Nono Invio
Missioni

Sabato 3 aprile
Ciao amici siamo Rita e Franca. Noi due scriviamo e condividiamo tutto. Innanzi tutto vogliamo ringraziarVi per tutti i bei messaggi che ci state inviando ed anche per le telefonate che ci arrivano dall’Italia. Grazie, grazie, grazie siete nei nostri pensieri perchè ci sappiamo nei Vostri. Siamo in attesa della Pasqua, per molti di noi prima esperienza: Sono tantissime le cose avvenute nell’ultima settimana, saremmo troppo lunghi e noiosi, pertanto… cerchiamo di sintetizzare. Venerdì pomeriggio 26 marzo arrivano i nostri misioneros dall’Italia: Francoise, Roberto e Alberta (marito e moglie) e Ivan, un architetto francese amico di Francoise, venuto quaggiù per predisporre i progetti della scuola di infermiere a S. Elèna e della scuola professionale nel collegio di P. Giorgio. Dopo la sistemazione negli alloggi, usciamo tutti insieme per assistere alla Via Crucis per le strade del paese.

E qui per Roberto, Alberta e Ivan c’è il primo vero impatto con la realtà guatemalteca che provvederanno loro a raccontarVi. Sabato mattina andiamo tutti al Centro Poliformativo dove le Suore e P. Ottavio intrattengono i catechisti delle varie aldee prima del ritorno presso le loro comunità. Si parla di religione, di attività sociali e di medicina per meglio venire incontro alle esigenze di tutti. Fa un gran caldo e con i nuovi amici andiamo a fare un giretto per il Centro.

Alberta e Franca scoprono le cucine e si mettono a fare tortillas con le signore che ridono divertite per la poca destrezza delle nuove cuoche imbranate (si commenta: “vorrei vedervi fare malloreddus, culurgionis o zeppole !!!!). Scherziamo e Roberto, il maestro, ne approfitta per immortalare “le ragazze”. Intorno alle 11,30 ritorniamo velocemente a casa. Devono venire i catechisti a ritirare le “borse” preparate precedentemente con le cose mandate dall’Italia con il container. P. Ottavio li riceve sulla porta di casa e per ognuno c’è una parola di incoraggiamento, un abbraccio e l’augurio per una “feliz” Pasqua. Non li rivedrà tutti prima di Pasqua perchè andrà nelle aldee alternandosi con P. Giorgio e con P. Alberto. Nella più grande allegria P. Ottavio annuncia che Roberto è un maestro di musica che suona la chitarra, il pianoforte ed il violino. All’improvviso un catechista arriva... con un violino e si cominciano le danze. Ve lo immaginate un violino nella casa de los misioneros a Dolores/Peten a 420 Km. da Città del Guatemala, a non so quante migliaia di kilometri da casa nostra ??? Ebbene si anche quest’anno si è verificato un piccolo “avvenimento” musicale !!! Chi alla chitarra, chi alla pianola arrivata dall’Italia e Roberto al violino si intonano musiche e canzoni sud-americane accompagnate da ritmici battimani e accompagnamenti vocali. Sembra una festa perfettamente organizzata e riuscita tanto che a stento tutti tornano alle loro aldee compresi i bambini che hanno adocchiato i giocattoli…

Di pomeriggio decidiamo di andare a Ixktun (Isctun) un villaggio maya a pochi chilometri da Dolores. Affittato un pik-up tramite un amico di Claribel, pattuito il prezzo partiamo tutti alla volta del sito maya. La strada è molto accidentata ma i nuovi arrivati tra un “haia” un “ohi” e un “bello!!!” hanno sopportato gli sbattimenti in modo molto stoico per essere la prima volta. La foresta ci abbraccia, il verde degli alberi è intenso, il silenzio rotto dalle urla delle scimmie e dal canto dei numerosissimi uccelli (riusciamo anche a vedere dei pappagalli che ci vengono segnalati dal guardiano del sito). In effetti, come ci aveva avvertiti P. Alberto, non è che ci sia molto da vedere, ma in questo sito si trova la stele più alta del Petèn. Ivan è affascinato dall’atmosfera e gli piacerebbe trascorrere una notte in foresta a completo contatto con la natura e Roberto gli fa il coro. Il custode ci fa inoltrare nella foresta per farci vedere una ceiba (seiba) grandissima e che probabilmente adesso è ai piedi di una piramide maya. Durante il percorso vengo presa in giro continuamente perché ho paura dei serpenti e cammino molto guardinga, anzi mi incavolo perché Francisco non sta vicino a me, quasi dovesse preservarmi dal morso del serpente.

