25 marzo 20011 2
Missioni

Il secondo Diario è partito! Sono passati alcuni giorni senza che potessi iniziare il Diario 3 e mantenervi informati su quanto succede intorno a noi. A volte si sente il peso della fatica e dello stress e questo va a scapito dell’informazione. Con uno sforzo di buona volontà oggi inizia una nuova tornata di informazioni.
Sabato scorso, di buon mattino, considerando che non c’erano programmi particolari, con Rita abbiamo fatto ciò che nei giorni precedenti avevamo preso in considerazione partendo dal primo incontro con i ragazzi di 6B del Collegio di P. Giorgio. Fare una camminata al sito archeologico di Ixcún (Isckún) che si trova a sette km da Dolores. La caratteristica di questo sito è che vi si trova la stele più grande di tutto il Guatemala. Avevamo già visitato questo sito lo scorso anno in compagnia di Françoise, di Ivan, di Franca e di P. Alberto, ma in quell’occasione avevamo noleggiato una macchina.
L’idea era stata lanciata con i ragazzi del 6B ed almeno sei di loro avevano aderito all’iniziativa. L’appuntamento era fissato per le sette del mattino ma, in considerazione dell’ora “chapina”, la partenza era stata fissata inderogabilmente alle 7,15. Sabato mattina sveglia alle sei, doccia colazione poi alle sette mi affaccio alla porta per vedere se qualcuno si era presentato. Nessuno. (abbiamo dovuto staccare il campanello perchè i bambini si divertono a “tocar el timbre”/suonare il campanello). Fuori la nebbia bassa avvolge ancora il paesaggio, si intravvedono le cime degli alberi e conoscendo il clima del posto prevedo che sarà una giornata particolarmente calda. Stranamente, ancora, non si sentono i pulmini che strombazzando passano per le vie di Dolores gridando: Poptún Poptún per cercare passeggeri che per 5 quetzales vengono portati al paese che dista una ventina di km. Sospettavo che nessuno dei ragazzi, nonostante l’entusiasmo del momento, si sarebbe fatto vivo. Ritorno dentro per prendere lo zaino con i miei soliti tre/quattro litri di acqua, delle gallette, delle caramelle e la macchina fotografica. Alle 7,15 puntuali come un orologio svizzero siamo fuori dalla porta, anche Rita ha il suo zaino. Dei ragazzi neppure l’ombra. Partiamo e incontriamo la prima salitina, superiamo le poche case che si incontrano prima di immetterci nella strada bianca verso Ixcún e dopo una diecina di minuti, sia a destra sia a sinistra, solo foresta. Il passo è allegro, la strada sconnessa e a tratti piena di pozzanghere per le abbondanti piogge degli ultimi giorni. Ogni tanto mi fermo per scattare qualche fotografia. Il paesaggio è interessante. Dopo i primi km incontriamo delle case/capanne con tanti bambini che indossano vestiti sporchi e stracciati. Mi fa male vedere queste cose eppure sembra che loro non si rendano conto dello stato in cui sono, sembrano felici, molti di loro hanno una pancia troppo prominente per essere naturale. Qui la media è di almeno 8/10 figli per famiglia. Il catechista di Dolores Don Ottilio ne ha “appena” 11. Lungo strada numerose mandrie e recinti per “ganado vacuno”/allevamento bovino da carne. Dove prima c’era giungla rigogliosa adesso solo spezzoni di alberi tagliati per lasciare il posto ai pascoli. Qui, con il mio cellulare, ho fatto il primo video e, con l’intenzione di far vedere lo scempio creato dai “ganaderos”, l’ho pubblicato su Facebook.
Dopo circa un’ora e mezzo di cammino, arriviamo allo spiazzo antistante il sito; l’ultimo tratto, almeno un cinquecento metri, è stato percorso  in mezzo ad un paesaggio bellissimo. Intorno a noi alberi altissimi, il sottobosco, con una vegetazione molto fitta, colori di diverse tonalità di verde, meravigliosi canti di uccelli, fiori stranissimi e bellissimi e le gocce di umidità che trasudavano dalle foglie (sembrava piovesse). Un ambiente stupendo, ci si sente quasi sovrastati da tanta meraviglia. Ci fermiamo giusto il tempo di fare delle fotografie, bere acqua e mangiare un paio di caramelle e subito ci rimettiamo sulla strada del ritorno.
Lungo strada Rita rivedere i bambini incontrati all’andata, li chiama per cercare di dare delle caramelle. Alcuni si avvicinano e gradiscono il pensiero, altri fuggono via piangendo perchè chissà cosa pensano, altri ancora ti guardano da lontano ma, sospettosi, non si avvicinano nonostante i sorrisi e gli “Holà”. A quel punto suggerisco di lasciare le caramelle appoggiate sui paletti di recinzione e di andare via. La cosa funziona perchè mentre ci allontaniamo i bambini sospettosi si avvicinano, prendono le caramelle e le mangiano subito. Al rientro, nonostante il sole e il caldo terribile che appesantisce la camminata, manteniamo la stessa andatura dell’andata. Per la prima volta, con immenso piacere, da quando vengo in Guatemala, per ripararmi dal sole abbagliante, ho messo un cappello di tela mimetica all’Indiana Johnes che ho comprato in una “tienda” vicino alla casa dove noi abitiamo. L’ultima salita che incontriamo è veramente terribile (prima era discesa !!!), le gambe sono molli, il sudore cola copioso sul viso e sul collo, la maglietta è completamente inzuppata, il respiro è pesante ma continuiamo perché sappiamo che ormai siamo quasi arrivati. Abbiamo impiegato tre ore esatte per percorrere 14 km tra andata e ritorno. Siamo contenti dell’impresa e appagati per aver avuto la fortuna di vedere da vicino delle cose che, in macchina, sicuramente avremmo perso.
Il resto della giornata passa tranquilla e serena. P. Ottavio si è fermato a pranzo con noi e ci ha informato che il giorno dopo, domenica, saremmo andati nella chiesetta della comunità di Ixcún, per celebrare la S. Messa.

