24 - 25 gennaio 2006
Missioni

24 gennaio martedì
Di buon mattino celebriamo la santa Messa dalle suore domenicane che sono della Congregazione delle Missionarie di San Sisto, la stessa di santa Elèna.

Qui hanno una scuola che va dall’asilo a tutte le elementari (primaria) che si articolano in 6 anni. C’è anche un centro nutrizionale, gestito da Suor Luigina (una suora italiana), per aiutare chi ha fame, soprattutto bambini e famiglie intere, non solo dando il pane ma anche cercando adeguate soluzioni durature.

In attesa di andare a un ufficio governativo, sempre per il container, vado nelle singole classi delle elementari e faccio varie riprese con la videocamera e parlo e intervisto i ragazzi e le maestre.

Poi si va in centro. La persona che cerchiamo è impegnata in una riunione e così la sua segretaria, Nyree Méndez Andino, una giovane gentilissima, ci accoglie e ci fissa un appuntamento per il pomeriggio.

Notizie delle valige del p. Giorgio: arriveranno questo pomeriggio.

Il pomeriggio ci rechiamo nuovamente all’ufficio governativo di cui sopra e con noi c’è anche J. Alberto Paredes della Costamar. Veniamo subito ricevuti dalla Signora Miriam de Billeb, incaricata del Sosep (Obras Sociales de la Esposa del Presidente) per il ramo delle donazioni, quello, appunto, che ci riguarda.

Ci spiega in lungo e in largo ciò che dobbiamo fare, ci racconta un bel po’ della sua vita, è molto interessata al nostro lavoro e vuol far di tutto per risolverci il problema. Ma come in tutte le storie che si rispettino, anche in questa ci sono i “cattivi”, rappresentati questa volta dai doganieri che, donazione o non donazione, vogliono vederci chiaro e vogliono una documentazione completa, oserei dire maniacale. Prendiamo appunti e poi salutiamo tutti, ringraziamo la Miriam e j. A. Paredes e andiamo all’aeroporto per le valige del p. Giorgio. Sono le 17.00.

Il padre Giorgio ci viene incontro con le sue valige ma con la faccia scura: ne manca ancora una!

Torniamo dalle Suore, carichiamo il carro (il glorioso pick-up Toyota della missione) con gli acquisti effettuati, salutiamo tutti, anche il p. Giorgio che resta ad attendere la sua valigia, per non deludere la virtù della speranza,  e via alla volta di Dolores dove arriviamo alle 1.30 di notte, distrutti dalla fatica, soprattutto il p. Ottavio che ha guidato per tutto il viaggio.

25 gennaio mercoledì
Dopo una notte nella quale ho dormito come un ghiro, mi metto al lavoro per rispondere alle attese di tutti quelli che vogliono che si venga a capo della questione container.

Tutta la mattina al computer e il primo pomeriggio, via a Poptùm a spedire tutto il frutto della mia fatica agli accoglienti e pazientissimi “amici” di Costamar.
L’internet funziona così e così e ci metto un bel po’ a spedire tutto.
Avuto conferma della ricezione degli elaborati, mi sento più tranquillo.

Intanto è partito l’ultimo minibus per Dolores (mi trovo a Poptùn 20 km da Dolores, dove c’è l’internet) sono le 18.30 e oggi alle 19.00 c’è la santa Messa parrocchiale perché è la festa della conversione di san Paolo. Mi rivolgo a un taxi (50 quetzales: un Euro = 8,6 Qs.). In dieci minuti mi ha portato a casa: confesso che ho spagheggiato un po’.

Rientrato a Dolores, mi ricordo che ho dimenticato di includere nell’elenco delle cose contenute nel container (listado) alcune cose e così domani dovrò ripetere l’operazione.

Vi chiederete: e la “nostra” casa? A che punto sta la casa?

Sul finire della mattinata sono andato a vedere: ho trovato molto movimento e alcuni operai in più delle altre volte. Hanno realizzato delle colonne con dentro il tubo di scarico delle grondaie, e stanno pavimentando alcune stanze perché Francisco mi ha promesso che mi avrebbe finito alcune stanze perché possa vederle e portare a voi le foto.

A proposito di foto, non ve ne sto mandando perché nel computer che sto usando non c’è un elaboratore di immagini e così non posso prepararle per internet.

Durante gli interminabili viaggi si parla di tante cose e mi accorgo che le spiegazione per le cose che vedo, non sono sempre le più semplici. Esempio. Molti edifici sono difesi da vigilantes in divisa e armati di tutto punto. Si suppone che chi fa questo lavoro sia una persona addestrata all’uso delle armi. Non è sempre così. E’ un lavoro pericoloso sia per i continui assalti sia perché i delinquenti uccidono questi vigilantes per rubar loro le armi. Così, chi farà questo lavoro? Soprattutto giovani disoccupati e disperati perché non vedono soluzioni per la loro vita e così si arruolano e molti muoiono sul campo. Ma perché gli edifici sono difesi da uomini armati? Chiaramente perché c’è molta violenza e per  lo più impunita. “Lavorano” nella mala varie bande di cui la più nominata è il “Gruppo 18”. Gli associati alle varie bande compongono la “Mara” e si chiamano mareros. Tutti i giorni i giornali locali parlano di morti: gente innocente assaltata per le strade, anche poveri, per pochi quetzales, o per il mancato pagamento del pizzo e molti pandilleros (le bande armate si chiamano pandillas) che si uccidono fra di loro per il predominio della piazza: ieri i morti ammazzati sono stati 18, di cui 12 tutti giovanissimi (16-18 anni), di bande rivali.

Gli edifici di una certa importanza: uffici governativi, banche, Istituti di suore, Conventi di frati, Edifici parrocchiali, sono tutti circondati da un muro altissimo: almeno 4 metri, con sopra una sorta di cavallo di Frisia di filo spinato elettrificato. Dopo quello che ho detto sopra, è chiara la funzione di questi muri. Poi scopro che non è sempre così. Sento parlare di una ragazzina di 14 anni, poverissima, è stata messa in un Istituto dove la fanno studiare o la preparano al lavoro: un Istituto molto bello, all’avanguardia in tutta la questione formativa, con mille convittori. In quest’Istituto, gestito da suore coreane, vige una durissima disciplina: niente contatti con i familiari, se non per le vacanze (che qui cadono nel periodo natalizio) e solo per circa 20 giorni, niente telefono e chiaramente orari ben definiti e tutto ciò che serve per un ordinato funzionamento della casa. La ragazzina, abituata alla libertà più totale è… scappata. La domanda è (oltre all’angoscioso dove sarà ora?) come ha fatto con quei muri altissimi? La ricerca della libertà sviluppa la fantasia, è sempre stato così. Facendo altre domande vengo a conoscenza di alcuni che si sono buttati giù dal muro o di altre avventure alla papillon. Scopro così che i muri sono anche per chi sta dentro, come sempre del resto, vedi Berlino, vedi Israele e vedi, qui in loco, il muro che stanno facendo gli americani per impedire l’ingresso dei poveri del sottoterzomondo nel loro Eldorado. Qualcuno prima o poi, se non è già stato fatto, scriverà qualcosa sulla filosofia del muro…

sommario