Prima di tornare a casa P. Alberto richiama la nostra attenzione e ci riunisce vicino ad un ruscello che attraversa il sito. Rimaniamo in silenzio ascoltando solo i rumori della foresta: un incanto!!! Qualcuno comincia ad apprezzare il cielo guatemalteco, pieno di stelle.
Domenica mattina partecipiamo alla celebrazione della Domenica delle Palme. Si parte dal Centro Nutrizionale, seguito dalla Suore della Carità, dove si trovano alcuni bambini ricoverati con vari problemi (denutrizione, malattie ecc.). Sono stati lavati di fresco i panni e le scarpine dei bambini…. Il vialetto d’ingresso al Centro è ornato da fiori e palme intrecciate che tante persone intervenute portano in processione. Il caldo è asfissiante, la luce è accecante nonostante siano solo le 9 del mattino, numerosissimi ombrelli riparano dal sole, i nostri Padri presenziano la cerimonia. La processione percorre le vie del paese, ma al suo passaggio gli altoparlanti delle macchine, le grida degli strilloni non diminuiscono di intensità e la gente lungo strada seguita a fare gli affari propri. Alla fine della Messa, Roberto non resiste più e chiede di poter provare a “tocare” (suonare) la marimba. Ha successo perchè intona una melodia. Nel pomeriggio vengono a trovarci Mixin e Claribel e la serata passa tra cantate italospagnole e balli interpretati da noi “ragazze” accompagnate alla pianola dall’insostituibile Maestro Roberto (non è mancata neanche “A chi”).

Lunedì 29 comincia il giro per le aldee ed il posto preferito per affrontare i viaggi sembra la palangana (il cassone del pick-up). Nel frattempo Françoise è partita per Sant’Elèna con Ivan. Il tempo non ci assiste. Il nostro gruppo laico si divide tra i due Padri che celebrano le funzioni (due al mattino e due alla sera). Di mattina con P. Alberto e Alberta ci fermiano a Sacùl Arriba assieme ad una ragazza, Masiel, di circa 20 anni che ci accompagnerà per le aldee per tutta la Settimana Santa. P. Ottavio e gli altri vanno a Naranjon dove si parla la lingua Quechì (checì) e dove Roberto avrà il suo battesimo del fuoco. A Sacùl Arriba P. Alberto, per circa un’ora e mezzo, confessa all’aperto anche sotto la pioggia, la gente arriva alla spicciolata perché gli orari non sono proprio dei migliori per loro; tutti vogliono farsi trovare pronti per la Messa che sarà partecipata con entusiasmo. In tutte le aldee dove sono stata, il Celebrante precisa che la Messa che sta celebrando e per l'aldea quella di Pasqua e devono viverla come se fosse domenica. Al termine ricca distribuzione di caramelle, ma poiché i bambini sono pochi, la distribuzione coinvolge anche mamme, papà, nonni e zii. Tutti sono contenti, specialmente i grandi che solitamente non ricevono caramelle, e ringraziano per la nostra presenza. Ci viene offerto il pranzo in due case diverse (non possiamo essere ospitati tutti da un’unica famiglia, fosse solo per un piatto di fagioli neri e tortillas: l’abbondanza qui non è di casa !!!). Di pomeriggio con P. Alberto e Francisco vado a Sacùl Abajo dove eravamo stati in precedenza con le Suore e P.Ottavio. Francisco ed io veniamo letteralmente assaliti dai bambini soprattutto da quelli che hanno fatto la Prima Comunione vedi quinto invio). Ci chiamano per nome, ci presentano ai loro amici, vogliono farsi fotografare e vogliono giocare con noi a “Rosa rosella”. Francisco si defila con la scusa di “tomar” (fare) foto, ma ben presto, quando il cerchio si è ingrandito molto, non può esimersi dal giocare con noi. Rimaniamo sbalorditi da come i bambini in poco tempo abbiano imparato la filastrocca in italiano addirittura pronunciando le doppie in modo appropriato. Dopo la Messa gran finale di caramelle!!!!! La sera ci raggiungono gli altri che sono stati in altre due aldee e ci riportano un Roberto dolorante, ma non domato: stoicamente, per fare il cavaliere, si arrampica in palangana peggiorando la situazione polso/spalla.

