La comunità luogo
teologale dell'incontro con Dio e con i fratelli
Terzo incontro
PAROLA DI VITA
"Le mie parole sono spirito e vita" Gv. 6
63 È lo Spirito che dá la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita.
"Tu hai parole di vita eterna" Gv. 6
67 Disse allora Gesù ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene? ”. 68 Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita
eterna; 69 noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”.
" In principio era il verbo" Gv. 1
" Se il tuo fratello pecca contro di te va e riprendilo te e lui solo…" Mt. 18
CORREZIONE FRATERNA
15 Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello;
16 se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni.
17 Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea; e se non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano.
"Il regno dei cieli sopporta violenza e
i violenti lo rapiscono" Mt. 11
11 In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.
12 Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono.
DIALOGO
“il dialogo è metodo e strumento normale della crescita comunitaria.
Un dialogo caratterizzato dell'apertura franca e leale, dall'esperienza
della fraternità, dall'assunzione della corresponsabilità. (Comunione e Comunità, n. 64).
È la via su cui cammina la Comunità
Dialogo = Parlare e far parlare; ascoltare ed essere ascoltati.
Zingarelli: dialogo: 1 discorso alternativo tra due o più persone; 2 Primo incontro tra stati o partiti diversi dopo un periodo di avversione e di lotta; 3 Componimento dottrinale in cui la materia
è esposta e discussa da due o più persone; 4 Composizione vocale con testo dialogato
Sabatini-Coletti: dialogo
Oltre ai significati di Zingarelli:
2. estens. Possibilità, capacità, di parlare l'un l'altro con confidenza e sincerità: tra noi
c'è d.; anche nei momenti meno felici il d. non è venuto a mancare. fig. dialogo tra sordi, comunicazione tra persone che non vogliono o non possono intendersi
LA VITA COMUNITARIA
Cultura di Comunità (vedi primo incontro)
La vita comunitaria occupa il primo posto fra i coefficienti essenziali della vita religiosa. È una delle due cose
che S. Domenico domandava ai novizi prima di accettarli nell'Ordine. Domandava infatti: obbedienza e impegno di vivere comunitariamente.
Le prime comunità cristiane sono il modello ideale
delle comunità religiose. E le comunità apostoliche si caratterizzano per lo spirito comunitario che anima tutti i credenti (Atti degli Apostoli 2, 42-47: "
42Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere.
43Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli.
44Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune;
45chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.
46Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore,
47lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo.").
L'imitazione dello stile genuino della vita degli Apostoli crea una connessione assoluta tra la vita e la missione: chi si
assume la missione degli Apostoli deve assumersene anche il modo di vivere.
La vita comunitaria è comunione nella medesima professione e nella medesima missione. La fraternità, che deve animare tutti i cristiani in forza del loro battesimo, a maggior ragione
deve animare i religiosi in virtù della comune professione e della permanente comunanza di vita.
Vivere comunitariamente è il primo fra i tratti qualificanti e specifici del religioso, perché costituisce
il clima, l'atmosfera, l'elemento naturale, in cui si realizzano e si sviluppano gli altri valori fondamentali, ed è la realtà stessa in cui si cala e si sostanzia la vocazione. Lo spirito comunitario infatti alimenta
e incrementa la carità, che è il fine primario di ogni forma di vita religiosa, e favorisce la vita contemplativa, la preghiera liturgica, la pratica dei consigli evangelici e l'attività apostolica.
La vita comunitaria non è un valore puramente giuridico; non significa solo partecipazione esteriore agli atti che tutti i membri della comunità devono compiere insieme; né,
tanto meno, si esaurisce nel fatto di trovarsi o di abitare nel medesimo luogo; ma richiede anzitutto il
vivere insieme, richiede cioè che i religiosi comunichino in modo vitale gli uni con gli altri, che ognuno partecipi con spirito di servizio alla vita della comunità e renda partecipe la
comunità della propria vita, del proprio ministero e delle eventuali difficoltà che incontra nello svolgimento di questo ministero.
