La ricerca è sempre un rischio
La storia
del nostro Ordine è scandita da episodi dove il rischio è
al centro delle scelte.
Non un rischio per il rischio ma quel rischio alimentato e spinto dalla
virtù della prudenza che è tutt’altro che un freno!
San Domenico manda i suoi frati
a due a due proprio all’inizio della loro avventura di predicatori:
è un rischio grosso: forse tutto morirà, morirà
l’idea di essere i predicatori del vangelo, idea che aveva entusiasmato
le scelte di quei primi amici per l’annuncio. “il grano
ammucchiato marcisce!”, dice loro. Perché produca frutto
il grano deve essere seminato!
Il nostro
Padre ha pensato il suo Ordine formato da uomini coraggiosi, capaci
di esporre la propria vita per portare la Parola fino alle ultime frontiere
della cristianità: i Cumani erano il suo sogno! Per questo ci
volevano persone decise e capaci, ben fondate nella conoscenza della
scienza di Dio e della Sacra Scrittura, capaci anche di investigare
la verità fino alle ultime frontiere della conoscenza, del pensiero,
per andare oltre, fin dove può spingersi l’intelligenza
umana illuminata dalla fede e animata dall’ardente amore di Dio
e delle anime.
La ricerca teologica è stata
da sempre al centro del nostro insegnamento e della nostra predicazione.
Se io cerco una cosa è perché non la posseggo o non la
conosco oppure la posseggo e la conosco ma non tanto da soddisfare la
mia intelligenza. Questo vuol dire che devo andare, esaminare cose ignote,
a volte pericolose, sconosciute o semiconosciute: aprire strade verso
una conoscenza della verità sempre più completa.
L’uomo è un ricercatore
per natura ed è sempre insoddisfatto finché non s’acquieta
in Dio (s. Agostino), meta finale di tutte le ricerche.
Solo Dio non è un ricercatore
della verità perché Lui è la Verità, quella
“tutta intera”. Lui sa tutto. Nella ricerca della verità
non deve rischiare come rischiamo noi. Dio non cerca la verità
ma cerca l’uomo per portarlo alla salvezza e sa dove trovarlo
e quali mezzi usare. L’uomo cerca Dio e si sforza secondo tutte
le sue possibilità di trovare i modi migliori per arrivare a
Lui. L’uomo credente sa che la strada da seguire è Gesù
Cristo. Sa che questa strada si percorre in tanti modi diversi, ma non
perché diversi, necessariamente sbagliati.
Noi Domenicani abbiamo avuto, nei confratelli
che ci hanno preceduto nel servizio di Dio nella strada indicata da
Domenico, tanti uomini illustri e santi. Hanno cercato Dio, hanno aperto
nuove strade ai fratelli in cammino, hanno sudato, sperimentato, pregato,
studiato, sono tornati sui propri passi quando si sono accorti d’aver
sbagliato direzione e hanno pagato di persona in questo duro e lungo
cammino.
Tutte queste persone non hanno cercato
al nostro posto: abbiamo quindi diritto anche noi di avere ulteriori
domande da porci nella ricerca della verità e di intraprendere
un cammino.
Nei secoli, molte volte la teologia,
la vita religiosa, il nostro modo di essere presenti nella chiesa si
sono cristallizzati e ogni tanto ricevono nuovo impulso e vitalità
da dei pionieri, apripista che portano, oltre il peso e il rischio della
ricerca, anche il soffio sul collo da parte di chi, difende la verità
acquisita, ormai stabilizzata e che dà sicurezza. Forse che la
Chiesa cerca difensori di posizioni acquisite, piuttosto che profeti?
“Fossimo tutti profeti nel popolo di Dio!”. La ricerca non
esime certo dall’ubbidienza alla Chiesa, Una, Santa, Cattolica,
Apostolica: sono fermamente convinto che nessuno è autorizzato
alla disubbidienza e che la verità, facendoci liberi, saprà
anche liberare sé stessa.
Gli esempi illustri di ubbidienza
e disubbidienza non mancano né nella chiesa né nell’Ordine.
San Tommaso ha visto mettere al bando i suoi scritti e le sue lezioni
dall’Arcivescovo di Parigi e da quello di Canterbury ed il papa
stesso nutriva delle perplessità. Tommaso aveva favorito nientemeno
che lo studio di Aristotele (il filosofo a cui facevano riferimento
i sapienti musulmani), preferendolo a Platone che tanto favore aveva
incontrato in pensatori del calibro di sant’Agostino (che per
Tommaso rimane comunque il teologo per eccellenza!) e di tanti autorevoli
dottori della Scolastica!
Ai giorni nostri,
il Padre Lataste ha osato fare indossare il candido abito domenicano
a prostitute, ladre e donne di ogni tipo di malaffare.
Ancora ai giorni nostri il padre
Giuseppe Lagrange con la École Biblique et Archéoligique
di Gerusalemme, sconvolge per i cattolici il modo di approccio alla
Bibbia. È chiaro che la sua traduzione e commento alla Genesi
non va pubblicata, anzi sarà bene che detto padre torni in patria
ad insegnare greco e latino ai ragazzi!
L’ubbidienza esemplare delle
persone in questione non ha impedito alla verità di farsi strada
ed oggi, grazie alla loro ricerca, alla loro sofferenza, al fatto che
hanno osato rischiare, la Chiesa di Dio ha realtà meravigliose
che l’arricchiscono e illuminano le nostre scelte di vita.
Certe volte basta solo cambiare
prospettiva, non solo mentale ma anche fisica, perché le cose,
le stesse cose di prima assumano valenze, proposte, suggestioni tutte
nuove e da scoprire.
Mi viene in mente un momento della
predicazione di Gesù. La scena è consueta: riva del lago
di Galilea, molta gente che si stringe attorno al Maestro, voglia di
sentirlo parlare come solo lui sa fare, spinte per accaparrarsi i posti
migliori vicino a Gesù. Poi l’idea. “Salì
su una barca e là restò seduto, stando in mare, mentre
la folla era a terra lungo la riva” (Mc.4, 1c). Lì dal
lago la prospettiva è diversa. Non c’è nessuno che
spinge per farsi largo e poi, alle spalle della “folla”
c’è la bella collina delle beatitudini. A me piace leggere
il Vangelo cercando di situare il passo che sto leggendo nella cornice
che mi sembra più adatta, senza per questo tradire il testo ma
senza farlo diventare astratto o puro reperto archeologico, ricordo
del passato! Cosa avrà visto Gesù da quella posizione?
“E diceva loro nel suo insegnamento. Ascoltate. ecco uscì
il seminatore a seminare…” (Mc. 4,3) L’Evangelista
non mi dice che Gesù ha visto un seminatore, ma Lui, il Signore,
racconta questa parabola. La descrizione che Gesù fa del campo,
è identificabile con i campi della collina lì di fronte.
Abbiamo questa bellissima parabola probabilmente anche perché
Gesù ha cambiato prospettiva rispetto al suo uditorio.
Vedere sempre le stesse cose, sempre allo stesso modo aiuta solo l’abitudine, la pigrizia anche mentale e l’adagiarsi in essa, non aiuta certo la “novità di vita” che l’annuncio porta con sé.
Fra Alberto Fazzini, O.P
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