Martedì 30 marzo, accompagnati dal figlio di Romeo, la moglie e la piccola Fransuà (in onore della nostra Françoise), di mattina siamo andati tutti a Las Cruces, che si trova oltre Dolores, per assistere alla “Misa Crismal” (la Messa per la benedizione degli Oli santi). Al nostro arrivo ci accoglie Padre Emanuele Enrique che molti di Voi conoscono essendo venuto anche in Italia un paio di anni fa. E’ un giovane prete di 33 anni con tanta iniziativa e che segue quella parrocchia da ormai due anni. E’ riuscito ad organizzare una festa sontuosissima coinvolgendo tutte le aldee della sua parrocchia e si nota un gran fermento intorno alla chiesa: è stato organizzato persino un parcheggio (sterrato) ed un servizio di guardiania che viene assolto con molta determinazione. La Chiesa è grandissima, fa invidia alla Cattedrale di Sant’ Elèna di cui ne ricopia l'architettura, tutta addobbata per la cerimonia. L’armonium, arrivato dall’Italia lo scorso anno, le chitarre, la marimba e la batteria a volume abbastanza alto accompagnano un coro come al solito molto “impegnato” nel senso che sono più le urla che gli accordi (il maestro si è già più volte accorto di questo e solleva il sopracciglio sorridendo - beato coro alpino!!!!). Ma ci sta tutto nell’atmosfera e nella chiesa piena fino all’inverosimile (P. Enrique ci dirà che c’erano più di 2.500 persone) arriva il Vescovo, Mons. Fiandri, accompagnato da oltre venti sacerdoti provenienti da tutta la Diocesi. La Messa dura circa due ore perché tra le varie funzioni (rinnovo del voto sacerdotale, la benedizione dei 3 olii (catecumeni, crisma e olio per gli infermi) il nostro Padre Mario ci fa un predicozzo di oltre un’ora. Il momento dello scambio del segno di pace è veramente coinvolgente: oltre all’abbraccio dei nostri Padri, riceviamo quello di tante persone provenienti da tutta la Diocesi con gli abbigliamenti più disparati e dai colori più variopinti ed anche da persone che chiaramente sono turisti. Il bello di questo momento è che qua la gente viene a cercarti per scambiare la pace, non hai la possibilità di restare solo…
Dopo aver pranzato con tantissime persone - era invitato a condividere il pranzo tutto il pueblo - siamo tornati a casa perché nel pomeriggio bisogna andare a celebrare in altre due aldee. Roberto è molto sofferente alla spalla ed al polso che nel frattempo ha preso la forma di un guanto di gomma gonfiato all’inverosimile. Decide di non sottoporsi ad un altro strapazzo in palangana e io decido di fargli compagnia. Gli altri, Alberta, Franca y Francisco, accompagnano i Padri alle aldee.