Lo spirito comunitario fa di una casa religiosa una famiglia, liberamente scelta, nella quale unica deve essere l'anima e concorde lo spirito. La vita comunitaria è una comunione nel senso
più pieno del termine, perché lo è sul piano soprannaturale e sul piano umano. Essa comporta vittoria sull'egoismo, comprensione fraterna e accettazione reciproca; comporta che si metta realmente tutto in comune;
non solo il frutto del proprio lavoro, ma anche i valori che impegnano la persona in tutti i suoi aspetti: energie fisiche, idee, qualità spirituali; comporta soprattutto una permanente disponibilità a servire il
bene comune (Libro delle Costituzioni dell'Ordine Domenicano,
d'ora in poi: LCO, n. 4).
Vita comunitaria dunque significa crescere nella concordia degli animi e nella carità. L'unicità del fine richiede l'unità degli animi. È ipocrisia l'uniformità
degli atti esterni (abitare nella medesima casa, portare il medesimo abito, professare la medesima vocazione e le medesime osservanze), se manca l'unità interiore della concordia degli animi.
Lo spirito comunitario è alimentato continuamente dai frequenti colloqui comunitari e dalla partecipazione attiva dei religiosi all'organizzazione della vita della comunità nei suoi
vari aspetti: vita regolare, vita liturgica, vita apostolica, ecc. Tutti i problemi di maggiore importanza vengono discussi nelle assemblee. In ogni casa si devono tenere spesso colloqui comunitari per incrementare la vita regolare
e la vita apostolica (LCO nn. 6-7).
In forza dello spirito comunitario il religioso, la religiosa, non è mai solo, né può sentirsi un isolato. Sia che preghi, sia che insegni o studi, sia che svolga una qualsiasi
altra attività, tutto e sempre fa come membro di una comunità di fratelli/sorelle. Questo spirito comunitario, radicato nella carità, lo accompagna in ogni momento della giornata ed è forza, stimolo
e sostegno nel compimento dei doveri religiosi e apostolici.
Se invece la carità (gratis dare) non riempie gli atti, la vita comune diventa pazzescamente pesante.
La vita comunitaria facilita anche l'attività apostolica. I1 ministero del religioso/religiosa è un'attività voluta o accettata dalla comunità, è organizzata
col consiglio e col consenso della comunità ed è portata a termine con la collaborazione della comunità. Negli incontri comunitari tutti i religiosi confrontano fraternamente le proprie esperienze e discutono
i vari problemi, che si riferiscono alla vita apostolica della comunità. Così ognuno usufruisce delle esperienze degli altri/e e allarga le proprie capacità e le proprie possibilità apostoliche
Tutto ciò facilita la fatica di ognuno, la rende più lieve e insieme le assicura maggiore efficacia. «I1 bene che è stato discusso e approvato dalla comunità
si compie più celermente e più facilmente». Coloro che hanno partecipato all'elaborazione e all'approvazione di un determinato programma di lavoro collaborano con maggiore impegno alla sua esecuzione, perché
ne conoscono il programma e le ragioni della sua scelta e perché, avendolo approvato, si sentono corresponsabili della sua realizzazione.
Lo spirito comunitario soprattutto assicura una maggiore efficacia all'attività del religioso, perché è alimento di carità fraterna e l'efficacia dell'azione apostolica
dipende soprattutto dal grado di carità del religioso. È Dio che agisce sul cuore degli uomini, è Dio che converte; ma « Dio è amore e chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui »
(1 Giovanni 4,16). La carità è dunque condizione assoluta per poter comunicare con efficacia ai fratelli la parola di Dio.