Il giorno dopo si parte alle 8. Con noi, oltre a Suor Angelica, per la prima volta Suor Marta Isabel e il papà di Claribel. P. Ottavio ci dice che quest’ultimo, oltre ad essere un impiegato del Comune di Dolores, è anche il Catechista di Ixcún. Si parte e in macchina si ripercorre lo stesso percorso fatto a piedi il giorno prima. Si fa quasi in un attimo a percorrere sette km in macchina, arriviamo nello spiazzo da dove si trova il sito ma non ci fermiamo perchè P. Ottavio prosegue inoltrandosi verso il fitto della giungla. È una emozione fortissima e stupenda, un paesaggio meraviglioso di colori e suoni di ogni genere. Sembra buio e sono solo le 8,30 del mattino, il sole con i suoi raggi non penetra tra folto delle foglie e dei rami. Si sente a tratti lo scorrere di un ruscello, c’è quasi freddo. Chi si trova all’interno della macchina non fa altro che manifestare la propria meraviglia per il verde che incombe (Rita, in palangana con Sor Imelda ed altri passeggeri, mi conferma le mie stesse emozioni). Siccome il giorno prima con Rita abbiamo percorso a piedi i primi 7 km allora P. Ottavio mi dice che se vogliamo un’altra volta possiamo fare il percorso a piedi fino alla Chiesa di Ixcún Non lascio il tempo a P. Ottavio di ripensarci e subito gli chiedo quando possiamo organizzare la gita in mezzo alla giungla. L’unico giorno possibile è il sabato vigilia della Pasqua. Un velocissimo giro per conferma e tutti concordiamo che quel giorno, a meno di problemi, tutti, comprese le suore, avremmo fatto l’esperienza. Il padre di Claribel si offre di farci da guida. Intanto lo spettacolo è sempre più coinvolgente e non ci rendiamo conto che nel frattempo siamo arrivati. Con la macchina abbiamo impiegato poco più di una ventina di minuti. Ci troviamo davanti ad alcune costruzioni in legno: una è sicuramente la scuola, l’altra P. Ottavio ci conferma trattarsi della Chiesa. Personalmente faccio fatica a credere che quella possa essere la chiesa. Le assi che costituiscono le pareti sono molto vecchie, consumate e particolarmente irregolari tra loro. Al posto del tabernacolo solo una statuina rappresentante la Madonna. Solo i fiori sono freschi e, anche se pochi, danno un tocco di adorno all’ambiente. Si vede che Ixcún è un’aldea molto povera. I presenti sono pochi poiché la stessa comunità non è molto numerosa: è costituita da circa una ventina di famiglie sparse nei dintorni di cui solo il 50% è cattolico mentre l’altra metà è evangelica.

