Decimo invio
Missioni

Oggi è martedì 6 aprile e qui sono le 11,40 del mattino. Riprendo questo mio diario per mettervi quanto più possibile al corrente di quel chesuccede a Dolores durante la nostra permanenza che questa volta, per scelta, ha superato ogni aspettativa. Le cose da scrivere sono tantissime, tanto che non si sa neppure quali siano le priorità da esporre. Mi piacerebbe parlarvi delle aldee in cui sono stato durante la Settimana Santa, lo farò sicuramente anche in queste pagine, ma è molto importante informarvi anche delle cose “spicciole” che qui a Dolores succedono tutti i giorni nel corso della giornata. Prima di addentrarmi nella descrizione di fatti e fatterelli desidero esporre una mia riflessione su come gli abitanti di Dolores vedono noi Misioneros… Personalmente ritengo che, il fatto che noi ci consideriamo “Missionari laici”, ci piacerebbe pensare che anche gli altri ci vedessero in questo modo. Ne ho le prove: i “Doloregni” non la pensano per niente così. Veniamo considerati “Gringos”. In Guatemala, le persone di carnagione chiara, o meglio, quelli che non hanno i lineamenti tipici locali vengono considerati “gringos”; veniamo visti come americani pieni di soldi e di conseguenza “polli” da spennare senza ritegno e quanto più possibile. Da parte loro la cosa non è neppure tanto nascosta tant’è che ritengo, siano convinti che noi, non capendo la loro lingua, non possiamo renderci conto del loro comportamento. Pensano di noi che possiamo disporre senza problemi di quantità inusitate di denaro. Un esempio, ma se ne potrebbero fare tantissimi. Quando andiamo a fare la spesa cerchiamo di comprare un poco di tutto nelle varie “tiendas” (negozi) che si incontrano lungo la strada centrale di Dolores per fare in modo che non pensino che vogliamo privilegiare uno rispetto ad un altro. Per cui, da una parte si compra l’acqua in bidoni da 20 l., da un’altra si acquistano le banane e i pomodori e cosi via… In una tienda in particolare, dove noi ci fermiamo più spesso, si trovano la frutta e le verdure più fresche ma, per ben due volte, ci siamo scontrati per problemi di costi o incomprensioni.... La prima volta, l’altro giorno, dopo un giro fatto, per verificare dove poter comprare meglio, ci fermiamo alla tienda suddetta. Le carote, che qui si chiamano “zanahoria (sanaoria)”, sono belle, grandi e fresche, i peperoni “chile dulce (cile dulce)”, i cavolfiori “coliflor” e così via per diverse verdure. Rispetto alle altre è una tienda ben fornita. Chiedo il costo delle carote e il rivenditore mi fa cenno con la mano mostrandomi due dita sollevate subito accompagnati da un dito. Capisco che con un quetzal posso prenderne due. Inizio la mia scelta e ne prendo dieci per un totale, secondo me, di cinque quetzales; chiedo anche il costo delle patate e la persona mi risponde che costano 2 Q. per libbra (circa gr. 450). In quel momento tutto succede in un battibaleno, mi si avvicina un ragazzo della rivendita, mi apre la borsa e la vuota dicendomi che le carote costano 1,50 Q. l’una; noto di lato una signora in costume locale che si avvicina e chiede il costo delle “papas” (patate), una ragazza, sempre della famiglia dei venditori, sotto voce le sussurra “ 1 Q. per libbra”; a quel punto perdo la pazienza e nel mio spagnolo piuttosto stentato, P. Alberto direbbe “itagnolo”, manifesto il mio completo disappunto, gli mollo tutto perché mi sento letteralmente preso in giro e vado via. Rientro a casa senza carote, patate e con un diavolo per capello. Anche questo è Petén-Guatemala e ci va bene anche così.… La seconda volta, altro episodio simile, stessa motivazione, stesso risultato, stesso comportamento e ancora una volta rientro a casa senza la spesa. Ho anche pensato che la prima volta si fosse trattato di un incidente di percorso e che il fatto fosse casuale pertanto la prima volta non ci ho fatto caso più di tanto. Mi sono sbagliato perché l’episodio si è verificato anche una seconda volta.… Ecco questa è una delle chicche prese a caso e descritte. C’è anche quella di una signora che una mattina presto ha suonato alla nostra porta e ci ha chiesto i soldi per andare all’ospedale. A questo proposito P. Ottavio ci ha sempre raccomandato di non dare sold a nessuno, tantomeno a chiunque adduca necessità economiche. Dobbiamo dirottarli dalle Suore.