La vita comunitaria accresce l'efficacia dell'azione del religioso anche perché è viva testimonianza di vita evangelica. La comunità, animata da vivo amore fraterno, si presenta
come il modello di quella comunità universale che comprende tutti gli uomini e alla cui formazione è ordinata l'attività del religioso. Quando i membri di una comunità. per l'armonia degli animi, per
la comunione con Cristo, lo spirito di servizio e di sacrificio, sono già Chiesa, Corpo mistico di Cristo, la loro azione apostolica, che mira all'edificazione del Corpo di Cristo nella società in cui operano, non
può non avere una efficacia particolare. La stessa loro vita è una prova che quella vita cristiana che essi predicano - una vita tutta animata da carità fraterna - non è una utopia, ma può essere
realtà
NB in questa seconda parte dell'incontro ho fatto largo uso del volume: "Je vous appelle amis", ed la Coix – Cerf, Paris, october 2000, del p. Timothy Radcliffe, Maestro Generale dell'Ordine Domenicano.
La Comunità può fare violenza alle scelte individuali
La Comunità non è il luogo dove sopravvive il più forte ma dove il più forte si fa carico di chi è più debole, più esposto. L'uguaglianza, in quest'ottica,
diventa il modo di aiutare ciascuno a realizzare se stesso. Nella vita comunitaria non sopravvive chi è più forte ma chi è più accogliente.
Intorno a noi la città vive sulla legge del più forte e chi ha più soldi, prepotenza, capacità (a volte solo presunta) prevarica sugli altri: i più deboli sono assoggettati.
Una
comunità di assoggettati (se esiste, o nella misura percentuale che esiste) è una controtestimonianza dove non ha spazio Gesù che è "venuto per servire…" ma solo chi sgomita e parla più
a voce alta. Gesù è un uomo che ha subito violenza (Pilato, Croce) e ha rifiutato esplicitamente di esercitarla a sua volta. Nell'ultima cena, quando ormai vedeva prossima la violenza che si sarebbe abbattuta su di
lui, reagisce dandoci un Corpo, il suo Corpo: e così crea alleanza, salvezza, comunione.
Noi siamo carne gli uni degli altri e troviamo la perfetta comunione in questa Carne che "è
data per noi".
Se fossimo puri spiriti non avremmo questi problemi!
Il grosso problema oggi (e forse sempre cfr. Anania a Saffira) è la nostra educazione
all'individualismo, all'egoismo, a considerare l'altro "un altro" appunto e non come noi stessi nello stesso Corpo di Cristo. Come ritrovare questo legame forte della Comunità?
La nostra risposta decisiva è
quello che avviene nell'ultima Cena: l'uomo che ne è il cuore sta per essere tradito, rinnegato, venduto dai suoi amici. Può finire tutto e invece tutto inizia perché come risposta Lui si dà. Abbiamo
una cena quotidiana, oggi noi con Lui, e ancora si dà perché vuole vivere in comunione.
È una storia aperta alla speranza, alla speranza di Dio.
Le parole
"Il cuore dell'azione di Gesù è una parola potente, parole che hanno il potere di trasformare: questo è il mio corpo, lo do a voi" La Parola ha il potere di costruire
e sostenere una Comunità. Sicuramente così è la parola di Gesù, ma anche la nostra. È infatti la parola che ci permette di stabilire dei rapporti tra noi: quando si mette ostacolo alla parola,
l'umanità regredisce e in tutte le dittature una delle prime cose che vengono fatte è limitare la libertà di parola in tutte le sue forme.
Noi abbiamo la possibilità di comunicare gli uni con gli
altri, di edificare noi stessi, le nostre comunità con parole buone e di distruggerci con parole cattive o, a volte, solo malaccorte. La parola ha una potenza inaudita, a volte anche quando è sostituita dal silenzio:
pesa sulla vita.
Parlare è un atto morale che esige un estremo senso di responsabilità.
Una delle cause di crisi nelle nostre Comunità è
l'uso irresponsabile del parlare e del tacere (fuori cioè di quella comunione di cui si parlava sopra e della costruzione del Corpo di Cristo).