 

La Messa viene celebrata e come sempre, i canti, accompagnati con la chitarra, provocano una miriade si sensazioni. La Messa finisce e dopo i saluti ai presenti siamo sulla strada del rientro; superata la parte di giungla ci ritroviamo a percorrere la strada sterrata come sempre piena di buche e dopo circa una mezz’ora rientriamo a Dolores.
La giornata non finisce qui: lo stesso giorno, a Mopán Dos, ci sono delle Cresime e per questo si aspetta l’arrivo di Mons. Fiandri. Con P. Ottavio andiamo alla casa parrocchiale perché l’appuntamento è lì. Il Vescovo, arriva quasi subito si passano i paramenti da una macchina all’altra e siamo pronti per partire. Con noi c’è anche Suor Angelica. È una suora, anche lei come tutte quelle che ho conosciuto, instancabile, sempre in movimento e sempre attenta alle necessità che di volta in volta si presentano. A volte, nel vedere il tipo di vita che questi religiosi e religiose fanno in questo posto, non posso evitare di pensare ai nostri e mi chiedo chissà quanti sarebbero disposti a fare una vita di così grandi sacrifici. Qui il sacerdote è a disposizione della gente, ha una buona parola per tutti, non è mai insofferente nonostante le difficoltà, la precarietà della vita e le fatiche di tutti i giorni e questo mi fa pensare a quanto avviene da noi in certe occasioni.

CRESIME A

MOPAN DOS

MOPAN DOS

 

