Domenico e i Domenicani
sogno di Dio - respiro di Dio.
8 Agosto
Quando viaggio da solo, mi capita spesso di imbattermi in "strani" pensieri.
Oggi sto andando ad Iglesias. Sono atteso nella restaurata chiesa di san Domenico per celebrare la Messa della festa del santo. C'era un convento domenicano un tempo, neppure tanto lontano. Oggi non c'è che la piccola chiesa conventuale. Il Convento non c'è più e al suo posto c'è un palazzo dove vivono varie famiglie.
Il pensiero, partendo da queste considerazioni, mi porta a riflessioni sulla mia scelta di vita. Perché sono domenicano? Cosa mi affascina di questo santo e della sua proposta? Ho cercato spesso risposta a queste domande. Durante gli anni della formazione e poi dell'inserimento attivo nell'apostolato ho cercato la risposta capace di motivare la mia vocazione. Ma oggi?
Cosa è per me la predicazione itinerante?
Sono sempre stato profondamente convinto che predicazione itinerante vuol dire andare dove c’è bisogno di portare la Parola, cercare l’altro per portargli Gesù Cristo. Senza aspettare che l’altro ti cerchi. Oggi continuo ad andare a predicare là dove vanno tutti, là dove Cristo è già presente. Non ho più l’urgenza della “missione”, il coraggio dell’avventura. Continuo ad evangelizzare gli evangelizzati, senza farmi coinvolgere dalle attese dei lontani.
Gli Atti degli Apostoli al capitolo 9 ci presentano una Chiesa in crisi che scappa da Gerusalemme perché lì non si sente più così sicura dopo il martirio di Stefano. Arrivando nelle varie città dove cercano rifugio, quei primi cristiani diventano missionari, portano la Bella Notizia e così comincia la predicazione ai pagani. Chissà, forse qui da noi non siamo ancora alle strette e la nostra Gerusalemme, il nostro convento, è un posto sicuro e al sicuro e ci protegge ancora bene. Bisognerà comunque ritrovare le vie dei pagani.
Nel mio compito di promotore della predicazione ho incontrato spesso difficoltà a trovare confratelli disponibili per la predicazione itinerante, di qualsiasi genere: missioni al popolo, predicazione in parrocchie che sono in luoghi o zone di dubbia o cattiva fama sociale, ottavari, tridui, panegirici, quaresimali e quant’altro mai.
Sicuramente il nostro molto ridotto numero e le moltissime imprese nelle quali ci siamo imbarcati ci tengono occupati e riempiono totalmente il nostro programma pastorale. Tutti siamo oberati da un superlavoro ed inoltre le varie proposte di predicazione sono difficilmente programmabili all’inizio dell’anno sociale e quindi diventa impossibile inserirle nella programmazione personale già così straboccante. Forse.
Quando, sempre come incaricato della predicazione, ho cercato qualcuno per predicare ritiri, esercizi spirituali, campi scuola, incontri ecc… alle Suore, non ho faticato molto a trovare la persona generosa che fa spazio nel suo programma alle nostre sorelline. Non ho niente contro la predicazione alle Suore, anzi sono convinto che si deve fare e personalmente mi rendo disponibile anch’io (sempre!) perché con le Suore mi trovo bene, mi accolgono sempre con molto affetto, mi incoraggiano e mi aiutano e poi, so bene che quando parlo alle Suore non sto facendo altro che parlare anche a tutte quelle persone che poi le Suore incontreranno nel loro bellissimo apostolato.
Ma perché per le Suore si e per le altre predicazioni no?
Qualche volta mi sembra di essere trattenuto a casa dalle sicurezze della vita conventuale con i suoi orari ben definiti, i suoi ritmi, la vicinanza degli amati libri, l’incontro con le persone amiche, le “asperità” della cella, una situazione economica tutto sommato tranquilla.
Sento che il mio propormi come domenicano non è poi molto differente dal modo di proporsi dei vari Ordini religiosi.
Incombono su di me le sovrastrutture edili e mentali che abbiamo edificato nello scorrere dei secoli e che ora ci chiedono di essere tenute in vita, tanti compiti “accessori” che ci siamo assunti e creati e che ora pur faticando, ci sforziamo di onorare.
Mi sembra di appartenere a una scuola per il “contemplari” e che diventa “tradere” spesso verso chi è già “dentro”. Ma il Macedone di Paolo e i Cumani di Domenico, dove sono finiti? Chi mi aspetta ancora se non le comunità già ampiamente “evangelizzate” che, a volte contribuisco anche io a rafforzare in una vita religiosa abitudinaria senza la “fantasia” che ci impone la Risurrezione.
Penso ora alla crisi delle vocazioni che tanto incide sulle nostre possibilità evangeliche (almeno sembra). Probabilmente questa crisi è un bene che ci costringe a riflettere su noi stessi e sul nostro ruolo specifico nella chiesa: se il nostro ruolo è diventato generico, che senso ha che continuiamo ad esistere?
Ha un futuro la MIA vocazione alla predicazione per la salvezza delle anime (mia e degli altri)?
L’epopea degli inizi dell’Ordine, la stupenda forza creativa dei nostri santi, il coraggio di una predicazione innovativa nella proposta e nei proponenti, riempiono i miei panegirici nelle belle celebrazioni delle glorie dell’Ordine.
I miei contemporanei al vedermi dicono che sono un domenicano, quindi un uomo di cultura ed io vorrei invece essere un domenicano, quindi un apostolo. Le due cose non sono in contrasto tra loro. Mi piacerebbe essere riconosciuto in primo luogo perché inviato da Cristo, poi magari anche tutto il resto.
Così, riflettendo, sono arrivato a destinazione, ho celebrato la Messa e parlato di Domenico e della sua idea a un folto ed attento uditorio.
Il 15 agosto sono di nuovo un viaggio e il pensiero riprende il filo interrotto ad Iglesias. Per me il 15 agosto è una data basilare: il 15 Agosto 1217 San Domenico invia i primi frati. Resistenze da parte loro e risposta di Domenico:”il grano ammucchiato marcisce”: intuizione del “genio”? Sembra, e forse lo è. Una risposta illogica? Che rapporto c’è tra la logica ed il genio? Tra la logica e la fede? Tra la logica e la chiamata?
Mi sento molto “logico” nel mio modo agire e di proporre il Vangelo. I miei discorsi, penso, non fanno una grinza. Ma intanto i nostri conventi si spopolano: ci deve essere qualcosa che non funziona! Ma se c’è qualcosa che non funziona, perché non funziona? Come si può far funzionare?
Queste e tante altre domande che mi pone questo 15 agosto, festa di Maria Assunta in cielo, si sommano a quelle dell’8 agosto. Il grano, sta marcendo? Ma sono le obiezioni di sempre, anche il vangelo, quando parla di vocazione registra le stesse obiezioni e le stesse esigenze. E Gesù dà delle risposte. Risposte radicali. Ma allora, “genio” o Vangelo?
fra Alberto Fazzini