Suculté

Sempre per stare in tema, in un precedente giro alle aldee il 31 marzo con P. Alberto e Rita siamo andati a Sucultè. Questa comunità per me ha un valore e una importanza particolare. E’ stata la prima comunità visitata in compagnia di P. Ottavio quando, quattro anni fa, in nome e per conto della Sezione Sardegna degli Alpini, ho iniziato l’avventura guatemalteca. In quell’occasione dovevo consegnare a P. Ottavio l’assegno di 6.000 euro raccolti in occasione della quarta marcia alpina della solidarietà. L’assegno sarebbe stato utilizzato per ultimare la casa di accoglienza qui a Dolores dove noi viviamo. Successivamente sono state organizzate altre marce alpine il cui ricavato era destinato anche ad attività di solidarietà a Dolores/Guatemala. Prima di addentrarmi nella descrizione dei successivi fatti è necessario premettere che circa una settimana dopo il nostro arrivo, intorno alle dieci del mattino, si è presentato alla nostra casa Gigi, il fratello di P. Ottavio, accompagnato dal figlio di Don Tino, il catechista di Sucultè, che vuole parlarmi privatamente. Gigi comprende la situazione, si allontana e con il figlio di Don Tino ci accomodiamo sulle panchine costruite con Mario due anni fa. Il signore, di cui non conosco il nome e che a parer mio deve avere una quarantina d’anni, inizia a parlare e mi dice che in una delle mie precedenti visite a Sucultè mi ero impegnato a contribuire ad ultimare la loro chiesa. In effetti l’ultima marcia alpina della solidarietà del 2008 era stata organizzata proprio per contribuire all’ultimazione della chiesa, ma impedimenti burocratici hanno fatto ritardare l’elargizione della somma stabilita (6.000 euro). Prendo tempo dicendogli di aver parlato della cosa con P. Ottavio, che sicuramente gli “inghippi” burocratici si sarebbero risolti entro breve tempo, ma che per il momento non ero in grado di mantenere fede agli impegni precedentemente presi. Penso di essere riuscito a rassicurarlo perché di lì a poco, dopo alcuni convenevoli per sdrammatizzare la situazione, si alza, mi saluta con un mezzo abbraccio, come si usa qua, imbocca la porta e se ne va. Dopo poco ritorna Gigi incuriosito dall’atteggiamento sospettoso del figlio di Don Tino ed al mio racconto mi dice che qui non bisogna mai prendere impegni palesi, né mostrare disponibilità a fare qualche cosa perché tutto viene preso come un impegno definitivo e inderogabile. Quindi quando con P. Alberto e Rita andiamo a Sucultè per la celebrazione della S. Messa, so che gli abitanti di quel villaggio e Don Tino, mi aspettano perché dia loro la possibilità di riprendere i lavori della chiesa interrotti per mancanza di quattrini. Quattrini che, al momento bloccati, devono essere ancora consegnati dall’attuale direttivo della Sezione Sardegna a p. Ottavio che curerà definitivamente il buon fine della costruzione. Come dicevo troviamo ad aspettarci tante persone e, a circa un centinaio di metri su un prato verdissimo e grandissimo, un nugolo di ragazzini, la maggior parte scalzi, corre dietro ad un pallone. Molte persone mi riconoscono e mi salutano con un sorriso e anche con il solito saluto guatemalteco. Un pochino in disparte, Don Tino, si avvicina e con un largo e “smagliante” sorriso d’oro (mostra i suoi incisivi ed i suoi canini contornati da una lamina d’oro) mi abbraccia e la prima cosa che fa mi porta dentro la chiesa per mostrarmi lo stato dell’arte. Il pavimento è ancora grezzo in terra battuta, alle finestre (10) non ci sono ancora gli