Immerso in questi pensieri, non seguo gli altri discorsi che si fanno in macchina e quasi non mi accorgo che siamo arrivati. Sul piazzale una chiesetta in muratura dipinta di bianco, sembra di quelle che si vedono nei film western, è senza campana. Questa come sempre è costituita da un pezzo di cingolo recuperato da qualche ruspa o escavatore. Il catechista oramai esperto, conosce tutti i punti “sensibili” della “campana”, pertanto con un altro pezzo di ferro, che funge da batacchio, riesce con un susseguirsi di percussioni a creare suoni di tonalità diverse tipici delle campane, tanto da sembrare che se ne suonino diverse.
Il piazzale è pieno di gente e in particolare di bambini di tutte le età, tutti vestiti a festa. Le carte delle caramelle, le buste di plastica, le confezioni di cipster, le bottigliette di acqua e di Coca Cola, escrementi di cani, di cavalli, di maiali e di tanti altri animali da cortile sono ben distribuiti sul piazzale. Bisogna stare molto attenti a dove si mettono i piedi. Il Vescovo e P. Ottavio, appena scesi dalla macchina ed in procinto di entrare in chiesa vengono subito accerchiati da una moltitudine di persone e tutti, a parte i saluti, hanno qualcosa da chiedere. Nel frattempo continuo a fare fotografie e sicuramente per questo vengo considerato il fotografo ufficiale del Vescovo tanto che a fine cerimonia vengo letteralmente assalito con richieste di “me sacas una foto? (mi tiri una foto?)”. Entriamo in chiesa non ci sono panche, come in altre, ma solo sedie di plastica coloratissime e quasi tutte occupate dai bambini, per cui pensare di trovarne una libera è un sogno. Per fortuna – in questa circostanza -  i bambini non stanno mai fermi e ogni tanto capita che, battendoli in velocità, riesco ad occuparne una. Subito dopo con questi pensieri fatti anch’essi in velocità, penso di essere fortunato perchè, in seconda fila, in posizione strategica, riesco a conquistare una sedia per poter svolgere le mie mansioni di fotografo. Sono seduto, comodo, mi controllo la macchina fotografica per vedere se tutto è a posto e pronto per il “lavoro”, ma ho la sensazione di essere guardato con una certa insistenza, mi giro alla mia sinistra, vedo una ragazza che con un sorriso grande cerca di farmi capire che quello non è il mio posto. Chiedo solo “puedo”? La ragazza mi risponde che quello è il posto dei Padrini. Mi scuso per l’invadenza, lascio la sedia e penso che dovrò ingaggiare con i bambini una nuova battaglia. La Messa inizia e, nel corso della omelia tenuta daMons. Fiandri, scopro per la prima volta che la Cresima in spagnolo si dice “Confirmación” e che il suo significato intrinseco è quello di confermare il Sacramento del Battesimo.
Quando si viene battezzati, ovviamente in quanto piccoli, non si è in grado di decidere se si vuole o meno ricevere il Sacramento. Con la Cresima, da grandi, da persone capaci di decidere autonomamente, si fa la “Confirmación” del Battesimo. A distanza di tanti anni, e nonostante io sia battezzato e cresimato, ho scoperto una cosa che non sapevo. Sono contento della scoperta e forse ritengo che a questo punto potrebbe essere necessaria una ripassatina di tanti piccoli particolari che finora mi sono “sfuggiti”. Ci sono tre ragazzi e due ragazze che devono fare la Cresima, i padrini sono seduti in seconda fila.
Al termine della Messa Mons. Fiandri, che si è portato un pacco di caramelle, nel “sagrato” è circondato da tanti bambini. Mentre continuo a fare fotografie si avvicina una signora che mi chiede di poterne fare una con il Vescovo e il figlio appena cresimato. È solo l’inizio di una lunga serie di foto scattate a parecchia gente di quell’aldea, ne avrò fatte almeno un centinaio. Anche i due Catechisti approfittano della situazione e chiedono di farne con P. Ottavio.
Arriva l’ora del pranzo, ci dobbiamo dividere perchè io e Suor Angelica dobbiamo andare in una casa mentre P. Ottavio con il Vescovo andranno in un’altra. Noi siamo invitati presso la casa di una delle ragazze cresimate. Ci avviamo: il primo pezzo di strada è comune, dopo qualche centinaio di metri ci dobbiamo dividere.
La casa dove siamo invitati è uguale a tante altre che si incontrano nelle aldee, questa in particolare appare ancora più disagiata di tante altre, è piccola per contenere tutte le persone che vedo. Mi chiedo se sono tutte invitate al pranzo; all’ingresso un signore che penso sia il padre della ragazza ci invita ad entrare e a sederci al tavolo. All’interno, un ambiente di non più di 20 mq, ci sono una diecina di persone, solo quattro possono stare sedute contemporaneamente, Suor Angelica, i due padrini della ragazza e il quarto dovrei essere io. Mi si stringe il cuore nel vedere tanta desolazione.
Non appena entrato, nonostante i continui inviti a partecipare al pranzo e facendo riferimento alla mia situazione di salute, riesco a convincerli che non pranzerò. Immediatamente il posto, che sarebbe dovuto essere mio, viene occupato dal padre della ragazza (ha guadagnato una posizione !!). Vedo che mangia con avidità. In piedi sono rimasti due ragazze, due giovani che dovrebbero essere i fratelli della ragazza, la mamma e due bambini piccoli. Anche potendolo fare mi rendo conto che non sarei mai riuscito a mangiare in quella situazione. L’ambiente dove ci troviamo è molto buio, dalle assi di legno che compongono le pareti filtra l’unica luce che consente di fare delle foto che penso potrebbero andare sul calendario del prossimo anno.
Il pranzo non dura molto, più o meno una ventina di minuti. I vicini della capanna a fianco vedendomi con la macchina fotografica mi chiedono di scattare una foto alle loro due bimbe. Accetto di buon grado anche perchè il caldo è opprimente e, uscendo dalla “sala da pranzo”, ho la possibilità di vedere altro. Ci avviamo, le case sono quasi attaccate, fuori un nugolo di cani magrissimi e spelacchiati, sicuramente portatori di parecchie malattie, non fanno ben sperare per tutto il resto. Come previsto in quel posto la situazione è anche peggio: vedo due bimbe, una con un vestitino rosa, magrissima, secondo me al limite della denutrizione, è una di quelle che devo immortalare… I genitori, due giovani molto male in arnese, fanno sedere la bimba su uno sgabellino. Intorno animali di tutti i generi. Mi preparo a fare le foto velocemente perchè la piccola non riesce a stare in equilibrio. Scatto velocemente una diecina di foto e penso che a casa, in tutta tranquillità, potrò scegliere quelle da far stampare. È il turno dell’altra bimba che sembra sistemata meglio della sorellina, almeno questa ha delle belle guanciotte. La bimba indossa un completino di lana e penso: al caldo che deve soffrire. Anche a lei scatto diverse foto, faccio vedere ai genitori l’anteprima di tutte e vedo che annuiscono contenti e soddisfatti.

