se l’adozione fosse il modo migliore per aiutarle. «Certo che si, è la cosa migliore da fare per dar loro almeno la possibilità di studiare e dargli un po’ di garanzie »   e ci ha consigliato di rivolgerci all’associazione “amici del Guatemala”. Bene!!
Ci siamo salutate con la promessa che saremo tornate…non so se faccia più piacere a loro o a noi!
E come se la giornata non fosse stata già troppo lunga dopo la Messa abbiamo dato il colpo di grazia! Padre Mariano ci ha invitato a mangiare in un ristorantino a Flores stesso…e cosa fai? Non accetti? E così è stato!
Grazie Padre Mariano e alla prossima!               
CIAO A TUTTI LAURA

Eccomi qui, aprofitto dei tempi lunghissimi che il Guatemala ha, per scrivere due righe. Qui i nostri ritmi frenetici proprio non li conoscono, per fare quello che noi abitualmente facciamo in un’ora qui ne servono almeno quattro e devo dire che nonostante le difficoltà iniziali ad “accettare” questi ritmi ormai da questo punto di vista ci stiamo integrando abbastanza bene con la popolazione locale, stiamo, infatti, aspettando Padre Mariano per andare tutti assieme al museo di Dolores, sperando di trovarlo aperto vista l’ora… Siamo appena rientrati dal museo che era chiuso e nell’attesa che arrivi l’ora della Messa ho ripreso a scrivere… Punto fermo di questa nostra avventura guatemalteca è la Messa quotidiana a volte celebrata dalle suore, a volte in parrocchia e altre ancora qui in casa, ma sempre molto intensa e ricca di emozioni, e soprattutto quelle bilingue, italo-spagnolo, ricche anche di sorrisi più o meno nascosti in modo particolare durante le letture se le facciamo noi che in spagnolo siamo davvero scarsi… e pensare che io è dalla mia prima comunione che non facevo una lettura a Messa ed ora non solo leggo ma lo faccio addirittuta in spagnolo… E’ proprio vero che nella vita non si finisce mai di imparare…

Ieri ed oggi (23 gennaio) ci siamo dedicate alla pulizia della casa abbiamo riempito le aiule di terra fertilissima che arriva direttamente dalla foresta ora mancano solo i fiori… Ieri sera mentre trasportavamo la terra dalla strada dove è stata scaricata a dentro casa in tantissimi incuriositi si sono fermati a chiederci cosa stessimo facendo, a darci consigli ed a darci una mano, ci ha aiutato persino una bimba di tre anni… Questa cosa mi ha colpito molto tutta questa generosità… La gente di Dolores inizia a superare la diffidenza iniziale nei nostri confronti e a rapportarsi a noi con una certa curiosità… Purtroppo ancora non ho avuto occasione di fare l’esperienza dell’Aldea e se da una parte non vedo l’ora di farla dall’altra ho forse un po’ di timore a confrontarmi con, per usare un espressione di Francesca: “una povertà che è peggio della peggiore immaginazione” ma di questo parleremo in un alra occasione…
Per ora vi saluto, l’ora della Messa è arrivata, oggi in parrocchia e quindi con “veri” lettori…
Ciao a tutti Rosa Maria

24 gennaio
Finalmente mi accingo a scrivere anch’io qualcosa dopo quasi due settimane. Mi è mancato il tempo e la concentrazione necessari per scrivere.
Un viaggio così lungo e con queste motivazioni è per me la prima esperienza. Sono contento della scelta fatta! Tutto questo mancava alla mia esperienza di vita. Posando il mio primo piede in America mi sono reso conto di essere finito in un mondo totalmente diverso dal mio.
Arriviamo di notte all’aeroporto l’Aurora, di Città del Guatemala: è ben diverso dai precedenti aeroporti, anche del nostro di Cagliari. Ripreso possesso dei bagagli, come capita spesso, qualche valigia manca e qualcuna è stata aperta in malo modo per controllo.
Finalmente partiamo per arrivare all’albergo dove con sorpresa vediamo alla porta, cosa per noi strana, una guardia armata e cominciamo a chiederci: dove siamo finiti?
Sistemati i bagagli ci rechiamo nella nostra camera: mai viste cose del genere! Il portacenere è incollato al comodino!
Superata la notte, “rallegrata” da musiche e baccano vario, ci ritroviamo insieme a fare colazione.
Si parte, finalmente, con un pulmino, per visitare Antigua (l’antica capitale del Guatemala distrutta da un terremoto nel ‘700). Cammin facendo cominciamo a vedere gli usi e i costumi di qui: usi e costumi che c’incuriosiscono molto.
Antigua è una città costruita dagli spagnoli: ci mostra quale dovesse essere il suo splendore: è bellissima. Ho notato che uno dei vulcani vicini alla città fumava e per me è stata una cosa bellissima perché non avevo mai visto un vulcano in attività.
Dopo la visita della città siamo andati a mangiare in un locale tipico che a descriverlo mi resta impossibile: è stampato nella mia immaginazione! Da notare che la compagnia che mi ritrovo è piacevole, fin dall’inizio: mi trovo bene con tutti come se fossi stato sempre con loro. Familiarizziamo e facciamo battute sui nostri incontri.
Il pomeriggio riprendiamo il viaggio verso Dolores, la nostra meta. E’ stato lungo e massacrante ma in compagnia è passato meglio.
A notte fonda (le 23) arriviamo finalmente.

