26 aprile 2011
Missioni

In Guatemala, durante la Settimana Santa, si svolgono delle processioni molto particolari, avvincenti e piene di colori. Le persone che partecipano a questi riti, che durano ore, portano delle vesti lunghe di colore viola in ricordo della Passione. Dense nubi di incenso avvolgono i fedeli che assistono al rito, ricchissime e variopinte le “alfombras”, tappeti disegnati con la segatura e petali di fiori. Questi tappeti, in alcune località delle vere opere d’arte, vengono successivamente distrutti dal passaggio della processione e subito ricostruiti come e meglio di prima per la successiva processione. I lunghi e meravigliosi tappeti fanno parte della cultura guatemalteca. Le sue origini sono da ricercare su due fonti: secondo notizie spagnole risalenti al XVI secolo e in base a scritti indigeni recuperati, si dice che i signori dell’epoca e i sacerdoti, durante certe cerimonie, avessero l’abitudine di camminare sopra “alfombras” di fiori, di aghi di pino e piume di uccelli rari come il quetzal, il colibrì e la “guacamaya” (un tipo di pappagallo con il piumaggio dai colori sgargianti che vanno dal rosso intenso, al verde, all’azzurro e al bianco). A proposito di colibrì, proprio qualche giorno fa mi è capitato di trovarne uno morto, all’interno della casa, vicino alla porta che precede la sala di ingresso. Non avevo mai visto da vicino il colibrì, l’ho visto solo in Guatemala, in volo, e devo dire che è bellissimo. Ha delle piume di un verde scuro molto intenso, è molto piccolo e ha un becco lungo e appuntito. Ritornando alle alfombras, c’è da dire che queste opere sono molto legate al culto propiziatorio e alla preghiera collettiva. La realizzazione di questi tappeti diventa come un obbligo personale verso l’immagine venerata da parte di chi, credente, vuole ringraziare per l’aver ottenuto un favore o un “miracolo”. Durante lo svolgimento delle processioni e nella settimana Santa le “andas” (le portantine) in cui si trovano le rappresentazioni del Cristo del Santo Intierro e della Madonna Addolorata vengono portate sulle spalle, per tutto il percorso. In alcuni casi, come ad Antigua, queste andas sono lunghissime e pesantissime e per essere portate a spalla e in processione attraverso le vie centrali della città c’è bisogno della disponibilità di centinaia di persone. Le quali, pur di avere garantito un posto nel trasporto delle andas e nella convinzione che partecipando potranno arrivare grazie ed indulgenze, all’atto dell’iscrizione pagano un contributo.
Ad Antigua, la ex capitale del Guatemala, vengono realizzate le alfombras più belle e più ricche, fatte con segatura finissima colorata a seconda dei motivi da realizzare e addobbate con petali, frutti e prodotti della terra. La Settimana santa in Guatemala oltre ad essere una ricorrenza religiosa è anche l’occasione per passare una settimana di vacanza tanto che è difficile trovare uffici e negozi aperti. Il sabato, vigilia di Pasqua è come il giorno di Pasquetta da noi o come il Ferragosto. Le strade, i fiumi, la foresta vengono letteralmente invasi da campesinos che, assieme alla famiglia, desiderano trascorrere una giornata spensierata dove tutti i problemi, per quel giorno, vengono accantonati.
Oggi, lunedì di Pasqua, è un giorno lavorativo ma non per tutti perchè, ad esempio, con Rita saremmo dovuti andare al collegio di P. Giorgio per le nostre conversazioni di italiano con i ragazzi, ma l’appuntamento è saltato perchè tutti gli alunni del quarto anno, tranne quattro o cinque, si sono prolungati liberamente le ferie…
Nei giorni scorsi con P. Ottavio, Paolo e Manolo, un Diacono italiano, mandato a Dolores per un veloce “apprendistato”, siamo stati all’aldea di Los Olivos, un villaggio quechì dove le donne sin da piccole vestono il loro caratteristico costume fatto con una gonna molto colorata e lunga fino ai piedi, arricciata in vita, con una cintura riccamente ricamata con glifi/disegni maya e una casacca di pizzo anch’essa ricamata con motivi floreali.

