2 maggio 2011
Missioni

Buena noche,
è passato tantissimo tempo e mi dispiace molto per non essermi fatta più sentire, ma in questi ultimi venti giorni sono accadute tantissime cose: nuovi arrivi, nuovi caratteri, gita, Settimana Santa, smistamento materiale e predisposizione pacchi /vestiario per i catechisti, ecc, ecc, ecc.

Troppe cose si sono accavallate con una tale velocità che non abbiamo avuto il tempo per riflettere sui recenti accadimenti…

Non voglio fare resoconti cronologici, su tutto quello che è accaduto, ma solamente considerazioni su circostanze che mi hanno colpito.

Prima dell’arrivo dei nostri compagni di avventura P. Alberto, Elena – Lilli per gli amici – e Paolo, con P.Ottavio, Sor Imelda e Sor Angelica siamo stati all’aldea di Suculté, altrimenti denominata “l’aldea di Francisco” perchè per lui è stata il suo “battesimo” nelle aldee, con la quale ha un feeling particolare e nella quale abbiamo contribuito alla costruzione della Chiesa. Dopo la convivenza Sor Angelica ha accompagnato alcuni bambini in ritiro perché nella Messa della sera avrebbero ricevuto per la prima volta l’Eucarestia, mentre Sor Imelda ha seguito le donne nella preparazione delle “veladoras”. Con P. Ottavio e Francisco abbiamo invece approfittato per fare una visita agli ammalati. Abbiamo cominciato da una giovane donna (Francisco aveva parlato delle sue vicende nel diario dello scorso anno), mamma di tre bambini piccoli, senza marito/compagno, molto impegnata nella sua comunità perchè sta portando avanti il progetto dell’allevamento e vendita di pollame. Non dovete immaginare il grande pollaio con le galline che fanno uova a suon di musica: in questo caso alcune galline, con i pulcini, sono chiuse in un piccolo recinto e vengono alimentate con il granturco (“lastima”/peccato, mais tolto alle tortillas !!!) altre scorazzano tra “giardino”, “camera da letto”, “cucina” e si alimentano con quello che trovano. La giovane è anche promotrice di “salud” perchè, assieme ad altre sei persone, ha seguito un corso per agopuntrice e quindi gira le aldee curando la gente con questa pratica. È una brava ragazza, purtroppo inserita nel contesto della violenza familiare, diventata purtroppo troppo debole per potersi difendere da sola, bisognosa di dare da mangiare ai suoi figli e quindi “disposta” ad unirsi ad altri uomini per sopravvivere. Recentemente ha avuto il “dengue” una specie di malaria che l’ha debilitata molto e ne è venuta fuori solo grazie all’aiuto dei catechisti, delle famiglie che lei ha curato ed alla solidarietà della gente. La comunità religiosa comunque le sta venendo incontro affinchè non sia costretta ad unirsi ad uomini unicamente per risolvere temporaneamente i suoi problemi familiari.

Poi siamo andati alla “casa dell’amore” una capanna posta a mezza costa dove vive un uomo con due donne. Solo una è la moglie, l’altra è una “compagna”. La famiglia è molto ben affiatata: pensavamo che il più vecchio fosse lui, invece – carta di identità alla mano – P. Ottavio ha scoperto che le due donne hanno 91 anni, mentre lui ne ha “solo” 90: non è proprio un bel galletto: tutto curvo, sordo, e pieno di croste in tutto il corpo (forse ha la rogna ??), ma le donne lo accudiscono con grande amore e sono sempre molto sollecite. Vivono della carità dei figli che a turno raccolgono un po’ di mais per loro, assieme ad un po’ di fagioli. Recentemente i figli ed alcuni vicini hanno costruito una nuova capanna a circa cinque metri dalla prima, in uno spiazzo appena appena un po’ più pulito e meno scosceso. Ma poiché lì vicino ci sono alcune tombe (in questi posti non c’è un vero e proprio camposanto, le tombe – monumenti in cemento – vengono costruite un po’ dove capita) una delle donne di notte sentiva la vicinanza delle “anime” e, avendo paura che queste la portassero via con loro, è voluta tornare nel vecchio posto costringendo i figli a spostare nuovamente la casa dove era prima. Abbiamo molto riso di questo fatto, ma lui non ha capito molto….