La casa di accoglienza ci accoglie, ma la stanchezza non mi ha fatto cogliere particolari magari interessanti.
Prendo possesso di una camera: divorzio assoluto da Franco! Lui dice che russo e, tra l’altro mi sta facendo una cattiva fama!

Il letto mi ha appena accolto e sembra tutto regolare.  Crollo dal sonno (fusi orari sconvolti e stanchezza grande) quando un gallo saluta il mio primo sonno. Accendo la mia pila dato che qui manca tutto, anche le abatjours e noto che sono appena le quattro del mattino. Sono rimasto sconvolto ma ormai convivo quasi serenamente con il “mio” gallo.
Alla levata tutti abbiamo tanto da raccontarci e così ci accingiamo a fare colazione.
Incominciano i problemi che non lo sarebbero stati se gli inconvenienti vari si fossero verificati dalle nostre parti. Incominciamo a darci da fare. Ci accorgiamo che è difficile reperire le cose che ci occorrono perché non conosciamo bene l’idioma e perché forse qui non c’è proprio quello che cerchiamo. Ci organizziamo col metodo di arrangiarsi. Cerchiamo di portare rimedio ai vari guai, con “quello che passa il convento”. Siamo tutti impegnati a pieno ritmo. Per fortuna la cucina va avanti alla grande grazie a Franco e a tutti gli altri che s’adoprano con impegno. E questo impegno di tutti continua tutt’ora.

Il 19 gennaio, mi alzo presto con l’aiuto del mio “amico” gallo. Vado in cucina per organizzarmi la colazione e, aprendo la porta, trovo, con meravigliosa sorpresa, tutto addobbato con palloncini ed ho capito che tutto ciò è stato fatto per me, per il mio compleanno. E’ stata un’emozione e commozione allo stesso tempo e meno male che non c’era nessuno a vedermi in quel momento!

 
 

Arrivati i miei compagni di avventura, si sono sprecati gli auguri e poi giù a lavorare!!!
La sera c’è stata grande festa con una bella cena, torta, birra e amicizia tanta. Ho avuto anche una lettera di auguri con
le firme della compagnia e dei “rimasti a casa”. Come regalo ho avuto un cappello locale e un machete: lo strumento per tutte le necessità dei locali. I miei 60 anni me li ricorderò per sempre.

20 gennaio
Il gallo è stato battuto sui tempi! Alle 4 in punto siamo stati svegliati da canti, suoni e mortaretti a tutta birra. Abbiamo capito cosa è la manañita. Era il compleanno di qualcuno e gli amici, come si usa qui, gli facevano festa fin dall’alba. Per oggi non si dorme più! Che razza di usanze!
In questi giorni sto cercando di organizzare bene tutto il reparto acqua: tubi e tubicini, depositi, acqua che scorre dove proprio non deve stare ecc… ecc… Comunque ne stiamo venendo a capo.
Una nota molto personale: da un po’ di tempo a questa parte, non mi perdo una messa! Non quella della domenica, ma quella quotidiana! Che recupero, gente!!! E per di più in spagnolo!
Ho incontrato anche la marimba che è uno strumento a percussione di questa terra.
Qui la gente è molto povera, ma non si perde di frequentare la chiesa e quando cantano ci mettono il cuore e la cosa mi affascina.

