Riflessioni di Françoise dopo il ritorno 2
Missioni

RIFLESSIONI DI FRANÇOISE DOPO IL RITORNO
Soleminis, lì 28 marzo 2008
Le ragazze Quetchì mi sorprenderanno diverse volte durante il mio soggiorno. Dalla diffidenza del lunedì, alla mezza accettazione del martedì (17 marzo) quando, dopo la messa crismale (per la consacrazione degli oli santi) in pompa magna nella chiesa di Libertad (che nomi queste aldee! Speranza, Fede, Libertà, Fiori, Dolori, e chi più ne ha, più ne metta), abbiamo condiviso il pasto. Le postulanti (sono le ragazze Quetchì che studiano nel convento, verificando così se hanno o meno la vocazione per diventare suore) hanno notato il mio gesto e lo hanno apprezzato: hanno celiato con me, poco poco certo, ma è stato l'inizio della nostra confidenza, lenta, stentata ma sincera. Parlare della cerimonia mi sembra superfluo, lo hanno già fatto gli altri meglio di me, e dovrei ancora sottolineare il caldo, l'incenso, i fiori, i trenta concelebranti che lavorano in Pétén ma che sono venuti da tutti i punti del globo (Cina, Europa, America del Sud), la folla densa e fervorosa che ha partecipato con tutta sé stessa. Per capire meglio ci sono anche i filmati, molto eloquenti. L'invito a pranzo era giunto inatteso per noi; è stato necessario "comunicare con la base" per chiedere l'autorizzazione a Suor Marcella che non era con noi; permesso accordato; si parte con i vari mezzi, per lo più pick up scassati e roboanti di una gioventù festosa e chiassosa.

 
Ma in quei luoghi, va tutto bene, il clima, la gente, le circostanze, tutto ti porta a vivere con gioia interiore quello che, da noi, sarebbe considerato "un casino". Al ritorno, tra Olga, suor Rosaria e la sottoscritta, abbiamo strappato alle postulanti qualche commento sulla giornata, qualche canto nella loro lingua, qualche risata. Uff, finalmente una porta che si apre. Lunedì, prima delle lodi, verranno a salutarmi con la lacrimuccia all'angolo dell'occhio, troppo orgogliose per lasciarla scorrere, ma mi chiederanno quando penso di tornare. A questa familiarità ha contribuito senz'altro la preparazione congiunta e complice de "la cena de despedida" che descriverò più avanti. Due suore e loro dieci giravano intorno a me, mi prendevano il lavoro dalle mani per farlo loro per imparare, osservavano ogni mio gesto come se fossi stata un "maître-queu" di prima classe.
Soleminis, lì 29-03-08
Ritorniamo alle suore. Mentre Elsa e Cristina mi sembrano ingenue e spontanee, vivaci come se avessero l'argento vivo addosso (soprattutto la prima), Suor Rosario è più attaccata alle cose materiali, è un pò golosa e ironica. La nostra prima passeggiata è una festa, si ride, si scherza, la seconda è più compassata, mira al sodo. Sarà questo contrasto che dominerà tutto il mio soggiorno a Santa Eléna. Le suore sono tutte splendide, ma ognuna col proprio carattere, i propri pregi e le proprie debolezze. Parlando di Suor Marcella, bisogna dire che merita un posto a parte per la sua immensa umiltà e la sua dolcezza. È una persona preparata, dotata di un solido senso pratico che le ha fatto prevedere e anticipare le mie intenzioni per le mie figliocce. Sempre disponibile non solo per le ragazze che l'attorniano costantemente, per bisogno di affetto e per varie necessità, ma anche per la gente che bussa in continuazione alla porta del convento per le più svariate ragioni. Sorridente e accogliente, non giudica nessuno ma il suo sguardo saggio ti soppesa bonariamente. Ogni pasto insieme è un'ulteriore rivelazione. D'altra parte, il momento del pasto è l'unico momento di vera riunione, di vero abbandono. Durante la giornata ci sono mille incombenze: chi deve uscire per portare la sua missione fuori delle mura, per visitare i poveri, gli ammalati, curare i problemi della chiesa, fare la catechesi... chi deve badare al benessere delle bambine, soprattutto le più piccole, chi deve pensare ai bisogni della comunità... insomma ognuna è di servizio durante la maggior parte del tempo. Solo l"orita" scarsa del pasto permette di mettere in comune gioie e preoccupazioni, problemi e possibili soluzioni. Qui si rivelano i caratteri, qui le personalità, qui i punti deboli. La frugalità della mensa esclude qualsiasi autocompiacimento. Riso, mais, fagioli, pollo, banane spesso troppo mature quindi cotte, sono la base di ogni pasto. Nessun compiacimento ma un mero atto di sostentamento delle forze. Il silenzio non è d'obbligo ma spesso si crea, spontaneo, per una breve meditazione. Solo l'essenziale viene espresso da alcune frasi quasi lapidarie. In contre-chant, il bisbiglio cripté delle postulanti. Ambiente ovattato, misterioso, incerto, per le persone come me, abituate all'esteriorità e all'espansività del mondo esterno. Sento vicine a me, ma forse è un'illusione, suor Elsa e suor Cristina, che hanno condiviso le mie escursione all'esterno. Irraggiungibile, senza punto debole, come fuori dal nostro mondo, rimane Suor Marcella.
Le bimbe sono magnifiche. Hanno una fiducia totale e un abbandono infinito nelle mani delle suore ma venerano in assoluto la Madre. Sono in buona salute, pulite, aperte, coccolone. Nelle loro dominicane trovano affetto, fiducia e libertà. Si può girare liberamente dovunque poiché nulla è chiuso in quel luogo. Camerette, docce, refettorio, parco giochi, sala giocattoli, buanderie, sala stenditoi, cucine (estiva e centrale), parco divertimento con altalene, piscinette, terreno di pala volo, di pallacanestro, prato (quasi) verde, sala da pranzo, sala cucito, biblioteca, sala televisore, salone ricevimento, parco ricevimento, tutto è aperto e disponibile - con il dovuto rispetto degli oggetti e dei luoghi - a chiunque voglia starci. Persino le camere-celle delle religiose non sono chiuse a chiave. Solo due ambienti sono accessibili con accompagnamento: l'economato/infermeria e la cappella. Non c'è lusso. Le mura semplicemente imbiancate alla calce, gli armadietti sono rustici ed essenziali, i letti sono giacigli di gommapiuma ma con copertine nuove e copriletto iperpulito. I tavoli del refettorio sono semplici e funzionali, possono contenere ampiamente sei bimbe di altezza diversa, in base all'età. Un vero inghippo, agli occhi miei, l'acqua sempre fredda. Sono avvezza all'acqua fredda, anzi, mi piace. Ma farsi la doccia di tutte le mattine, alle sei e con l'acqua decisamente fredda su tutto il corpo e non solo spalle e viso... anche se il clima è caldo, presenta per me qualche inconveniente. Spartane, loro non sembrano neppure accorgersi di tutti questi inconvenienti.