Le parole esprimono il nostro essere: ben-essere
e mal-essere. Non sono una parte staccata di noi ma vengono da noi, "dal di dentro vengono la cattive parole, le maldicenze…" e "inquinano" o "purificano" il nostro stare insieme («
17 Quando entrò in una casa lontano dalla folla, i discepoli lo interrogarono sul significato di quella parabola.
18 E disse loro: “Siete anche voi così privi di intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può contaminarlo,
19 perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna? ”. Dichiarava così mondi tutti gli alimenti.
20 Quindi soggiunse: “Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo.
21 Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi,
22 adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza.
23 Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo». Mc. 7).
La parola ci dà potere di vita o di morte, partecipa del potere della parola di
Dio che chiama alla vita, alla luce, che condanna e premia: è qualche cosa di religioso.
"Le parole sono come le particelle nella fisica: c'è la materia e l'antimateria. La costruzione
e l'annullamento. Quando si trovano faccia a faccia e stanno per parlare, genitori e figli, uomini e donne, sono in situazione d'estremo pericolo: una parola può danneggiare una relazione umana, può annegare la speranza
nel fango. Le lame della parola sono più taglienti di quelle dei coltelli. E pertanto questo stesso utensile lessicale, sintattico, semantico, è anche strumento di rivelazione, d'estasi, permette la meraviglia di
una comprensione che è comunione" (George Steiner, Real Presences… , Londra 89, p.58).
Ma non sono gli eufemismi che creano la Comunità. Non esiste una Lourdes linguistica
(Roberto Hughes) dove lavare le nostre frasi che così da cattive diventano buone. Una frase di morte, non perché è detta con parole gentili diventa di vita: ci vuole ben altro. Non sono meno ciechi i fratelli
che i documenti ufficiali c'invitano a chiamare "non vedenti". È quando si paga di persona che entra la vita, così, sempre nell'ultima Cena, c'è un uomo che sta per essere consegnato e ucciso e che
dice parole capaci di dare vita a una comunità: "Questo è il mio corpo, lo do a voi" e così la presenza reale è chiamata in essere da queste parole capaci d'operare una trasformazione in profondità.
Non solo nel pane.
La sacra Scrittura nel suo testo tante volte copiato e ricopiato attraverso i secoli ha avuto da chi copiava e ricopiava, un'attenzione totale, talvolta maniacale e così
noi oggi la diciamo "parola di Dio", parola di chi costruisce un'alleanza, di chi cerca la comunione, parole di comunione, la comunione più importante: Dio e l'uomo e gli uomini tra di loro.
Se
la Chiesa deve essere il luogo dove si può trovare in profondità il senso di ciò che vuol dire essere uomo - c'è chi dice che l'identità più profonda è quella di "essere-con-gli-altri"
-, allora noi dobbiamo, prima di tutto, formare una Comunità dove le parole sono utilizzate con riverenza e in modo responsabile.
Questo vuol dire che noi dobbiamo essere una Comunità
dove si "osa" dibattere, discutere, cercare nel dialogo quella verità nella quale non siamo noi i maestri. Spesso nella nostra Comunità che amiamo (anche in quella grande, la Chiesa) si ha paura di dibattere.
Non sto parlando di un luogo dove vige il disaccordo per cui dibattito = disaccordo e aumento del disaccordo, sto parlando di quella lotta ardua delle persone che cercano vicendevolmente di illuminare la strada, di quelle discussioni
nelle quali ci si oppone all'altro con la sola passione e desiderio di arricchire con il suo il nostro punto di vista. Giacobbe combatte con l'angelo per averne la benedizione (Gn. 32,23-31).
Per
questo le nostre parole devono essere impastate d'umiltà e non d'arroganza.
La correzione fraterna, il dialogo e il conseguente Perdono
Tutte le volte che ci riuniamo per celebrare l'Eucaristia domandiamo perdono e sentiamo parole di perdono, di sangue sparso per il perdono. Una parola che guarisce e assolve.
