Entrando in una nostra antica chiesa
Riflessioni

SENSAZIONI E RIFLESSIONI…
Entrando in una nostra antica chiesa

Come entro in chiesa mi vengono incontro, mi assalgono, mi penetrano nel profondo, fino al midollo, secoli e secoli di storia. Figure, le più rappresentative, i punti fermi della storia del mio Ordine hanno la loro tomba sul mio passaggio, mi hanno preceduto in questa chiesa, hanno fatto risuonare queste mura delle loro prediche, hanno di qui innalzato a Dio preghiere e suppliche con forti grida e lacrime. Il gotha del paradiso domenicano mi guarda e m'invita con decisione, anche se dolcemente, a fare il punto sulle mie risposte alla vita. Alla vita così, semplicemente, e alla vita consacrata e sacerdotale in specie.
Mi sento smarrito e mi viene la pelle d'oca mentre sento il coro dei frati, molti anziani, recitare a cori alterni versetti di un salmo che parla di rimpianti per occasioni e tempi perduti.
Già, il coro: un lusso ai nostri giorni. Nel mio convento il coro è formato da due-tre frati e una o due vecchiette: è un coro che fa tenerezza!
E quei santi, quei beati, dalle loro tombe, dai loro altari, continuano a guardarmi, mi scrutano nel profondo, mi scuotono fibra a fibra, mentre cammino verso l'ingresso della sacrestia.
Come vivere oggi senza tener conto che la mia Regola ha prodotto tanta santità!?
Sarebbe come vivere senza radici e non importa se le radici le hanno gli alberi ed io albero non sono. Le radici comunque, quelle vere, sono agli inizi e non a metà percorso!
Spesso i discorsi con i miei confratelli fanno riferimento a Domenico, a Caterina, a Tommaso e a quanti altri mai, che hanno reso illustre il mio Ordine, una blasonata presenza nella chiesa di Gesù Cristo.
Ed io non dovrò essere da meno!
Potrò mai vivere la mia vita domenicana come la vissero quei pochi e fortunati amici di Domenico, mandati dal Padre per l'Europa in quell'Assunzione del 1215?
Loro non hanno portato sulle spalle il museo che ora m'incombe. Quel museo che mi penetra la mente, che cerca d'insediarsi in me perché, secondo lui ha buone ragioni per farlo perché rappresenta il mio passato.  È un museo che, comunque, mi frega se mi lascio convincere a vivere di glorie passate in un presente che reclama a gran voce il mio oggi.
A pensarci bene tutti questi grandi personaggi (leggi "santi") sono stati e sono "grandi" proprio perché hanno saputo ascoltare il grido che sale dalla terra, hanno dato corpo alle speranze di chi da sempre attende, hanno portato la Parola e la Presenza che salva: in una parola sono stati, nel loro tempo una presenza viva e non una memoria storica. E allora perché dovrei io essere la loro memoria storica e non piuttosto la presenza viva che la Provvidenza di Dio vuole da me, facendomi vivere in questo tempo e in questi luoghi?
I miei amati libri, il mio sconfinato amore allo studio, m'impediranno di portare la Parola? Dico proprio "Parola", quella che esce dalla bocca essendo passata dalla mente e dal cuore, filtrata dalla preghiera; non quella che scorre dalla penna e dalla sapienza e che mi tiene attaccato a un tavolino ad approfondire improbabili soluzioni al mistero della Trinità, a elucubrare nuove frontiere di una teologia che ha perso la dimensione dell'uomo.
Certo non si può portare la Parola se prima non la si è fatta nostra con lo studio e la preghiera: è questa una cosa che sanno tutti! Ma a un certo punto dovrò pure staccare il sedere dalla sedia e gli occhi dagli amati volumi e…  "aliis tradere".
Non so cosa di vero ci sia nel racconto della crisi di coscienza di Domenico con le sue pelli morte, vendute per salvare pelli vive: forse questa "vendita" va vista con più attenzione e la devo far entrare più profondamente nel mio DNA.
Vedo con cura e gelosia i miei orari, i luoghi della mia vita (la stanza con le sue suppellettili, il chiostro silenzioso in mezzo alla città), i preziosi oggetti di culto della mia chiesa, tutte le squisite e splendide opere d'arte che riempiono il mio convento e la mia chiesa, i tempi delle mie preziose giornate e m'interrogo se quel Tizio che mi ha chiamato, intendesse proprio che io diventassi quello che sono oggi. Questo pensiero mi "tormenta" ogni giorno e ogni giorno cerco di dare la mia risposta, ma non sempre mi sento credibile.
            Sto giorno dopo giorno rischiando di diventare un museo ambulante (se già non lo sono diventato!): vivo in un museo di ricordi, in un museo di opere, illustri personaggi affollano il mio passato: ho paura che piano piano io diventi un museo nel cervello, nel mio modo di pensare, nel mio modo di proporre la Parola, nel mio modo di proporre la vita.

                                                                                                         Fra Alberto