El Pedregal

Mercoledì 31 marzo. Andiamo vicino e quindi non abbiamo bisogno di preparare gli zaini. Con P. Ottavio, Francisco e Franca andiamo all’aldea di El Pedragal (“la pietraia” per le rocce disseminate nei dintorni). In questa aldea vivono solo 16/17 famiglie, non più di 180 persone, più della metà evangelici. P. Ottavio ci illustra la realtà di questo villaggio ed il motivo dello spopolamento: siamo in presenza di una faida originata da una partita di pallone tra ragazzini, uno dei quali, in uno scontro accidentale, ha subito la frattura di una gamba. Il papà della vittima ha “sanato il torto” ammazzando un parente del “colpevole” e da lì, anche a distanza di anni, ci si ricorda dei torti e ci si scambiano “complimenti”. Molte famiglie, tra le quali anche quelle del catechista – sordo come una campana – per non restare vittime delle faida, abbandonano ogni cosa e scappano impoverendo così l'aldea. Il paese è su un collina, avvolto nella foresta e, nonostante il catechista abbia comunicato a tutti l’orario della Messa, la gente stenta ad arrivare, i bambini però spuntano da tutte le parti perchè il “carro” di P. Ottavio funziona da catalizzatore e tutti i bambini vogliono salirci sopra. La Messa è poco partecipata, ma il nostro Padre esorta le persone a riunirsi e, anche se pochi, a mantenere vivo il lumicino che arde davanti al Santissimo. Lui sa che non è facile ed è per questo che nelle situazioni più precarie si sofferma per incoraggiare, stimolare, sorreggere e per liberare le persone dalla paura. Abbraccia due bimbetti belli ma non proprio in ordine: uno, di poco più di due anni, piange e la sorellina, di quattro, sono figli di una coppia il cui padre è stato machetato lo scorso anno sulla pubblica piazza e la madre se ne andata in un’ altra aldea con un uomo di più di 60 anni abbandonando i figli a dei parenti… la cuginetta di circa otto anni si prende cura di loro. Franca fotografa bambini e fiori, fiori e bambini e questi le fanno sempre una gran festa… Non ci fermiamo a pranzo perché dobbiamo andare a riprendere gli altri e nel pomeriggio dobbiamo fare visita ad altre aldee. Ci rimangono un po’ male… Di pomeriggio con P. Alberto e Francisco andiamo all’aldea di Sucultè. Penso che di questa aldea Vi parlerà Francisco perché per lui ha tutta una storia: è stata la sua prima aldea ed è stato il suo secondo impegno in Guatemala non riuscito ancora a realizzare per la cretinaggine di pochi… Io Vi dico solo che sono stata benissimo, sembrava di essere tra amici. Ciao a tutti. Vi scriveremo ancora. Besitos.
Franca y Rita.

 

Sabato 3 aprile 2010.
Riprendo il mio diario che da qualche giorno non è stato più seguito a causa degli impegni a cui abbiamo fatto fronte in questa settimana.