21 gennaio
Oggi levataccia: si parte per Tikal. Un mio desiderio finalmente realizzato: vedere le piramidi maya, salirci sopra. La parte visibile delle rovine maya è imponente, molto vasta ma è solo una minima parte del tutto: l’80% del sito è da portare alla luce!
Ci arrampichiamo più d’una volta all’apice della varie piramidi e vediamo l’imponenza di queste opere d’arte. Con gran fatica scaliamo il tempio 4, il più alto, e da lassù, una grande emozione: si vedeva un mare di verde, una foresta infinita.

Dopo una faticosa giornata di arrampicate varie e di foto scattate perché permanga la memoria, rientriamo passando per santa Eléna, dalle suore domenicane. La giornata non era ancora finita perché lì abbiamo avuto un’altra bella sorpresa: siamo stati circondati da tante belle bambine che vengono accudite dalle suore con grande difficoltà. Ci hanno raccontato  delle varie situazioni delle bambine sfortunate che hanno bisogno di tanto affetto perché possano crescere serenamente.
Dopo questa visita, il p. Mariano ci ha invitati a cena in un locale tipico adiacente al lago in mezzo al quale è costruita la città di Flores. E’ stata una serata indimenticabile.

23 gennaio
Oggi vado a una aldea. Ci conduce padre Ottavio e compagni di viaggio sono Franco e due suore vincenziane che lavorano nella pastorale parrocchiale.
Il viaggio ò avventuroso perché la strada che percorriamo è piena di fango e buche. Strada facendo vediamo ogni tanto una capanna che per tetto ha delle frasche di palma: nel paese, a Dolores, i tetti sono normalmente in lamiera. La condizione di vita è quindi più bassa. Poiché è la prima volta anche per Franco, commentiamo insieme quello che ci passa davanti. Queste capanne sono solitamente divise in due: cucina e camera da letto unica per tutta la famiglia.
Arriviamo alla nostra meta: Suculté che probabilmente è il nome di un principe maya.

Comincio a vedere delle situazioni per noi drammatiche. Ascoltiamo i racconti della gente del posto e vedo che una prima persona racconta di avere delle convulsioni: probabilmente epilessia, e che qui non c’è nessuna cura medica, nessuna assistenza e questo pover’uomo accetta il suo dramma come fosse una cosa normale. Abbiamo poi sentito un altro che ha le stampelle e  si è fratturato una tibia perché dopo aver chiesto un passaggio a un automobilista, naturalmente nel cassone, chiedendo di fermarsi per scendere, l’automobilista non si è fermato e lui, per paura si è buttato giù dal pick up in corsa. Con grande rassegnazione avrebbe dovuto aspettare un altro paio di mesi prima della guarigione.
Al suo fianco c’era un altro uomo con una situazione peggiore del precedente. Ha un’ulcera intorno ad un occhio e praticamente, non avendo medicine non aveva molto da sperare in una guarigione.
Poiché Franco è rimasto più impressionato di me ha tentato di porre rimedio almeno a quel problema cercando di telefonare alla sua nuora, specializzanda in oculistica. Quest’uomo raccontava poi di essere stato sparato a una gamba poiché la sua presenza ha infastidito un boss della zona, ora ucciso a sua volta e non si sa da chi. Nessuno ha pianto.
Mentre Franco telefonava, mi sono incuriosito a delle donne che preparavano dei pentoloni con del latte di vacca dentro: questo, per come mi ha spiegato il padre Ottavio, era la colazione per i bambini della scuola che arrivavano a frotte, ciascuno con la propria scodella portata da casa, e con gran diligenza si mettevano in fila attendendo il proprio turno. Dopo questa prima impressione ci rimettiamo sul pick up con il cassone traboccate di bambini, per loro è un gran divertimento, e andiamo a una capanna perché quasi regolarmente il p. Ottavio e le suore vanno a visitare le persone che stanno male. Impossibile descrivere questa povertà se non la si vede! Il cimitero qui non esiste e quando muore qualcuno viene seppellito a fianco della capanna e per delimitare la tomba si pone della plastica colorata e una traballante croce in legno.
Dopo una impressione disarmante, andiamo ad un’altra capanna dove ci viene offerto il pranzo. Non ho capito esattamente che cibo fosse, ho cercato di mangiarlo per non offendere quella povera gente.
Unica nota positiva, intorno a noi c’era sempre il verde meraviglioso della giungla.
Alla Messa celebrata dal padre Ottavio ci sono stati tre battesimi e sono stati momenti molto particolari ed interessanti.
Al rientro Franco diceva che avremmo cercato di dare aiuto a questa povera gente con operazioni ancora da definire. Ciao
Mario

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