Questa volta stranamente, rispetto alle altre volte in cui sono stato in quell’aldea, ho riscontrato una minor diffidenza nei miei confronti tanto che quando cercavo di scattare una foto, le donne non si nascondevano più. Questa volta, oltre a non avere difficoltà particolari, in certi casi erano le giovani mamme che mi chiedevano di “sacar fotos” (fare delle foto) ai loro bambini. Di buon grado ho accettato perchè un’occasione così inaspettata mi ha permesso di scattare tutte le foto che mi servivano per arricchire il mio album fotografico. Gli altri anni ho avuto grosse difficoltà per riuscire a fare fotografie perchè non appena le persone si accorgevano di essere riprese, si nascondevano vanificando così la possibilità di fare un buon servizio.

Intanto P. Ottavio, dopo le confessioni, ha celebrato la S. Messa in spagnolo, prontamente tradotta in quechì dal catechista “bilingue”. Tra musica a tutto volume, canti urlati nel loro tipico idioma; bambini buttati per terra, alcuni che dormivano altri che giocavano, accompagnano l’intera funzione religiosa.
Dalla porta d’ingresso entra un’aria caldissima; in lontananza, a circa duecento metri, su una collinetta, si intravede una capanna e due ragazzi, uno seduto su uno sgabello e l’altro che svolge mansioni da barbiere. Ogni tanto quello in piedi, il barbiere, si allontana come per rimirare lo stato dell’arte, ma il “cliente”, così visto da lontano, non pare tanto soddisfatto del risultato. Dopo circa dieci minuti le cose cambiano, le parti si invertono: quello che prima era cliente ora è diventato il barbiere… e viceversa. Penso che sarebbe bello riuscire a fare una foto, ci provo: monto il teleobiettivo e scatto. Il risultato non è dei migliori ma mi accontento. Si vede che oggi è la mia giornata da “reporter”. Intanto la S. Messa continua, i canti urlati coinvolgono tutti i presenti. Guardandomi intorno, vedo le donne quechì avvolte nei loro costumi tradizionali: sono bellissime. Mi piacerebbe tanto riuscire a riprenderle da vicino.

Mi chiedo se le donne sarebbero d’accordo: devo trovare il sistema per motivarle e coinvolgerle sfruttando un poco il loro “lato femminile”. Mi avvicino a P. Ottavio subito dopo le comunioni e mentre un canto è in pieno svolgimento gli propongo la cosa. P. Ottavio è bravissimo capisce subito cosa vorrei fare e poco prima di impartire la benedizione ai presenti fa l’annuncio ovviamente in spagnolo. Il traduttore ripete la cosa in quechì, vedo che le donne sorridono divertite e sembra che siano disponibili per una… “sfilata”.

Mentre l’interprete parla nel suo idioma, non riesco a capire perchè una piccola frase in spagnolo ha bisogno di così tanto tempo per essere tradotta nel linguaggio Maya. Mah!! Misteri Maya. La S. Messa è al termine, P. Ottavio impartisce la benedizione e io mi posiziono in maniera tale da poter fare la ripresa. Le donne si mettono in fila e P. Ottavio dice loro che devono passare davanti alla mia cinepresa. Le donne iniziano a sfilare. La prima ripresa è un fiasco totale: passano davanti a me come fulmini e non riesco a riprendere niente. Chiedo, in italiano e non in spagnolo perchè istintivamente mi è più facile, che passino davanti più lentamente per avere il tempo necessario per filmare. Nuova fila e nuova sfilata. Questa volta più lenta ma non tanto, faccio la mia ripresa: davanti a me passano le donne sorridenti e contente per la novità. Passano anche le donne con i bambini in braccio, ho la possibilità di vedere e riprendere da vicino i bellissimi ricami dai molteplici colori sgargianti.

Intanto anche Paolo con Manolo si danno da fare facendo fotografie, è un momento bello e coinvolgente perchè sembra siamo riusciti ad entrare in sintonia.