Riparto da lunedì 29 marzo u.s. quando oramai anche gli altri misioneros e P. Alberto sono arrivati e si sono ambientati. La sveglia oramai è tarata per suonare tutti i giorni alle 6,30. L’alzarsi è sempre difficile ma, siccome la puntualità di P. Ottavio non lascia spazio a ripensamenti “chapini”, alle otto in punto arriva con strombazzamenti e sonori saluti, ci alziamo. Come sempre la mia prima operazione è la doccia e, a seguire, colazione e preparazione degli zaini in cui mettere il materiale di sopravvivenza (diverse bottigliette di acqua, qualche pomodoro e filetti di carota) da consumare durante la giornata e amorevolmente preparati dalla sera prima da Rita e Franca; poi si parte. Destinazione: al mattino P. Ottavio, Roberto, io e Franca a Naranjon (Narancon). P. Alberto con Alberta, la moglie di Roberto e Rita a Sacùl Arriba. da dove si parte anche per raggiungere, dopo quattro ore di cammino in mezzo alla giungla, l’aldea di Los Arroyos di cui avete già avuto notizie in un precedente diario (terzo invio). La giornata non si presenta bene perché piove. Chi sta in palangana non può certo gioire, la strada è peggio di quanto si possa immaginare. Quando non piove, oltre alle buche, bisogna fare i conti con le strade. Chiamarle strade è ovviamente un eufemismo; l’attuale Sindaco di Dolores ne va fiero, sono state “spianate”, dice lui, ed ora sono percorribili come non mai. La realtà è un pochino diversa nel senso che le buche ci sono sempre e, rispetto a prima, sono anche più ravvicinate causa le frequenti e abbondanti piogge. Ora le buche sono state letteralmente ricoperte con uno strato di “terra” di colore bianco che sembra calce. Al passaggio dei fuoristrada, si solleva un polverone che pare una tempesta di sabbia del deserto e come detto prima chi si trova all’aperto si ritrova di colpo imbiancato. Per contro, quando piove, la strada diventa un impasto di fango dove riuscire a guidare e mantenere il “carro” facendo fare presa alle ruote, diventa veramente un’impresa. P. Ottavio nel tempo è diventato maestro e ancora una volta dimostra l’innata capacità ad adeguarsi prontamente al repentino cambio delle situazioni. A proposito del Sindaco, una notizia che penso farà sorridere: lungo le strade che si percorrono per raggiungere le aldee, grandi cartelli, in prossimità dei villaggi, inneggiano alle grandi virtù “trabajadoras” (lavorative) del Sindaco di Dolores che qui in spagnolo si dice “Alcalde”. Il suo nome è Marvin Cruz e in tutti i cartelli che incontriamo campeggia la scritta: “Oi si que tenemos Alcalde” (“oggi sì che abbiamo Sindaco” e meno male che c’è lui… aggiungo io scherzosamente vista la situazione) come a voler dire: prima, buio totale e nessuno aveva fatto meglio… L’attuale Giunta comunale durerà in carica fino al 2012, una volte eletta rimane in carica per quattro anni, non esiste nessuna opposizione pertanto l’Alcalde è colui che decide tutto per tutti nel bene e nel male.
Municipio di Dolores
Da Gigi, il fratello di P. Ottavio che da anni anche lui è qui per dare collaborazione, ho saputo che il Sindaco svolge le sue attività “ufficio” in presenza di due guardaspalle e del pistolone sulla scrivania. A buon intenditore… Nel corso di una trasmissione in una tv locale è capitato anche a me di vederlo mentre decanta ed elenca le sue virtù; al suo fianco, sempre in buona evidenza, una vistosa quanto ingombrante pistola... Sono partito raccontandovi la nostra andata all’aldea di Naranjon, un villaggio in cui si parla Quechì (Quecì), uno dei 24 idiomi Maya che ancora si parlano nei villaggi del Peten. In questa aldea ci sono stato anche lo scorso anno sempre in occasione della mia permanenza in Guatemala. La chiesetta del villaggio, costruita con assi di legno, si trova in cima ad una collinetta; dalla strada, mentre siamo ancora in macchina, scorgiamo degli uomini che ci aspettano e come gli arriviamo vicini, ci accolgono con un grande sorriso e il saluto tipico del posto che consiste in un abbraccio. Solo il catechista di cui non ricordo il nome parla spagnolo e subito si dà da fare per tradurre a tutti, a qualcuno in Quechì e a qualcuno in spagnolo. Appena gli arrivo a tiro per salutarlo mi accoglie con un abbraccio decisamente più consistente che agli altri. Capisco il motivo subito perché con una grande sorriso mi mostra la camicia bianca nuova che indossa e mi dice che proviene dal pacco che è venuto a ritirare il venerdì prima di Pasqua presso la nostra casa. A questo punto, si rende necessaria una nota per chiarire l’evolversi dei fatti: dopo l’arrivo