Poi, scendendo una ripida scarpata in mezzo alla milpa, siamo andati a casa di un figlio di questo signore perchè anche lui è molto malato. Abbiamo trovato, in un ambiente oscuro e malsano, un nugolo di bambini tra i 15 anni e i pochi mesi ed una donna che ci ha fatto accomodare in “camera da letto”. Lui era disteso su una branda fatta di foglie di mais essiccate, per terra mucchi di pannocchie di mais e sacchi di fagioli. Tra una parete di legno ed un'altra erano appese delle amache che, assieme alle scatole di cartone, sopperiscono alla mancanza di armadi per i vestiti. Mi sono subito resa conto che quel signore stava male per la tosse continua dalla quale veniva assalito, e assieme a P. Ottavio gli abbiamo fatto qualche domanda. Respirava con fatica e spesso per lui rispondeva la moglie (che io ho scambiato per sua figlia: lui ha 67 anni, lei 40). Una volta à andato anche all’ospedale, ma gli hanno detto che non aveva nulla. Gli hanno fatto – a detta loro – degli accertamenti accurati ai polmoni, senza alcun risultato di rilievo, gli hanno dato delle medicine e le ricette per poterne comperare delle altre per seguire una terapia, ma le medicine sono finite, i soldi non ci sono ed i figli devono mangiare… Nel frattempo il signore continuava a sputare per  terra, l’aria era pesante, l’ambiente molto scuro, il sole filtrava appena tra le assi di legno delle pareti e purtroppo mi sono accorta che nello sputo c’era del sangue. Con discrezione ho avvisato Francisco e P. Ottavio i quali con molta delicatezza hanno sollecitato la moglie a portare l’uomo a Dolores dalla dottoressa che presta servizio presso il Centro nutrizionale per una “consulta/visita”. Ma la donna ha affermato di non avere i soldi per il viaggio per due persone e che i figli comunque devono mangiare. P. Ottavio allora ha cercato di risolvere il problema, ma – prima di contribuire –vuole avere la certezza che la coppia andrà a visita (è capitato molto spesso che i soldi dati per urgenze siano stati poi spesi per altre necessità e a volte per stupidaggini a causa dell’ignoranza). Quindi ha raccomandato alla moglie di farsi sentire tramite il catechista o il promotore di salute e siamo andati via con la sensazione che purtroppo le cose non andranno come noi vorremo e che probabilmente, tra non molto, in quell’aldea ci saranno una nuova vedova e 7/8 bambini in più orfani: una tristezza.

Accompagnati da un nugolo di bambini ci avviamo alla casa di una coppia che P. Ottavio vuol salutare non perchè sono particolarmente ammalati, ma perchè sono due anziani che – mano nella mano – andavano in Chiesa e quando veniva celebrata partecipavano alla Messa. Purtroppo ora sono molto invecchiati e non hanno più la forza di farsi la camminata, ma P. Ottavio è molto affezionato. Il marito - curvo a 45 gradi - comunque è andato nel campo e, per offrirci qualcosa, ha tagliato alcune canne da zucchero che, opportunamente lavorate con il machete (P. Ottavio ormai è un esperto), possono essere assaporate masticando la parte morbida. Ecco perchè siamo attorniati da un nugolo di ragazzini: loro sanno che andando con P. Ottavio riusciranno sempre ad ottenere qualcosa…