infissi, a destra dell’ingresso un cumulo di terra e a sinistra uno di ghiaia (gioco preferito dei bambini in chiesa). Sotto l’altare, posto su una piattaforma piuttosto alta, riconosco i vecchi banchi che c’erano nella vecchia chiesa fatta di assi di legno e che ora si perdono nella vastità della stessa. Don Tino è palesemente orgoglioso nel mostrarmi quanto fatto finora, è molto disponibile nelle informazioni, consapevole che dovrei dargli dei soldi; mi dice che la chiesa ha una superficie di 185 mq., che mancano le finestre e le porte, e che per fare il “piso” (pavimento) servono non meno di 50 sacchi di cemento. P. Alberto intanto è fuori a confessare, c’è molta gente in fila. Rita, come sempre attorniata da bambini, fa le fotografie sollecitando un sorriso dai più riottosi. Don Tino mi invita anche a visitare l’allevamento in “vasca” dei pesci e mi dice che visto che non ci fermeremo a cena, ha piacere di regalarci il ”pescado” (pesce) che sarebbe dovuto servire per la cena. P. Alberto dopo due ore finisce di confessare e celebra la S. Messa; nel frattempo arrivano P. Ottavio, Alberta, Roberto e Franca che erano all’aldea di Xaan (Sciaan). Roberto rimane impressionato nell’apprendere che quella era la chiesa per la quale ci si era impegnati con la marcia della solidarietà. Si rende conto che la chiesa non è un divertimento per quella gente semplice, ma è una necessità e motivo di aggregazione. Prima di salire in macchina per rientrare, Don Tino si avvicina per dirci che il successivo lunedì mattina sarebbe venuto a Dolores per definire i tempi di inizio lavori. Questa speranza riposta in me mi fa stare male: non vorrei deludere queste persone ma non sono in grado in tempi brevi di dare risposte concrete. Sulla strada del rientro cerchiamo di pianificare l’operazione per realizzare i lavori e con P. Ottavio e P. Alberto facciamo una veloce analisi dei costi: con una cifra intorno ai 1.300 dollari (circa 10.000 quetzales) possiamo intanto fare il pavimento e anche l’imbiancatura interna ed esterna della chiesa. Tiro un sospiro di sollievo perché prima partire per il Guatemala con Rita, tra parenti ed amici, abbiamo raccolto un po’ di soldini il cui ammontare si aggira intorno alla cifra che serve per completare i lavori… Nel frattempo arriviamo a casa: è stata una giornata decisamente intensa, emotivamente stancante tra la violenza di “El pedregal” e la speranza degli abitanti di Sucultè, nonché le bordate di Don Tino che da vero mastino non molla la presa fintanto che non riusce a raggiungere il suo obiettivo. Prima di concludere ancora alcune notizie su Sucultè per capire come questo villaggio sia diventato il mio “primo amore guatemalteco”… E’ stato il posto che, senza tanti giri e preamboli, mi ha fatto conoscere la dura realtà locale. E’ qui che la prima volta ho incontrato un campesino che, avendo avuto la sventura di cadere nel fango al passaggio di un pik-up di un “ganadero” (allevatore), si era beccato una pallottola in un ginocchio – rimanendo invalido - solo perché non era stato veloce a rialzarsi e lasciare libero il passaggio. Quel signore aveva anche una brutta infezione purulenta ad un occhio che si puliva con uno straccio lurido e pieno di ogni schifezza… Vi ricordate? Ne avevo parlato in un diario quattro anni fa… Quel signore oggi, grazie a Dio vive ancora, l’ho incontrato e sembra stia bene…. Il resto nel prossimo diario dove vi parlerò di San Lucas… Hasta luego…
Francisco

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