del container e dopo averlo scaricato, P. Ottavio ha chiesto a noi tre: Rita, Franca e me, se potevamo preparare delle buste con indumenti per bambini, donne e uomini da consegnare ai catechisti una volta finita la loro riunione al Centro Poliformativo e prima che questi facessero ritorno ai loro villaggi. E’ evidente che la camicia che porta gli sta un pochino grande; ha i polsini rimboccati ma è contento e non lo nasconde perché indosso ha un capo di abbigliamento nuovo. Personalmente sono soddisfatto, mi si riempie il cuore di gioia nel vedere che con molto poco una persona è felice e penso che la camicia che indossa e la gioia che questa persona manifesta è in gran parte opera di tutti coloro che a vario titolo hanno reso possibile l’invio del container. P. Ottavio elenca tutto il programma che si dovrà svolgere nel corso della mattina: riunioni, incontri, confessioni, celebrazione della S. Messa e pranzo offerto proprio a casa del catechista. Mentre faccio fotografie, mi guardo intorno e vedo un ragazzo che mi osserva, si avvicina e mi saluta in italiano. E’ Miguel, un ragazzo di una quarta classe del collegio di P. Giorgio, è vestito a festa, al collo porta un rosario come ornamento e che mostra con orgoglio. Non sapevo che fosse di quel villaggio e che lui parlasse l’idioma Maya e lo spagnolo. Vede che continuo a fare fotografie, non mi perde di vista neppure per un momento, nel frattempo iniziano ad arrivare le persone che parteciperanno alle riunioni e assisteranno alla S. Messa. Miguel mi chiama vuole che gli faccia una fotografia con una signora che mi presenta come sua madre. Secondo me avrà una cinquantina d’anni, vestita nel tipico costume della sua etnia: una camisa celeste di finto pizzo e una gonna a pieghe tutta colorata di un tessuto molto grosso. E’ scalza, ma questo non fa parte del costume... La giornata come detto prima è piovosa e i sentieri sono invasi dal fango. Tutta la gente gira scalza ma non si sente affatto a disagio. anzi… Mi allontano un pochino e scatto alcune foto a Miguel e a sua mamma. Mostro le foto e prometto che appena possibile le avrei stampate e la migliore gliela avrei fatta avere. Miguel non mi abbandona un attimo, anzi di lì a poco mi chiede di fargli un’altra foto con un suo amico appena arrivato. Assolvo con piacere anche a questa nuova richiesta e anche in questa ne prometto una copia. Nel frattempo la chiesetta si è riempita di gente, quattro suonatori di chitarra sono ai loro posti, accordano le chitarre e in compagnia di alcune ragazze iniziano a cantare. Non cantano in spagnolo ma in Quechì. E’ strano sentire cantare in questo modo. Vorrei provare a descrivere i suoni ma non ci riesco….mi sembra di rileggere uno dei libri di Wilbur Smith quando descrive il linguaggio dei Boscimani fatto di suoni gutturali e schiocchi di lingua… ecco a me sembra la stessa cosa… P. Ottavio celebra la Messa che viene tradotta in lingua locale da un interprete, al termine il catechista ci invita a pranzo a casa sua. Usciamo tutti dalla chiesa e dopo aver salutato diverse persone, Miguel mi chiama in disparte perché vuole parlarmi, P. Ottavio assiste alla scena e mi fa cenno che aspetta. Con Miguel ci allontaniamo dal gruppo e passiamo al lato della chiesa, mi dice che gli piace tantissimo la mia macchina fotografica e che vorrebbe averne una uguale, nello stesso tempo mi chiedo il perché di tutta questa riservatezza; gli dico che questa macchina costa parecchi soldi e allora ripiega su quella che ha Franca, gli dico che anche quella costa mille quetzales e Miguel con fare sconsolato mi dice che non ha tutti quei soldi. Gli dico che a casa ho una macchina Olimpus che non uso più e che gliela avrei regalata. Miguel capisce che ho con me la macchina e che lunedì dopo Pasqua sarebbe passato a ritirarla, gli spiego che non serve che passi perché la macchina si trova in Italia e pertanto rimandiamo il tutto all’anno prossimo. Lo saluto e gli dico che ci rincontreremo al collegio di P. Giorgio per le lezioni. Piove a dirotto e con il catechista in testa e tutti in fila indiana ci avviamo verso la casa del catechista. Osservo Roberto che è bagnato come un pulcino mi accorgo che vorrebbe dirmi qualche cosa ma faccio finta di niente e si continua. Ai piedi porta un paio di scarpe inadatte che stonano profondamente con il contesto. Il viaggio continua in silenzio: tutti ci chiediamo dove possa trovarsi la casa in cui dovremmo pranzare, visto che sono passati già quindici minuti che camminiamo e percorriamo un sentiero che definirlo tale è un puro eufemismo.