La nostra ultima visita è per la moglie di un catechista che ha il diabete. La troviamo distesa su una branda in un ambiente decoroso e pulito. La signora è molto prostrata, passa quasi tutti i giorni a letto perchè è molto debole non avendo la possibilità di misurare giornalmente l’insulina e non alimentandosi nel modo adeguato. Il catechista è molto preoccupato per la salute della moglie, i figli vanno a scuola, e lui vuole che continuino ad andarci, ma quando la signora sta particolarmente male, cioè spesso, deve rinunciare ad andare al campo e questo significa niente milpa e niente soldi per le medicine. La donna non ha proferito una parola e si è mossa a stento sul letto messo vicino alla porta di ingresso affinchè durante il giorno possa godere della luce del sole senza doversi affaticare troppo. (che tristezza!!). P. Ottavio ha rassicurato il catechista dicendogli che l’indomani, dovendo andare in un’aldea più lontana, sarebbe passato da lì per lasciare l’attrezzatura necessaria per la misurazione dell’insulina ed un po’ di materiale. Il catechista e la moglie ci sono sembrati un po’ più rasserenati perchè P. Ottavio ispira sempre un gran coraggio ed una grande fiducia.

La giornata dedicata agli ammalati ha lasciato in me e Francisco un grande amaro in bocca. In particolar modo Francisco ha pensato alla sua situazione: quaggiù si muore per un nonnulla, ormai da noi alcune malattie sono state debellate completamente e ci sono medicinali per le situazioni gravi, lui prende delle medicine che – mensilmente – potrebbero mantenere decorosamente alcune famiglie. Qualche volta noi a casa potremmo evitare di sprecare le medicine che abbiamo solo perchè ce le passa la mutua? Se ci dovessero avanzare ricordiamoci di portarle al Centro Domenicano a Selargius perchè, opportunamente controllate (scadenza, composizione ecc.) ed inscatolate possono essere spedite quaggiù. Credetemi non sono stupidaggini quelle che vi racconto, ma chiunque qui aspetta, con noi, anche il container perchè sa che troverà qualcosa che potrà tornare utile. Non servono solo i vestiti e le scarpe, ma con le medicine che noi mandiamo riusciamo a tamponare situazioni che altrimenti avrebbero esito negativo. Quaggiù la sanità si paga, non c’è la ASL, il dottore non viene a casa se non lo paghi, non puoi entrare in ospedale se non puoi dimostrare di avere l’assicurazione e così ben pochi possono permettersi il lusso di curarsi. Le Suore Vincenziane di Dolores ci hanno fatto un elenco lunghissimo di necessità e così pure le Domenicane di Poptún, quelle che stanno aprendo il centro per anziani, ci hanno fornito un volume di “desiderata”: non abbiamo promesso nulla, ma le Suore ci hanno detto che la Provvidenza ormai ci ha messi in contatto e pertanto qualsiasi cosa noi riusciremo a fare sarà ben accetto e ripagato con le preghiere.

Il primo sabato di ogni mese vanno al Centro nutrizionale le mamme con i bambini che sono stati ricoverati in questa struttura nell’ultimo anno. La dottora – una honduregna che si è sposata da poco e con la quale abbiamo festeggiato l’addio al celibato organizzato dalle Suore – controlla se ora i bambini crescono bene, se viene loro dato sufficientemente da mangiare, perchè altrimenti vengono nuovamente trattenuti presso il Centro. Le famiglie vengono istruite singolarmente sul tipo di alimentazione che i loro figli devono avere e per un anno viene fornito un sacco viveri mensile (farina di mais, fagioli, olio di semi, riso e non so cosa altro) in modo tale che i bambini seguano un’alimentazione abbondante e non ricadano nella denutrizione. Mi hanno raccontato di un bambino di circa 3 anni che avevo visto camminare male e con gli occhi strani: era stato portato al Centro per un grave forma di denutrizione. Non camminava, aveva l’addome molto prominente, il viso gonfio e piaghe sulle braccia, sulle gambe e nella pianta dei piedi: per quest’ultimo motivo non camminava. Sor Marta Isabel che cura in particolare l’aspetto medico di questo centro (ha studiato psicologia ed è una brava infermiera) ha cominciato ad alimentarlo con una dieta molto proteica e con un latte particolare, poi ha iniziato a curargli le ferite ai piedini ed ora il bambino cammina barcollando, ma cammina ed è di una allegria unica. Molti bambini purtroppo ritornano all’Ospedaletto perchè i genitori non seguono le indicazioni delle Suore ed hanno delle ricadute. Per i casi più gravi si fa ricorso all’ospedale di Città del Guatemala, ma oltre al viaggio lunghissimo (circa 7 ore) ci vogliono anche tanti soldi per il ricovero. Il sabato in cui ci sono andata Suor Marta Isabel aveva preparato circa 100 sacchi e le mamme con i bambini aspettavano pazientemente il loro turno per la visita ed il ritiro della “cuccagna” (il contenuto del sacco consentirà di sfamare più di una bocca). In quei giorni erano presenti anche degli studenti di medicina dell’Università di Sassari che hanno fatto pratica al Centro anche per conoscere meglio le malattie che colpiscono particolarmente questa regione latino/americana.