Sembra
che nella nostra cultura ci sia una forte resistenza alla nozione di perdono. Probabilmente non ci fidiamo del perdono perché non siamo sempre convinti che sia una cosa buona. Non sarà che noi pensiamo che perdonare
sia nocivo e anche pericoloso? Chiaramente quando si tratta di perdonare gli altri e non di essere a nostra volta perdonati!
Si dice che se si perdonerà troppo la nostra società si
squaglierà, come il burro, come il cioccolato o altre buone cose che bisogna consumare con grande moderazione. Eppure il perdono è un elemento centrale della nostra
fede e della nostra vita comunitaria!
È vero che dopo grandi nefandezze (Auschwitz, Dachau, Hiroshima, i nostri sequestri di persone mai tornate a casa, omicidi vari. ecc…) si può
essere un pò reticenti davanti a una proposta troppo facile di perdono, come se si potessero di colpo cancellare e dimenticare quegli orrori. Ma nelle nostre Comunità non siamo certo a questi livelli!!
Facciamo
spesso la conoscenza con la nostra debolezza e con la nostra capacità di sbagliare: possiamo chiedere perdono ed essere perdonati. Ma siamo capaci anche di perdonare? L’unica frase del Padre nostro spiegata da Gesù
è quella riguardante il perdono reciproco (Mt.6,14s).
Solo i misericordiosi hanno in "paga" la misericordia (Mt. 5.7)
L'essere umano è capace di grandi virtù e di vizi, anche noi, anche i nostri confratelli e consorelle.
Non sempre un giudizio affrettato rende giustizia alla sofferenza di chi è cosciente di avere fatto scelte sbagliate e così, invece di aiutare, si aumenta il disagio e qualche volta s'interrompe il dialogo.
Solo
un'attenzione paziente permette di penetrare la verità degli altri esseri umani (confratelli/consorelle o no) con i loro vizi e le loro virtù, con la loro cattiveria e la loro bontà: bisogna ascoltare attentamente
e lasciare che da soli si svelino. La verità non è data dalla brutale messa a nudo ma da momenti di rivelazione. Ha bisogno di tenerezza, non di denuncia. Per vederci chiaro c'è bisogno di compassione e di
amore. S. Tommaso dice che la verità e la bellezza sono unite.
Il perdono cristiano non è questione di dimenticare, cancellare. Gesù nell'Eucaristia che riceviamo quotidianamente
non ci viene a rassicurare che il nostro Dio vuole ignorare i nostri peccati, che guarda dall'altra parte. Il perdono cristiano è un atto creativo, una guarigione. È quel momento di pura creazione nel quale Gesù
risuscita dai morti. Questo non ci permette di dimenticare, anzi rende necessaria la memoria. È il mistero di un Dio che fa germogliare il morto albero della croce e lo copre di fiori nuovi. Un Dio di fertilità, creatore,
che fa rifiorire le nostre vite morte. Un Dio che rassicura, guarisce, la nostra debolezza e la fa rivivere, sia quando siamo perdonati da Lui e dai fratelli che quando a nostra volta siamo noi che perdoniamo.
Tutti
abbiamo delle cose da farci perdonare da Dio e dai fratelli! Perdonare ed essere perdonati quindi è far nascere la comunità crearla anche quando tutto sembra morto come l'albero della croce perché il nostro
è un Dio di vita: è la pace vissuta insieme.
A volte non sono le parole ma è il silenzio a suggellare questa risurrezione. Non un silenzio di rottura con l'altro e conseguente
emarginazione, ma quel genere di silenzio che accompagna sempre le parole difficili da dirsi, difficili da ascoltarsi. Il perdono qui non è un'amnesia ma l'impossibile dono della Comunione.
"Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano.
E
non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione.
Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità.
Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo". (Ef. 4,29-32)