Di mattina, le trovo spesso intente a farsi la doccia, a lavarsi i capelli, o i denti, o il collo, con acqua, secondo me, quasi gelata. E ridono. E si spruzzano. Sono allegre, provocanti, affettuose. Passo di gruppo in gruppo. Baci, carezze, foto, riprese varie. Carpiscono i miei cellulari per trovare i giochi, le macchine fotografiche per tentare di vedere cosa ho fotografato, ci tentano anche con la cinepresa ma sto molto attenta. Si affollano allora alle mie spalle quando controllo le riprese. La mia testa è piegata sotto il peso delle loro mani. Sono sconvolta, risucchiata, annichilita, conquistata, Com'è possibile non amarle? La porta sempre aperta della mia cella viene regolarmente spinta da qualche visetto che dichiara di voler un bacio, di volerti bene, che ti chiede di spiegare come si vive da noi, che si siede semplicemente sul lettino per guardarti mentre armeggi con magliette o pantaloni, quando fai il tuo letto o ti lavi i denti. Tutto è semplice e schietto. Tutto appartiene a tutte. Stasera (20 marzo, giovedì santo) siamo tutte in chiesa per il rito della lavanda dei piedi. Tra i dodici prescelti, suor Rosario e suor Marcella. La prima provoca ironicamente la seconda che risponde pacatamente. Certo, si sono lavati i piedi con cura (non tutti lo hanno fatto anche se si tratta di una parrocchia cittadina) ma le scarpe (nuove, come quelle delle postulante e delle bambine) essendo chiuse trattengono sempre un pò... ma non importa. Oggi è un giorno speciale Le bimbe aspettano nel salone all'aperto (dove, di solito, si ricevono i questuanti) l'arrivo delle postulanti che, come sempre, si presentano in nidiata incerta, segno di timidezza. Si parte tutte per la chiesa parrocchiale. Immaginate uno spazio di circa 300m2, ottagonale, con aggiunta di quattro cappelle laterali: una per l'adorazione, una per il coro, una per i simulacri e una per il sovraffollamento. Struttura moderna, ariosa, barocca come tutto quello che è spagnoleggiante. La cappella dell'adorazione è disadorna, raccolta e incita alla meditazione. Sono seduta davanti, con suor Cristina e una diecina di bambine che quasi bisticciano per aver la sedia contro le nostre due ma solo quattro di loro possono riuscirci. Dietro di noi, un gruppetto di tre o quattro postulanti. A metà navata (se così si può chiamare), in ordine sparso, il resto del gruppo. Davanti a noi, 12 sedie che ci guardano. Il sacerdote fa accomodare uomini e donne che sono stati scelti per il lavacro, e comincia la cerimonia. Non starò a descriverla perché arcinota ma qui sembra assumere una portata maggiore a causa della semplicità delle persone e del fervore che pervade tutta la chiesa. Il rito ritrova la sua potenza. Incenso, melopee, parole sacre, tutto si confonde per raggiungere una dimensione che raramente si trova da noi. Poi, suore e laici ritornano in mezzo a noi e ascoltiamo la lunga messa che dura più di due ore. Ma ancora una volta, l'intensità è tale che quasi non me ne accorgo se non per qualche bambina che cade dal sonno. Alla fine si ritorna in convento tutte insieme, a piedi come all'andata, stando bene attente alle macchine che non rispettoso affatto i pedoni e corrono come dannate, persino di notte. È quasi l'una ormai.

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