Anche in questa circostanza mi domando: possiamo aiutare le Suore in qualche modo? Ho notato il viso stupefatto di Sor Marta Isabel quando ha visto nell’androne di casa nostra il “reparto” farmaci/parafarmaci: sembrava una bambina impazzita alla vista di tanti regali di Natale. La Suora ha solo 38 anni, da venti è suora, con percorsi di vita/fede sofferti e superati, è molto magra, ma è in continuo movimento, sempre molto affettuosa, disponibile e molto psicologa. Assieme a P. Ottavio inizieranno nelle scuole la campagna “cura dei denti” e quando hanno visto tutti gli spazzolini che sono arrivati con il container erano in festa. Non potranno certamente soddisfare le esigenze di tutti i bambini delle scuole del Comune di Dolores, ma chi ben comincia…. è a metà dell’opera; pertanto oltre a ringraziare coloro che ci hanno regalato spazzolini, sono certa che arriveranno anche altri spazzolini con il container che spediremo l’anno prossimo (speriamo).

Pensando al “desarollo/sviluppo” delle donne recentemente è venuta a Dolores una nipote ventenne di Sor Angelica di etnia Quechì. Questa giovane – che si chiamna anche lei Angelica - ha il diploma per insegnare a tessere al telaio. Quest’ultimo è costituito da alcune assi e bastoni di legno che opportunamente sistemati consentono la lavorazione dei filati. Una estremità del telaio è fissata ad un albero, ad un palo, a qualcosa insomma piantata per terra, l’altra estremità viene legata ai fianchi delle donne e tra le due estremità viene sistemato l’ordito che servirà poi per intrecciare i fili. È un lavoro faticoso perché per assemblare correttamente i fili passati per comporre i disegni è necessario compattare con forza il lavoro, con un notevole affaticamento delle reni. I colori sono bellissimi e le spolette, di diverso colore e preparate in precedenza con molta accuratezza, riescono a produrre tele, arazzi, manufatti di bellissime tonalità. D’accordo con la zia (la Suora avrà una quarantina d’anni, è quechì e ci ha raccontato di aver imparato a tessere dall’età di 7 anni per le necessità familiari e per il sostentamento della famiglia) e con la Comunità parrocchiale, questa giovane donna ha dedicato 20 giorni del suo tempo per insegnare la tessitura alle donne di Dolores. L’iniziativa ha avuto un buon riscontro in fatto di partecipazione ed in quei 20 giorni le donne, opportunamente incoraggiate, sono riuscite a realizzare dei buoni tessuti.