Narajon
Bisogna stare molto attenti per non scivolare, Franca non incontra difficoltà, Roberto con le sue scarpe piene di fango e con i pantaloni completamente bagnati cammina molto lentamente, è insicuro e corre il rischio di scivolare. Intanto il paesaggio in cui ci troviamo è fantastico, siamo in mezzo alla giungla e scendiamo verso un ruscello che sicuramente dovremo superare, la pioggia è sempre più insistente, p. Ottavio continua tranquillo, è abituato; il catechista sembra un capriolo per come si muove e salta da una parte all’altra. Mentre tutti siamo intenti a cercare di non scivolare, Roberto con un urlo scivola e batte violentemente spalla e mano per terra; è dolorante, lo aiuto ad alzarsi mi dispiace vederlo così bagnato e sporco di fango. Accertiamo che per fortuna non c’è niente di rotto, ma la botta è stata piuttosto forte e la mano comincia a gonfiarsi: Si continua a camminare sotto una pioggia sempre più insistente. In lontananza, in mezzo agli alberi, si intravvede una capanna: è sicuramente quella dove ci aspettano per il pranzo. Arriviamo e subito il catechista ci presenta alla sua famiglia: ci sono cinque persone, la moglie, due bambini e un’altra coppia. I convenevoli sono alquanto veloci e subito vengono servite grandi scodelle di brodo fumante e carne di manzo che qui chiamano “res”. Il catechista, di cui finalmente ricordo il nome si chiama Julio, P. Ottavio, Roberto, e Franca si siedono per l’”almuerzo” (pranzo) io rinuncio a mangiare, giustificato dal mio stato di salute, e attratto dal “lugar” (posto) inizio a fare fotografie. Vedo che tutti gustano quanto preparato, seduti per terra ci sono i due figli piccoli e la coppia che abbiamo trovato al nostro arrivo. Fuori è tutto un pantano, Roberto si lamenta perché gli fa male la mano e infatti è sempre gonfia, sembra un palloncino... Il pranzo finisce, dobbiamo rientrare perché dobbiamo andare in un’altra aldea; salutiamo e per fortuna il catechista ci indica una strada diversa, più lunga ma decisamente meno impervia. Dopo alcuni guadi arriviamo finalmente dove P. Ottavio aveva lasciato la macchina, le difficoltà create dal fango sono tante ma P. Ottavio è decisamente bravo e dopo un centinaio di metri, quando trova terreno più consistente, si ferma per farci salire. Roberto si lamenta, mi dispiace vederlo così, è sempre più dolorante, si parte e arriviamo a Sacùl Arriba dove c’è P. Alberto con Rita e Alberta che ci aspettano. Il pomeriggio le aldee da visitare sono Centro Maya e Sacùl Abajo. Questa volta il gruppo si divide e con Rita andiamo con P. Alberto gli altri, Alberta, Roberto e Franca con P. Ottavio al Centro Maya… Mi fermo qui anche perchè P. Alberto mi redarguisce dicendomi che ogni volta che scrivo, scrivo romanzi… Un caro saluto a tutti e alla prossima puntata. Hasta luego!!
Francisco

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