25 aprile 2011
Missioni

Oggi è giorno di pasquetta e, dopo aver valutato la vanità dei progetti che avevo fatto poiché le classi sono vuote nonostante fosse prevista la riapertura, decido di andare con Padre Ottavio a San Marcos. Chiedo a tutti voi di non ridere per la grafia poiché scrivo su un vecchio computer spagnolo che non ha tutti i nostri caratteri e  che ha perso la metà dei simboli dalla tastiera; vado alla fortuna. Siamo in quattro nella macchina: il Padre, Paolo, Roberta ed io. Partenza 7,30. Altri due maschi viaggiano sulla palangana. Mi fanno salire davanti ed eccocci partiti per una quarantina di chilometri di una nuova avventura. Il paesaggio è nello stesso tempo fantastico e deprimente: fantastico con quei suoi canyons profondi coperti di una vegetazione verde scuro, per le sue aldee naturalmente fiorite, per i suoi uccellini variopinti e canterini; deprimente per le sue vaste radure spelacchiate ove si ergono neri tronchi calcinati. Persino le mucche sono depresse, con le loro piccole corna grigie, le lunghe orecchie cadenti da bassotto, e gli occhi che chiedono pietà.

Dopo una serie di scossoni particolarmente marcati e due curve da brivido su un burrone altrettanto da brivido, ecco Succulté con la chiesa ristrutturata con il fondo della “famigerata marcia degli alpini”. Arrivati nella pianura, si lascia la strada di Scucculté  e si prosegue direction San Marcos; mancano ancora 22 km. Il pick up salta come un capretto e siamo proiettati a destra e a manca come sacchi di patate. Ma non dobbiamo lamentarci perche la strada é buona, l’hanno appena rifatta (é vero che fra poco ci sono le elezioni). Alle 10, siamo quasi alla meta; i gruppi di persone in marcia verso San Marcos si fanno più numerosi, camminano allegramente sotto un sole che spacca le pietre, i maschi avanti, le donne dietro portando i viveri, i bambini piccoli e trainando per mano gli altri. Al nostro arrivo, la chiesa è già straripante di gente, la musica infernale, gli odori di cucina, di umanità e di fiori si confondono, intensi.

l padre spiega: prima le confessioni, poi la messa con il matrimonio e le prime comunioni, poi i battesimi all’aperto. Mentre lui confessa, noi facciamo foto. L’interno della chiesa, “la canche deportiva”, le cucine, il corteo che, a piedi nel fango nerastro che il sole non ha del tutto asciugato, procede verso di noi. Come sono giovani gli sposi! Fanno tenerezza. Finite le confessioni, il padre si dirige verso la chiesa. È ancora più piena di prima; peggio di una scatola di sardine. Sulla scia del Padre, “los italianos” sono spinti nella zona dove stanno musicisti e coristi. A me tocca la zona finestra, che “suerte”!. Inizia la messa, la musica è a pieno volume e le voci spiegate. Il rito del matrimonio, già descritto altrove, prevede promessa, dono di moneta e incatenamento. La prima comunione merita un breve commento da parte di padre Ottavio; noi fotografiamo finché abbiamo batteria.

Dopo la messa, battesimi a catena sotto l’albero. Almeno qui passa il vento e si sta bene. Dopo il battesimo, distribuzione di caramelle mentre Padre Ottavio si cambia. Non parteciperemo al pranzo comune, siamo invitati dagli sposi dove ci attenda una accoglienza familiare e una ciotola di “pollo en pepià” (Salsa a base di verdure miste con riso pilaf) presentata secondo l’usanza europea e cioé con posate . Bisogna fare in fretta per lasciare il posto al secondo turno. Poi, ci trascina un signore, Domingo - il responsabile della Comunità - a vedere il suo “parque”, un giardino tenuto come un gioiello, e una casa anomala per qui: sopraelevata, pulita, con bagno e con acqua corrente in cucina, una meraviglia. Altri brevi giri. Ultime fotografie e si riparte. Sono le 17. Sono esausta (ma anche gli altri visto che  parlano ben poco!) e non vedo l’ora di essere alla “Casa”.

Durante tutto il tempo delle festività, ho pensato ai tutti gli amici con i quali avrei desiderato condividere questi momenti. Al di la della facile ironia, al di la del desiderio di descrivere per rendere viva la situazione, vi è qui una spiritualità, una specie di misticismo non affinato che commuove ma che non so far percepire. Si sente uno spirito comunitario che abbiamo dimenticato. La vita è semplice, povera ma vissuta con dignità. Esiste anche il resto, violenza, machismo, volgarità, ma sono le frange della miseria che è comunque come sublimata da quella intensa ma strana, diffusa misticità.

Vi abbraccio tutti sperando di poter condividere un giorno queste esperienze e firmo (per oggi): Doña Paquita.

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