Dopo la ripresa, ci vengono a chiamare perchè il pranzo è pronto. Mentre ci avviamo verso la baracca in cui verrà servito il pranzo comunitario, altre donne e ragazze mi chiedono di fare delle foto. Non ci sono problemi, mi presto tranquillamente e con piacere. Paolo e Manolo si dispongono vicino al “3° Missionero”, il pick-up di P. Ottavio. per consegnare ai bambini le palline che Paolo ha portato dall’Italia e Manolo a regalare le caramelle che abbiamo portato dalla casa dove viviamo. Non appena i bambini si rendono conto de “los regalitos” succede il finimondo. Paolo e Manolo vengono letteralmente assaliti e sommersi dal gran numero di bambini del villaggio. Con P. Ottavio ci rendiamo conto della cosa e accorriamo in loro aiuto. P. Ottavio cerca di distrarli con un pallone che lui si porta sempre dietro per far giocare i bambini e che chiama “la pelota missionera” io apro la portiera della macchina dalla parte opposta a dove si trovano Paolo e Manolo sempre più accerchiati e soverchiati dai bambini per prendere le altre caramelle. Dopo qualche piccola azione diversiva Paolo e Manolo sono liberi. Paolo tirando giù qualche moccolo brontola perchè non si aspettava un assalto così dirompente da parte dei bambini. Ci avviamo all’interno della capanna dove viene servito il “pranzo”, ci sono due enormi bacinelle piene una di brodo di fagioli e una di riso. Ci sono piatti per tutti ma non posate. E’ bellissimo vedere come vive questa comunità.

Tutti insieme si “compartisce” questo momento così come altri in cui è previsto il coinvolgimento di tutti. La cosa mi incuriosisce anche se in quel villaggio ci sono stato altre volte per questo chiedo lumi a P. Ottavio che mi dice che all’interno della Comunità oltre a fare le cose insieme esiste anche una specie di consiglio degli anziani, un organo giudiziario interno al gruppo e che è formato da persone che hanno l’approvazione di tutti gli altri. Questo organismo delibera e prende decisioni per conto di tutti e ciò che essi deliberano è “legge” e va rispettata pena l’espulsione dal villaggio o in certi casi più gravi anche punizioni corporali. In alcuni casi, P. Ottavio mi ha raccontato che si è superato anche il normale limite della decenza perchè per la reiterazione dei reati si è arrivati al linciaggio del colpevole.

Nel frattempo P. Ottavio, Paolo e Manolo si sono attrezzati con un piatto e si mettono in fila come tutti, si avvicinano lentamente ai pentoloni dove due donne molto “floride”, sempre in costume tipico e con un gran faccione sorridente, versano fagioli e riso nei piatti. Tutti parlano e sorridono, i bambini giocano e urlano, io non mangio e continuo a fare foto. Al termine della comida/pranzo veloci saluti a tutta la comunità e rientriamo verso Naranjon dove dobbiamo recuperare P. Alberto e Maciel.

Mentre scrivo queste righe mi è capitato il giornale “Il Diario” tra le mani, mentre lo sfoglio mi colpisce una notizia che vi riporto. Si tratta di una statistica che riguarda i morti della Settimana santa rispetto a quella dello scorso anno. Quest’anno la notizia è di grande rilievo in quanto il numero dei morti rispetto allo scorso anno è diminuito del 37%.  Questo anno nella Settimana Santa i morti in totale  sono 77 rispetto ai 105 dello scorso anno. La statistica inizia dando grande risalto al fatto che quest’anno i morti ammazzati per mezzo di un’arma da fuoco sono “solo” 36 contro i 44 dell’anno scorso. Quelli morti accoltellati 7 rispetto ad 8. Morti per incidente stradale 19 rispetto a 21 mentre quelli investiti “atropellados” sono 12 rispetto a 15. Dulcis in fundo ci sono anche quelli affogati che sono solo 3 rispetto ai 17 dello scorso anno. Questi ultimi danno un deciso incremento alla statistica.  Così tanto per sorridere l’ultima notizia prima di concludere: oggi quando mi sono alzato mi sono ritrovato con una zecca ben ancorata con il suo rostro nella coscia sinistra. Anche questo è Guatemala… Vi lascio con la speranza di riuscire a scrivere ancora considerando che la data del rientro è terribilmente vicina.

Hasta luego!! Arrivederci a tutti.

Francisco

26 aprile 2011

 

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