 

L’idea è di renderle autonome, come per le veladoras, in maniera tale che possano realizzare manufatti da poter vendere e dare una svolta alla loro vita. Il difficile è motivarle continuamente perchè loro si sentono forti solo quando stanno insieme e fanno gruppo, quando poi tornano a casa vengono riassorbite dai loro problemi e si dimenticano di tutto. Ecco perchè Angelica, la nipote, tornerà a Dolores anche prossimamente, magari per un fine settimana lungo (non potete immaginare quale sacrificio comporti attraversare il Guatemala con i mezzi di trasporto locali) per ripetere questi incontri affinchè le donne non si demotivino, non si scoraggino e proseguano nell’apprendimento e nella realizzazione dei loro obiettivi. Diverse volte ho parlato con le due Suore, che in particolare seguono le attività delle donne, e mi hanno confermato che il lavoro è enorme e stancante perchè sono costrette a ripetersi continuamente, a sollecitare, a motivare, a incoraggiare e qualche volta le ho viste un po’ depresse perché non riescono a risvegliare nelle donne la loro forza e la capacità di reazione. Il lavoro sarebbe da iniziare dalle adolescenti, ma anche qui le giovani donne sono attratte da ben altre cose e solo fra qualche anno, e fra qualche figlio, si accorgeranno di quanto hanno lasciato lungo la via.

Ho assicurato che se le donne si fossero impegnate e il lavoro avesse preso piede, l’anno prossimo saremmo diventati i primi clienti stranieri di Dolores. Chi può e sa, preghi per queste religiose – Domenicane, Figlie della carità e di tutti gli ordini che si adoperano per questa gente - e per i nostri Padri missionari affinchè Qualcuno li sostenga nella loro difficilissima opera quotidiana che il più delle volte non da i frutti sperati

Se vi devo dire la tutta verità non mi sento più tanto straniera in questa cittadina: Gli accoliti (chierichetti) ormai sono di casa e ci vengono a trovare molto spesso dopo la Messa della sera (c’è sempre un bicchiere di coca o di rosa di Jamaica a disposizione); gli incaricati dei canti, Ronaldo, Nelly ed altri, in chiesa mi segnalano la pagina del libretto delle canzoni affinchè possa seguirli con il mio strampalato spagnolo; il sagrestano, Don Otilio, ci aspetta tutte le sere sulla porta di chiesa e con fare molto rispettoso ci invita ad entrare (“pase adelante”), le donne ci abbracciano con molta tenerezza,  il macellaio ed i negozianti fanno a gara per soddisfare le nostre richieste e, poiché acquistiamo in quantità, sono disposti a farci lo sconto (ci rispondono “baia” o “cabal” che significa “va bene”). Le mamme mi fermano per strada per chiedermi qualche indumento, ma non posso lasciarmi intenerire: per me sono tutti bisognosi e lascio fare al buon senso di P. Ottavio…

Non dico di essermi completamente integrata, ma il fatto di vedermi ornai da tanti anni forse ha lasciato in loro lo spazio alla fiducia.

Avevo avvertito di tante “cose” coloro che hanno raggiunto me e Francisco qui in Guatemala. Molto spesso ho visto facce incredule, sbigottite e dubbiose quasi stessi raccontando assurdità. Ogni giorno, ad ogni nuova esperienza, mi sono sentita dire “se non l’avessi visto con i miei occhi non ci avrei mai creduto”. Spero che anche gli altri compagni di avventura riescano a comunicarvi le loro sensazioni ed ispirino in voi la voglia di provare a mettersi in gioco. Non è facile vivere in comunità tra persone che non si conoscono, con una vita alle spalle ormai consolidata e con diverse esperienze personali, ma la realtà che quotidianamente che si vive invoglia al ridimensionamento delle proprie aspettative ed a valutate le effettive necessità della vita.

Non so se avrò il tempo per scrivervi ancora. Siamo ormai al giro di boa e, mi perdonino i miei figli, i miei fratelli ed i miei amici, sento già una certa tristezza. Sono mentalmente già proiettata al …prossimo container… se Dio vuole.

Un abbraccio, a presto, grazie per averci letti e sostenuti e che “los angelitos vos protegan”. Besitos a todos

Rita

 

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