Mentre sto per salutare e tornare verso gli altri che sicuramente avranno finito il pranzo, i due giovani mi bloccano e mi invitano a vedere il loro orticello: mi mostrano le bietole/“acelga”, i cavoli cappuccio/“repollo” (si pronuncia: repoio), un tipo di lattuga/“lechuga” il “cilantro” (la traduzione è: coriandolo), rassomiglia al prezzemolo e viene usato nel brodo di pollo. Il cilantro per noi è una cosa terribile con un odore e un sapore fortissimo che non riusciamo a digerire in nessun modo. Mi complimento con loro e finalmente riesco a salutare e ad avviarmi verso gli altri che nel frattempo hanno finito e mi stanno aspettando. Salutiamo i signori che ci hanno ospitato, torniamo verso la macchina e sulla strada incontriamo anche P. Ottavio e il Vescovo, anche loro di ritorno. Per semplice curiosità e un pochino per sorridere, perché conosco già la risposta, chiedo cosa hanno mangiato. Mi dicono che hanno mangiato “arroz cocido en caldo de pollo” (riso cucinato in brodo di pollo), lo stesso che è stato preparato per noi. Saliamo in macchina e ci incamminiamo per rientrare. Il mio viaggio si svolge in completo silenzio perché penso ancora alle persone che ho incontrato oggi e che mi hanno ospitato per offrirmi il loro pranzo. Ho il morale sotto i piedi e continuo a ripetermi che tutto questo non è giusto.
Al rientro a casa, verso le 15,00 troviamo P. Giorgio e Rita che subito mi apparecchia il tavolo affinchè possa mangiare qualcosa, mentre gli altri, che si sono “abbuffati”, bevono il caffè e mangiano i dolcetti che abbiamo portato dall’Italia, fatti dalle mani di nonna Elena, mia madre, e da Franca.
Termino qui questo diario perchè, come sempre, ho paura di annoiarvi con questi racconti nei quali cerco di farvi vivere questi momenti sperando di suscitare in voi delle emozioni tali che vi possano far pensare di essere qui con noi. Pertanto arrivederci al prossimo con notizie, spero, più allegre.
Un abbraccio a tutti coloro che in questo modo ci sono vicini e condividono questo percorso.
Hasta luego
Francisco
Dolores 25 marzo 2011

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